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lunedì 23 gennaio 2012

# 23 A long night...

C'è poco da fare... L'orologio segna l'una del nuovo giorno. Il silenzio è  un rumore assordante. Accanto la mia mano una bottiglia semivuota di JD e un portacenere con resti di drumm carbonizzati. Vorrei tanto chiudere i fottuti occhi, ma non ci riesco. Loro sono li dentro, pronti ad aspettare che cali la guardia per irrompere e torturarmi in questa fottuta testa. Loro, sono il passato ma sono il presente e saranno il futuro nel mio cervello. Loro saranno per sempre li ad accompagnarmi. Voglio cacciarli via e allora ci do dentro come più posso con litri di alcohol e quantita di chimica. Ma non c'è nulla da fare "loro" non mi abbandoneranno mai. Esasperato mi ritrovo a sbattare con la testa contro il muro, se la apro dovranno uscire, è così cazzo. Sento scivolare qualcosa di caldo lungo la fronte, passo la mano e vedo che è imbrattata di sangue, ma io continuo a sbattere la testa, prima o poi arriverò a quel nucleo del cazzo che contiene tutto, il mio vaso di pandora. La parete è un quadro astratto rosso violaceo, la maglietta è zuppa di liquido caldo rosso scuro che inizia a consolidarsi. La fronte mi pulsa ma di "loro" nessuna traccia.
" AND MOST OF ALL FUCK YOU "

martedì 17 gennaio 2012

# 21 Remembers time

Quando stavo ancora nella mia città, un lurido afoso giorno di piena estate, in compagnia di un socio ce ne stavamo in un parcheggio abbandonato che dava sul mare. Le pareti che mi arrivavano fino all'uccello erano di mattoni in tufo che il vento poco alla volta stava sbriciolando. Il cancello divelto permetteva a scooter ed auto di entrare liberamente e se la struttura fosse stata pericolante, beh beati sti cazzi. Spesso ci si fermava li perchè in una posizione fottutamente strategica. Vicino al cazzo del mare, incastonato tra due pareti rocciose e poco frequentato. Il paradiso per ogni fattone, spurgo, pasticomane e quant'altro di sbagliato ci sia su questa terra del cazzo. Eravamo stravaccati sui sedili della sua ford fiesta. Lo stereo a palla, quello ancora a cassette, con dentro una compilation di pezzi oi vecchia scuola. Le nostre fronti trasudavano tossine per il troppo caldo. Tra una birra e una tirata di erba si parlava di quanto fosse dura tirare avanti. Ogni tanto si raccontava di qualche bestia di brigata ricordandone azioni e reazioni che avevano sempre un finale che ci faceva pisciar sotto dalle risate. La puzza di sudore e birra mixado con l'odore acro dell'erba dopo un po' diventava impercettibile. Fuori l'aria era rovente e le tante pisciate seccate sui muri ormai alla malora esalavano ammoniaca allo stato puro. Erano tempi in cui si lavorava col contagoccie e il troppo tempo libero è sempre stato isipiratore di vizi e ozi malsani ma che 'catroia mi piacevano proprio. Mentre guardavo il mare fondersi con il cielo avevo la consapevolezza che il mio tempo tra le mura antiche di quella città era ormai prossimo alla fine. I pochi soci veri m'avrebbero capito e tutto sommato non ero l'unico a decidere di levare le tende e cercare di sfangare la vita in un altro buco del cazzo. Le ore passavano, le latte di birra calda si erano ammucchiate in un angolo di quello spiazzale bombardato dal sole e dalle cagate di gabiano. La testa girava e i riflessi iniziavano ad addomentarsi in una piccola camera del nostro cervello del cazzo. Mentre il socio stendeva uan riga per riprendere un po' di nervi in modo tale da riuscire ad apparire meno straffatti per poter tornare a casa...

[...] tutti quegli anni che ha viaggiato per l'europa su quella moto son stati segnati dal discorso della diversità. Dalle esperienze nuove, che assimili robe diverse da vedere, da sentire e da annusare. Tutta un'indigestione di lingue nuove, di cultura nuova. Ti bruciano dei canali nervosi differenti. Roba che non succede se resti incollato alla coca in uan vecchia città di stronzi come il beth. Incassi l'egiziano e campi per il fine settimana, e passa poco che tutti i finesettimana sono uguali. Lui c'ha avuto una vita più lunga di me anche se campo fino a ducento anni. Spinellarsi e restare nello stesso posto schiaccia il tempo. Viaggiare, e incontrare gente nuova, lo espande sempre. Non vorrei proprio dire che è la fisica, però è vero uguale. Che, tu c'hai voglia di star qua finchè campi? [...]

domenica 15 gennaio 2012

# 20 Death it's our peace

'Orcatroia fuori tira un vento del cazzo. Cose da tagliarti la gola a star col collo fuori. Stesso li dove lavoro mi son fatto una cazzo di doccia per tirar via tutti gli odori con cui devo vivere. In strada non c'è nessuno, è tardi, fa freddo e la gente non ha un cazzo da spendere. Io non sono da meno, tutto quello che ho se ne va per vari cazzi, fitto, bollette da pagare e paga da passare mettici qualche pinta giornaliera e fanculo conto in merda. Metto in moto e sgommo con una fottutissimma compilation di mp3 con i controcazzi. Parcheggio nella solita piazza triste e deserta di questo paese sperduto ed entro nel solito bar. Il panorama non cambia, sorrido a diana e tutto bello e fresco mi siedo davanti lei che sta smanettando con certe bottiglie di JD e JB. Le chiedo di versarmene uno doppio liscio. Mi sorride e mi domanda che programmi ho per la notte. Cazzo, sono solo le 24, altre due o tre ore di autonomia le ho, ma tutto dipende da quanto vuole tirarmi fuori dalle tasche li nel bar. Ride di gusto. I suoi capelli nero corvino le si infilano tra la scollatura del seno mentre si piega sul lavandino per lavare qualche bicchiere. Un vecchio etilico del cazzo le punta gli occhi proprio in mezzo a quei due pompelmi. Mi scappa una risata e dico al vecchio di andarci piano, farsi una raspa a quell'età non è consigliabile manco per il cazzo. Lui insofferente e ferito nell'orgoglio biscica qualcosa, manco lo ascolto il rinco. Ritorno a puntare la mia attenzione su di lei. Oltre al lavoro e ai bambocci che stan con la madre al momento è l'unica cosa piacevole che ho qui. Butto giù un paio di lager e sento già le gambe venir meno. Fisso l'orologio del timer della macchina da caffe che segna quasi l'una. Il bar si svuota degli ultimi stronzi che non hanno un cazzo da fare, sono li seduto mentre i neon delle vetrine e le luci della sala si spengono. Tutto viene illuminato da una sola luce verde posizionata sui battiscopa del bancone. Nella penombra vedo la figura di diana infilarsi nel giubino e dopo qualche istante le narici vengono travolte da quel suo profumo che tanto mi manda fuori di testa. Mi sollevo a fatica, i bicchieri e le pinte con la giornata passata non mi aiutano tanto a stare in piedi. Lei mi si mette sotto il braccio e mentre usciamo mi sussurra qualcosa che suona bene. L'aiuto a tirar giù la saracinesca. L'aria è gelida, l'odore della legna bruciata la fa da padrona tra i vicoli medievali di questo brufolo di culo di paesino. Inizia a scender giù qualche fiocco quando stiamo per entrare a casa sua. Il calore che c'è dentro è pura goduria. Tiro via il parka e mentre lei mette su una tegliera d'acqua bollente per un te caldo la cinturo dal di dietro e mi perdo con la testa tra i suoi capelli che odorano a yellow daiamond.
Mi ritrovo disteso nel suo letto, nudo, con il suo corpo rannicchiato contro il mio. Il suo respiro nella notte batte il ritmo insieme al ticchettio delle lancette del'orologio che ha sul comodino. Dalla finestra una luce giallognola di un lampione in strada illumina leggermente la stanza. Il cervollo è ormai in tilt. Non ho sonno e la stanchezza sembra quasi lottare con i neuroni per vincere la battaglia e farmi cadere nel sonno, ma no nc'è verso. Stringo diana contro di me e le bacio la nuca, ripenso ai due marmocchi e a come la vita abbia risposto colpo su colpo al mio vano tentativo di metterla sotto. Il lampione fuori in strada si spegne e quel cono giallognolo di luce lascia il posto a una timida luce solare. Sento la pioggia battere contro i vetri. Sembra quasi che vada a ritmo con il respiro di lei immersa in un profondo sonno. Mi gratto la testa e stringendo ancora più forte il corpo caldo di diana penso che tutto sommato la vita non è malaccio se riesco ancora a trovare anime e persone come lei.

giovedì 12 gennaio 2012

# 19 The scum of the fucking earth...

Porca puttana, nel sacco ho portato solo un ricambio di boxer e qualche maglietta se per caso dovessi sboccarmi addosso. L'aria è fottutamente fredda, coglione io che non ho preso notizie da sti cazzo di meteo che ci dicono come dove e quando sto cazzo di cielo ci cagherà addosso. Mi avvio alla hall del hotel, un cazzo di holidayinn express, moquette marrone piena di macchie, odore da cesso di autogril e distributori automatici di bibite e ghiaccio. Chiamo la tipa che lavora per farmi passare le chiavi e sbattermi sotto la doccia prima che inizi la distruzione che ho programmato per il fine settimana. Mentre le passo i documenti dall'ascensore esce una figa tutta tirata a lucido, mi brillano gli occhi, lei sorride e con il suo sguardo di ghiaccio perlustra l'area. Pochi secondi e un coglione basso e tarchiato le se avvicina, gli dice qualcosa in russo, presumo, e la tipa gli allunga una banconota da cento. Escort? io le chiamo semplicemente puttane, ti scopano per soldi, contenti tutti e due chi lo prende e chi lo da. Solo affari cazzo. La tipa mi ripassa il documento e mi spiega dove si trova la mia camera. Salgo in acensore apro la porta e ficco dentro la chiave-carta per dare tensione alla stanza. Si accende immediatamente la tv settata sul menu di film a pagamento, ovviamente i primi cinque titoli che appaiono in schermata sono film porno. Mi butto sul letto, le cinque ore d'auto fatte di fila mi hanno un po scazzato. Lascio cadere il sacco per terra e mi sbatto nel cesso per sciacquare via le fatiche del viaggio. Mi rullo una serie di paglie al drum e me le metto in fila sulla scrivania pronte per essere fumate a ripetizione. Il sensore antifumo lo tengo proprio sul cazzo del letto cosi mi avvicino alla finestra per vedere se la cosa è fattibile ma c'è un cartello che avvisa che le imposte possono essere aperte solo di 10cm per evitare che qualche stronzo decida di farla finita. Il panorama è veramente uguale ad altri cento che ho visto. Edifici industriali, un centro commerciale e strade larghe, poi il niente. Periferia della periferia, poligono industriale che produce solo spurghi grazie alla cazzo di crisi che c'è in giro. Mi vesto e scendo per andare a vedere dove cazzo si terrà la due giorni di psycho rave. L'albergo è pieno di ragazzi e sopratutto ragazze venute da ogni angolo iberico per assistere all'evento. Ti senti immerso nella favolosa america anni '50, ma qui le pin up oltre che ad andare vestite più spinte sono anche belle tatuate. Mentre aspetto in ascensore attacco bottone con un gruppetto. Vengono da alicante, cittadina simpatica dove ebbi modo di conoscere gente ok. Sparo fuori dei nomi per vedere se c'è qualche conoscenza di mezzo, ma le negazioni ad ogni mio nome mi fanno capire che non abbiamo nessun amica in comune. La cosa è positiva, se scazzo non avrò l'imbarazzo di dover dare spiegazioni. Il gruppetto mi invita ad aggregarmi, non aspettavo altro. Tra di loro c'è anche una ragazza niente male, si chiama Raquel ma mi prega di chiamarla Raki. Fuori in strada il vento la fa da padrone, il freddo prende a calci la mia fottuta pelle scoperta. Raki mi domanda come cazzo faccia ad andare vestito cosi con sto cazzo di freddo, me lo domando anche io ma riempio il petto d'orgoglio e le dico che l'alcohol che presto invadera le mie vene porrà rimedio al problema della termoregolazione del corpo. Mi sorride e mi da un leggero spintone. So che nel gesto non c'è solo simpatia, ha cercato il contatto fisico ed io ci sto alla grande. Entriamo nell'area dove è organizzato il tutto. Ci sono un paio di stand che vendono gadgets e vestiti, altri che vendono musica un paio ben forniti che fanno da bar. Prendo Raki per mano e le chiedo se vuole accompagnarmi a prendere una felpa, lei sorride e senza dire nulla si ficca sotto braccio. Sento già la testa girare e gli ormoni spingere contro la patta. Mi fermo al primo stand che vende felpe e compro la prima che mi viene a mano. Faccio la parte del coglione che chiede consiglio su come la vede, e funziona da dio. In certe occasioni con una passera bisogna giocare sporco. Metto su la felpa e la invito per qualche short allo stand-bar. Compro una serie di latte e iniziamo a farle fuori tra una chiacchiera e l'altra. Si parla un po' per conoscerci ma ovvimanete è una partita a scacchi dove nessuno mostra le proprie vere intenzioni. Birra dopo birra i vari concerti iniziano e la musica roboante e assordante inizia ad invadere l'aria e le nostre menti. L'alcohol ormai è in circolo la voglia si sballarsi anche e cosi prendo nuovamente per mano raki e la porto sotto il palco dei mad sin. Pochi secondi e siamo circondati da corpi sudati e puzzolenti. La cosa non mi disturba, anzi mi elettrizza. Inizia un pogo selvaggio, lascio raki in un angolo vicino la balasutra e le casse ed inizio a sballottarmi a destra e sinistra perdendo il senso dell'orientamento. Becco una serie di gomitate ma ne do anche un bel po' , del resto cosi funziona. La birra ammortizza tutto, anche il senso del dolore. Appena posso esco dalla ressa e ripesco Raki che ridendo mi spiega la dinamica del tutto. Non so perchè, ma dopo che vedo usicre dalla sua bocca una serie di parole mi ci butto sopra e inizio a baciarla senza pensare a un cazzo, tantomento al perchè. Lei ci sta e cosi trascorriamo le ore che restano incollati l'uno all'altra fino a quando, sfinito, non le chiedo di tornare in camera con me. Non si fa pregare, ci mettiamo le ali ai piedi e dopo qualche secondo e una fermata al bar per rifornirci di birra rum e whisky ci ritroviamo nella vasca da bagno a scopare come ossessi e a placare il senso di sete e vuoto con birre corrette a rum o daniels. Ci stacchiamo solo per farci una paglia o qualche canna stesi vicino la cazzo di finestra che si apre solo di 10 cm. La tipa è ben servita, verso le 3 del mattino nota che sto perdendo colpi, cosi si laza si mette i jenas senza mutande e la maglietta che aveva , scompare dietro la porta. Personalmente sto cosi in merda che non mi frega uan cazzo se sia andata via senza salutarmi , ma dopo qualche minuto la vedo rientrare con un megasorriso del cazzo stampato in faccia. Avvicina un tavolino e ci stira sopra una serie di strisce di biancaneve. Sono anni che non la prendo, ma la situazione lo richiede. Stesso lei tira fuori una cazzo di banconota da 5 e la rolla. Da la prima testata per poi passarmi il testimone. Ci do sotto come ai vecchi tempi e tutta la stanchezza e passivita dell'erba e dell'alcohol scompaiono in un secondo. Riprendiamo a scopare come due demoni e sbuffiamo e sudiamo fino a quando non cadiamo esausiti e sudati in un sonno nervoso e nevrotico. Quando riapro gli occhi l'orologio sul display del cellulare segna le 17 di domenica. Raki è ancora in coma a poci passi da me. Entrambi siamo nudi stravaccati su quella cazzo di moquette marrone sulla quale abbiamo contribuito a spargere prove organiche di noi stessi. Il pavimento è pieno di bottiglie e latte vuote. Un vero casino. La testa è in merda e pensare che con la tipa mi ero chiuso in camera venerdi notte. Mi rendo conto di aver esagerato di brutto, ma riguardando il culo nudo di raki al mio lato e penso che del resto ogni tanto bisogna pure lasciarsi andare cazzo. Metto su il bollitore elettrico in camera e metto a fare due tazze di caffè lungo. Risveglio Raki e le passo il caffè. Il suo viso è una maschera di sofferenza e stanchezza. Raccolgo tutte le latte e le bottiglie vuote, svuoto la tazza e mi butto sotto la doccia. Raki fa lo stesso e una volta che riprendiamo un aspetto decente decidiamo di andare a mangiare un boccone prima di partire.
I march before a martyred world, an army for the fight
I speak of great heroic days, of victory and might
I hold a banner drenched in blood, I urge you to be brave
I lead you to your destiny, I lead you to your grave
Your bones will build my palaces, your eyes will stud my crown
For I am Mars, the god of war, and I will cut you down. 

# 18

Il ricordo è vago, come un sogno che c'è e non c'è. Verona, ennesima trasferta per qualche ora di svago. Tornavamo da trento, dopo un concerto tra amici in un paesino sperduto tra le dolomiti. L'alcohol, sceso a fiumi, aveva preso possesso del mio corpo. I vecchi scarponi pesavano sempre di più ad ogni passo, la voce rauca per il troppo cantare a squarciagola. La notte trascorsa in macchina a sfrecciare su un autostrada in piena notte riverso sulle gambe di una ragazza, infelice musa di un fine settimana di devastazione. Si arriva nei pressi di verona. Entriamo in casa di uno del gruppo, il freddo è pungente, ma tutto quel liquido giallo e spumoso brucia come pellet in una stufa. Getto il mio stanco corpo su un divano, la copertura è umidiccia, colpa del clima. Il padrone di casa si chiude in camera e sprofonda in un lungo sonno, io resto con lei. Vedo la sua testa nella penombra avvicinarsi. Fuori il vento fischia e tira residui di plastica contro le imposte. Sento la sua bocca poggiarsi sulla mia, mi lascio andare e nella totale dimensione irreale e nevrotica che solo l'ubriachezza ti sa dare, cerco di resistere per non combinare casini. Facciamo sesso, ma i movimenti non li sento, interpreto una delle tante scene rodate nella mia vita, lei ansima, suda, ma io non riesco a provare nulla. La sento gemere e subito dopo buttarsi su un lato e sussurrare qualcosa. Sudato mi tiro su i wrangler lerci di birra stantia e mi lascio cadere su un tappeto.La mattina dopo vengo risvegliato da un caffè lungo. La mia compagna della serata precedente già è andata via, questo il comunicato di D. Dico che va bene cosi, e ripensandoci su non ricordo manco come si chiamasse, Paola forse. Ma a questo punto poco importava. Sorseggio il liquido nero ed amaro che ho nella tazza. Vado al bagno e do una lavata a gli occhi pesanti e poco attenti. L'impatto con l'acqua fredda è quasi uno shock, ma serve per svegliarmi. D. mi domanda se ho voglia di andare a prendere qualcosa da bere prima di salire su quel maledetto intercity che mi porterà a casa. Do un assenso con il capo per me va bene, cosi ci fermiamo in un bar, in una delle tante piazze. Non avevo ancora smaltito i residui tossici della notte appena trascorsa che sono di nuovo li a buttare dentro lager. L'alcohol dormiente viene risvegliato dal vigore delle molecole nuove introdotte nel mio sangue. Sono nuovamente sbronzo in questi istanti la vita sembra sorriderti nuovamente. Ricordo solo di essere salito sul treno, aver trovato una poltrona libera in un compartimento completo e di aver chiuso gli occhi. Una mano mi da uno scossone, apro gli occhi e un tizio in divisa mi dice che siamo al capolinea. Son passate quasi nove ore, fuori è già buio, ma l'odore di creolina e piscio mi dice che son tornato a casa

martedì 10 gennaio 2012

# EUROTRASH #

Mano nella mano con Cri aspetto che la cinta portabagagli sputi fuori il solito borsone azzurro dell'adidas. A el prat mi hanno cosi massacrato le palle che ho dovuto imbarcare il bagaglio per evitare di sorbire altre mille domande. Dopo circa venti minuti il nastro trasportatore comincia a muoversi a scatti e finalmente escono i primi bagagli. Prendo il borsone e con passo blando ci avviamo all'uscita. Un cazzo di finanziere mi butta il muso del suo cane addosso, lo stronzo pensa che i narcotrafficanti siano cosi coglioni da dare ad uno come me biancaneve. Le porte si aprono e fuori una folla di cartelli e fogli scritti a penna aspettano i vari mrs e miss. Il Caos partenopeo m'investe appena metto piede fuori da quel paese neutrale che sono tutti gli aeroporti. Macchine parcheggiate in tripla fila, cordoni umani di familiari che aspettano sul ciglio della strada il viaggiatore da ripescare. Non ho ancora detto una parola, Cri mi tiene stretta la mano come se avesse paura che scappassi via senza di lei. E' preoccupata per come mi sento e tutto sommato non ha torto. Decido che non ho voglia di buttarmi nella massa per salire sull'autobus cosi ci avviamo alla pensilina dei taxi. Un anziano dai capelli bianchi mi si fionda vicino e con un inglese molto aprossimativo mi dice che il suo taxi è libero. Sorrido e in napoletano gli dico che lo avevo capito. Il vecchio mi guarda perplesso e mi confida che non avevo proprio l'aspetto di un figlio di partenope. Carichiamo il borsone nel porta bagagli e una volta saliti gli dico di portarmi nel mio quartiere. Durante il traggitto chiedo a cri se è stanca, mi dice che sta ok, che ha solo un leggero mal di testa, ma del resto ha fatto tutto in meno di 24 h ed è normale che ora le sue sinapsi paghino pegno. Passiamo tra le strade della mia città, il tassista prende tutte le vie per allungare il brodo così ridendo gli dico che il giro turistico avrei preferito farlo a piedi. Farfuglia qualcosa che suona tanto come "hanno bloccato tante strade". Vabbè, non saranno dieci euro in più che micambiano la vita. Dopo circa venti minuti arriviamo fuori l'ingresso dell'agglomerato di cemento chemi havisto crescere. Noto con malinconia che tutto sembra essere rimasto fermo come quando lasciaiai anni fa questo posto. Mentre attraverso le strade del parco mi scontro con qualche vecchia faccia conosciuta, abbozzo un sorriso e tutti mi femrano per domandarmi come va e cosa cazzo stia facendo,chiacchiere che mi fanno sentire a casa e che in qualche modo trasmettono quel calore un po' invadente che ci caratterizza. Arrivato fuori il portone di casa tiro fuori le chiavi, apro il cancelletto rosso e prenoto l'ascensore. Cri mi domanda quanto tempo ho vissuto in quel posto ed io le rispondo che praticamente ci sono cresciuto. Arrivati all'ultimo piano le vecchie porte dell'ascensore si aprono a fatica. Apro la porta e l'odore di chiuso mi ricorda quando da bambino tornavamo da qualche giorno passato fuori. Stringo la mano di Cri e sento gli occhi inumidirsi. tiro su la tapparella della cucina e noto accumulata la posta sul tavolo . Mia sorella ogni tanto tornava in quella casa, tanto epr vedere se tutto era ok e per raccogliere quel po' di posta. Le fatture e le bollette erano tutte regolarmente pagate. Ho sempre preferito il metodo rid, poche rotture di coglioni e meno pensieri. Chiamo mia sorella per avvisarla che sono a casa, lei mi comunica che è in ospedale e che forse sia meglio che la raggiunga li. Le domando se è morto, la sua voce si interrompe per qualche istante e con tono tremante mi dice che forse ci manca poco. Domado a Cri se ha voglia di accompagnarmi o se preferisce restare in casa a riposare un po'. Con molta fermezza risponde che non ha montato tutto sto casino per lasciarmi poi solo nel momento più difficile. Sono fortunato ad averla, le prendo il viso tra le mani e baciandola la ringrazio. Con una certa fretta raggiungiamo la fermata della metro a pochi passi da casa. Il traggitto non è lungo. Dopo circa mezz'ora mi ritrovo al capezzale di quello che sulla carta è mio padre. Lo vedo li gettato su un letto con tutti sti tubicini che gli entrano dal naso e dal braccio. Mia sorella è li che armeggia col cellulare e quando vedeche sono li mi corre incontro e mi abbraccia scoppiando in un mare di lacrime. La stringo forte e maledico me stesso per non esserci stato ancora una volta. Cri resta in disparte, quasi intimidita e consumata da tutta la storia. Chiedo a mia sorella se puo' smettere di paingere. La voce comincia a tremare anche a me. Si tira i capelli dietro e si soffia il naso con un clinex usato chissà quante volte per asciugarsi gli occhi. Le dico che non sono solo e le indico Cristina. "E' la mia compagna" le annuncio e lei le si fa incontro e l'abbraccia come se la conoscesse da tempo. "Lo siento mucho" sospira con voce mesta, mia sorella mi guarda e le traduco l'espressione. Le lacrime iniziano a scapparle nuovamente e questa volta è cristina che l'abraccia come se fosse sangue del suo sangue. La prima ora passa cosi, dopo che ci siamo dati tutta una calmata ciedo a mia sorella di spiegarmi come è andata la cosa. Mi racconta che era già da tempo che il vecchio era sempre stanco poi la febbre ha iniziato a torturarlo per settimane e infine dopo un attacco respiratorio è stato ricoverato in ospedale. I medici in un primo momento lo avevano ricoverato in rianimazione credendo fosse una polmonite atipica, poi dopo gli accertamenti dissero a mia sorella che la polmonite era dovuta all'aids. Mi confida che si sentì cadere il mondo addosso e non stento a crederla. Tornata a casa del vecchio, racconta, domanda spigazioni alla compagna, la stronza rumena per la quale ha lasciato mia madre e noi. La stronza, ricorda, fa la parte di quella che cade dalle nuvole, poi presa da un minimo di coscienza in lacrime confida a mia sorella che era consapevole della merda che portava in corpo e che mai aveva detto nulla. Tutto filava, del resto potevo anche immaginarlo da solo da dove potesse partire il tutto. Lascio la cri con mia sorella per avvicinarmi a mio padre. L'ho sempre odiato, ma in quell'istante che lo vedevo indifeso, privo di egoismo e ormai agli sgoccioli della sua vita, e in quel momento mi prende uno sconforto che mi fa crollare con le ginocchia a terra. Gli afferro la mano e in lacrime gli grido che mi dispiace. Un infermiere si avvicna e con delicatezza e forza mi stringe le spalle e mi rimette in piedi sussurrandomi di farmi coraggio. Continuo a tenere stretta la mano di mio padre, sento un leggero movimento delle sue dita e i miei occhi cercano i suoi, come quando ero un bambino e per me lui era come dio. Gli occhi mi si annebbiano per colpa delle lacrime l'infermiere mi lascia dalla sua presa e mi da una serie di pacche sulla spalla. Mi avvicino all'orecchio del mio vecchio e gli sussurro che l'ho perdonato e che voglio che lui perdoni me. Sento la su mano stringersi al mio pollice e noto la scintilla nei suoi occhi spegnersi lentamente. L'agonia del vecchio è durata tre giorni. Tre giorni dove ho parlato con lui più di quanto avessi fatto in tutta la mia vita. L'odio che provavo per lui ha lasciato il posto alla tristezza di non aver vissuto nulla del nostro rapporto padre figlio. La stessa notte che il mio vecchio finì chiesi a Cristina di sposarmi e lei tra le lacrime, ma di felicità, mi ha detto di si. Ci siamo sposati in comune, a Lleida, unici invitati erano due sue amiche, la madre venuta apposta da medellin e mia sorella. Oggi viviamo assieme, abbiamo due marmocchi e quella cazzo di monovolume con la casa e le rate del mutuo. Gestiamo insieme uan casa rural e spesso mia sorella ci viene a trovare. Ai piccoli ho dato il nome di mio padre e mia madre, fu stesso cri a volere cosi e oggi vivo una vita tranquilla che forse non immaginavo nenache poter avere qualche anno addietro.
Questo è quanto.
Qui si chiude questa mia esperienza un anno dove ho cercato di tirare le somme di una esistenza, una di tante.
Adeu.


Cap XCV

‎venerdì ‎5 ‎agosto ‎2011, ‏‎03:31:47 | brainiacVai all'articolo completo
E alla fine incontro sempre un cazzo di muro.
Tempo fà presi una nuova sim, il numero nuovo lo diedi solo a due persone, Cristina e mia sorella. Ormai con cristina ci faccio coppia fissa. Ci sto bene con lei e penso che forse sia proprio quella giusta. Spesso ci perdiamo a parlare di come sarebbe un futuro insieme. Una cazzo di casa nostra con un po' di giardino davanti, il salotto con il plasma, la cucina e qualche cazzo di marmocchio. Le domeniche fuori su un prato , le rate del mutuo, la monovolume e cosi via. Sognare non è ancora proibito, neanche per quelli come me. Lei è felice, ogni giorno apro gli occhi e la vedo sorridere cosi come prima di chiuderli l'ultima immagine che ho è il suo sorriso. C'è riuscita, ha spedito fuori a pedate nel culo i demoni che avevo dentro. Sono solo in casa, la Cri è andata a lavorare, cosa che a breve dovrei fare anche io se non voglio restare proprio col culo a terra. Sono li che sfoglio sti cazzo di giornali dove mettono annunci di vario tipo. Come al solito inizio da gli annunci di quei poveri sfigati che voglion trovare la figa spedendo frasi di poeti maledetti e troiate del genere. Sti messaggi si alternano a inviti di transessuali o pseudo escort che provano a prendere all'amo il segaiolo di turno. Mentre son li bello tranquillo mi squilla il telefono. E' mia sorella e la cosa già mi puzza di brutto. Premo il pulsante e già dalle prime sillabe capisco che qualcosa è andato in merda. La sua voce è spezzata, timida e triste. Mi dice che deve dirmi una cosa brutta che riguarda nostro padre. Padre, per modo di dire. S'è beccato il virus. Li per li la cosa quasi non mi sfiora poi sentendo il suo singhiozzare mi prende un nodo alla gola, più che altro perchè mi ricorda tremendamente quando seppellimmo nostra madre. Le dico di stare calma e tranquilla ma è una cazzata, mi domanda se posso tornare per qualche giorno, usa come scusa il fatto che forse è meglio che mi renda conto di persona ma la verità è che vuole il mio conforto e la capisco cazzo. Le dico che mi metto subito in marcia e che forse stesso l'indomani sarò li. Scoppia a piangere e la cosa veramente mi fa andare fuori di testa. Le grido di darsi una calmata e che domani sarò da lei. Metto giù e tiro il telefono contro il divano. Maledico la sorte e la vita, quando tutto sembra andare come deve c'è sempre qualcosa che deve fottermi. Ma questa volta farò le cose fatte per bene. Aspetto che la Cri stacchi da lavoro. La vado a prendere a piedi. Lei lavora come segretaria in una ditta di costruzioni. Sono li che l'aspetto sul marciapiede a pochi passi dall'ingresso del palazzo dove ha sede la società. Appena mi vede cammina svelta verso di me con il suo solito sorriso. Forse la mia faccia non è delle più allegre perchè quando mi è vicina con fare preoccupato mi domanda se è tutto ok. Le racconto della chiamata di mia sorella. Le faccio presente che devo andare a napoli per starle vicino ma le confesso che non ho voglia di andarci solo. Le sue braccia si stringono attorno al mio torace. Sento la sua testa spingere contro il mio sterno e l'unica cosa che riesco a fare è piangere accarezzandole i capelli. Mi prende il viso tra le mani e mi bacia. Dice di aspettarla li qualche minuto, li per li non capisco e la vedo rientrare in ufficio. Dopo circa dieci minuti rieccola correre verso di me. Mi prende per mano e mi trascina via. Mi lascio condurre . Arriviamo in un internet point. Ci sediamo davanti un pc ed io subisco tutto inerme lasciando che sia lei a capire e vedere per me. Sono frastornato e proprio ora non voglio perdere ciò che di più prezioso ho in questa sventurata vita. La vedo smanettare davanti una web di prenotazioni voli. dopo un po' corre a prendere delle stampe e mi mostra l'acquisto del posto per il volo di domani. Do una rapida scorsa e con una certa incredulità vedo che i posti che ha preso sono due non solo uno. Le chiedo cosa significa e lei, con la sua voce decisa e calda mi dice che verrà con me. Era quello che volevo ma che non ero capace di capire. A quelle parole sento il peso della tristezza diminuire notevolmente. L'abbraccio e le chiedo se vuole essere la mia donna. Sorride e accarezzandomi il viso mi risponde che già lo è. E mi ritrovo nuovamente a piangere come un povero coglione.

Cap XCIV

‎giovedì ‎4 ‎agosto ‎2011, ‏‎03:25:06 | brainiacVai all'articolo completo
Cristina è una tipa ok, voglio dire se messa a disposizione, mi ha accolto in casa mi ha riservato un trattamento da cinque stelle cosi, cazzo, decido di sdebitarmi e la invito a cena fuori, in uno di sti ristoranti tutti moderni e tecnologici dove invece che del cibo sembrano portarti un cazzo di quadro. Lei è contenta, si sente che la tratto con i guanti. Quando le dico quello che mi balla in testa mi sfodera uno di quei sorrisi che sembrano accecarti. E' bella, si, ma non quanto yurani. Lei mi spinge delicatamente sul divano del salotto, mi da il telecomando e mi dice che si va a mettere qualcosa di carino. Io le sorrido, le dico che è ok ma che preferisco aspettarla ingannando il tempo con una becks. Mi bacia sulla testa rasata e va in cucina a prendermi una bionda bella ghiacciata. LA ringrazio e faccio saltare su il tappo con l'accendino. Accendo la tv e metto su uno di sti programmi del cazzo dove parlano di famosi e no. Mi scolo la bottiglia e mentre la poggio per terra intravedo la sagoma di Cristina scendere dal piano di sopra. Indossa dei jeans aderenti con ai piedi delle ballerine nere con una fantasia di piccole hello kitty versione dark. Indossa una maglietta nera con vari disegni che si vedono e no e poi se truccata in un modo che non riesco a toglierle gli occhi da dosso. Mi alzo e l'abbraccio, sono già tre giorni che sono da lei e ancora nisba, so che lei lo vuole, ma resisto perchè con lei parlare è come una terapia, un piacere assoluto e so che se scopiamo tutto andrà a troie. Le dico che sta da dio, lei si emoziona e cala lo sguardo con un sorriso da bambina. La bacio sulle labbra e la vedo chiudere gli occhi. Stiamo qualche secondo uniti poi allontano al mia testa e le dico che è ora di andare. La serata passa da dio. Parliamo un po' di tutto, cerco di non tirare in ballo lei, la donna che ho costantemente in testa, ma gira e rigira lei vuole capire in che stato sto nei suoi confronti, cosi mi tocca spalleggiare tutti gli attacchi essendo qunato più vago possibile. Entrambi stiamo un po' brilli. Per fare il figo ho ordinato qualche bottiglia di vino bianco. Il conto sarà bello tosto, ma fanculo, si vive una volta sola. Mi alzo per pagare lei prova a dare la sua parte ma cazzo, non funziona cosi. Saldo il conto e torno a prenderla. Più sto con lei più il mio passato si va dissolvendo nella mia povera mente martoriata. Arriviamo a casa. Appena dentro mi si attacca al collo e con forza mi bacia e mi spinge fino la camera da letto. La lascio fare, sono completamente in balia delle sue mani. Ci stendiamo sul letto. Nella penombra inizio a spogliarla, i suoi neri capelli setosi accarezzano la pelle del mio petto. Facciamo l'amore, non so quante volte, non so quanto tempo, ma finalmete mi sento libero. Come sbattuti fuori a calci i mieie ricordi salutano la mia testa. Yurani, Ana d'olanda e Ana di Spagna, Esther, Cat, Aitor, Marta,il faina, ... Tutti fuori dai coglioni, ora ho solo lei, sono pieno di lei e li nella tranquillità della notte la faccio mia e per la prima volta dopo tanto trovo quel po' di serenità che forse mi rende una persona migliore.

Intermedio 27

‎domenica ‎31 ‎luglio ‎2011, ‏‎03:06:27 | brainiacVai all'articolo completo

Just a perfect day

Cap XCIII

‎sabato ‎30 ‎luglio ‎2011, ‏‎02:49:28 | brainiacVai all'articolo completo
Il treno fa il suo ingresso a LLeida. Il display a led si illumina e avverte che tra 10 minuti le porte si apriranno. Fuori piovigina. ùlascio il mal tempo atlantico per incontrarne uno più mite. La stazione è piccola e non sembra molto frequentata. Un poliziotto passeggia lungo la banchina con le mani dietro la schiena e pensando al "bocata" che lo aspetta in ufficio. Raccolgo il mio borsone e scendo. Un neon verde fosforescente mi indica la via per trovare un po' di quella buona. Entro nel bar e chiedo al tipo una estrella. Vengo servito in pochi istanti e lascio la moneta sul banco. Chiamo cristina da un telefono pubblico e dopo un quarto d'ora è li che mi aspetta fuori dal bar con un ombrellino blu con fantasie floreali. Non è cambiata di molto, i suoi lunghi capelli neri sono rimasti lucenti come la seta e il suo sorriso emana tutto quanto possa rifarsi a quelle dolci e caldi spiagge che tanto mi furono amare. Mi viene incontro e mi abbraccia. La invito ad un caffe e accetta di buona lena. Una volta seduti noto che non è capace di smettere di sorridere. " E allora, cosa mi racconti Cri?" le butto li tanto per rompere il ghiaccio. LE fai spallucce e risponde: "Le solite cose, si lavora si studia e si vive". Le sorrido e mentre le strizzo un occhio avvicino la mia mano alla sua che è poggiata sul tavolino. Arrivano i nostri caffè, il mio lungo lei macchiato. Si inizia a parlare del passato e dei ricordi, la cosa non mi va a genio e provo a sviare il discorso. Ricordare Yurani mi farebbe sputtanare e non voglio giocarmi lei e la sua voglia di me. Quando mi domanda come mai a Lleida le racconto un po' tutto il fatto. Il Faina, la vendetta, la fuga fino a che le acque non si sarebbero calmate. Noto la sua espressione attonita quasi come non credesse a cosa sono capace di fare. Taglio corto e le domando se conosce un posto dove possa dormire e che non costi molto. Lei mi guarda con una faccia da finta incazzata e mi dice che già mi ha preparato il letto a casa sua. Bingo! E' presa. Le sorrido e le prendo la mano tra le mie., mi avvicino al suo viso dagli occhi a mandorla e la pelle olivastra e poso le mie labbra sulle sue

Cap XCII

‎martedì ‎26 ‎luglio ‎2011, ‏‎02:28:50 | brainiacVai all'articolo completo
A Coruña è veramente triste. Città grigia, oceano grigio, cielo grigio e qualche gabbiano che graccia insulti ai pescherecci fetidi di pesce. Saldo il conto con il vecchio riportato. "Finalmente vai via" mi fa lo stronzo, "Finalmente!?" butto li ironicamente "Se sono il tuo cliente migliore!" aggiungo senza troppa enfasi. Gli mollo le banconote e gli dico di evitare di emettere fattura, "Cosi stasera ci resti secco sotto le gambe di qualche troia lardosa". Manco mi guarda che avidamente mette dentro i soldi. Vado via dritto verso la stazione. Decido di andare a Lleida dove so che vive una amica di yurani, una certa Cristina, anche lei colombiana. E' un fottio di tempo che non la vedo e a dirla tutta non so manco se vive ancora in lleida, però sono sicuro che lei aveva una cotta per il sottoscritto, e i nquesto momento un letto con un tetto dove stare senza dare nulla o quasi a cambio sarebbe al bacio. Arrivo in stazione e prendo un foglio di carta dove avevo riportato gran parte dei numeri della sim gettata via. Trovo il suo numero e mi avvio ad un telefono a gettoni. Ci butto dentro una manciata di euro e digito il numero. Il telefono squilla, già è fortuna. Finalmente risponde:
C: "Si, chi è?"
I: "ehm, cristina sono Marco"
C:"Marco? Chi marco, chi ti ha dato il numero??"
I:" tranquilla dai, marco, l'italiano, l'ex di yurani, ricordi?"
C"Ah, Marco, certo, ma come mai chiami? cioè, come stai?"
I:" beh, ho visto tempi migliori, ma tu invece che racconti?"
C:"Solita vita, lavoro, studio e casa"
I:"Ma dai, una come te non puo' fare solo questo, non ti credo eheh"
C:"Come no!? ehehe e che dovrei fare di più?"
I:"ahahahaha bah, io un'idea l'avrei pure, ma...."
C" ma?......"
I"Senti, vivi ancora a lleida?"
C:"certo, perchè? vuoi venire a prendere un caffè eheheheeheh"
I:" uhm si ovvio, un 5 ore e sono da te!"
C:" ......... Pronto?... Marco? Come?"
I:" dai Cristina 4 ore e sono a lleida per prendere un caffè con te, che mi hai appena invitato cazzo"
C:"Ma non prendermi per il culo dai eheheh stupidosempre a rompere i coglioni"
I:"Cristina, 4 ore e sono a lleida in stazione, ok? sto venendo, o forse non ti va? dillo, nessun problema eh"
C:" No no e che non me lo aspettavo, ma hai qualche problema?"
I:" No Cristina, nessuno, ho solo voglia di rivederti, tutto li"
C:" ehehehe wow cioè ok, dai chiamami quando sei in stazione"
I:" Ovvio".
Vado in biglietteria, faccio il ticket e fanculo, quattro ore per poi atterrare tra le sue setose gambe.

Intermedio 26

‎domenica ‎24 ‎luglio ‎2011, ‏‎03:09:33 | brainiacVai all'articolo completo
Le urla che salgono su fino a scagliarsi con le nuvole. L'aria che odora di caffè. L'incessante rumore di passi e parole. Ti guardi attorno e vai dove ti becchi sempre con i soci. Qualche birra, una mare di pacche sulle spalle e tanto nervosismo stemperato con qualche canna. Arriva la soffiata. Si balza tutti in piedi e si corre come ratti per le fogne. Il tempo è poco e bisogna aprofittare. Il pulman è davanti a noi, a proteggerlo un cordone di tute blue. Le grida si trasformano in pietre che si abbattono contro i vetri spessi del mezzo. La pula ti spintona via, ma tu insisti. Iniziano le cariche, i primi soci che cadono a terra e vengono trascinati via. L'aria si fa bianca e irrespirabbile. L'odore acre dei lacrimogeni, corpo a corpo, a tu per tu. Contro un sistema marcio e ipocrità.

Intermedio 25

‎venerdì ‎22 ‎luglio ‎2011, ‏‎02:59:41 | brainiacVai all'articolo completo
Di cazzate se ne fanno tante e quando le compie uno di strada allora apriti cielo. Si viene marchiati come vacche da macello. La praola "criminale", "teppista", "delinquente" diventa oggetto comune sui vari tg di merda e giornali venduti. Tutti quei coglioni che siedono dietro una scrivania da migliaia di euro al mese, che non sanno cosa sia il sudore e la fatica del lavoro, che stanno li a menarselo, escono fuori come funghi dopo una violenta pioggia d'autunno, ogni qualvolta se ne presenta l'occasione. Ma chi è il vero teppista? Colui che mena le mani di comune accordo per liberarsi dalle catene di una vita schematica e corrosiva o il personaggio che in giacca e cravatta scrive e mette in atto azioni che portano il "popolo" alla fame e agli stenti? La catena dell'ipocrisia è semplice. L'anello primo è il venduto scribacchino che dal suo mini loculo hight tech mette in sieme parole scopiazziate da google in un file world che poi viene passato al suo fottuto e grasso porco capo. Da li poi la palla viene passata al "disonorevole" di turno che con la sua faccia grassoccia da pellicano guarda dritto la telecamera manco fosse una cazzo di rock star e si mette a sputare sentenze di cose che non sa manco da dove cazzo vengono. Intanto i suoi "compagni di merende" stritolano con decreti e leggi speciali ogni individuo, condannandogli a vita un debito infinito. Mentre noi siamo nelle stazioni di servizio a pompare benzina, nelle cucine a sudare, nelle fabbriche a produrre e a morire lentamente, loro si grattano le loro grasse e pelose schiene contro le gambe glabre e setose della velina di turno. Il 40% del nostro giorno l'impiegamo per poter portare quei quattro miseri pidocchi a casa che puntualmente da quattro vengono ridotti a due. Tasse, benzina, elettricità, acqua, telefono e loro li a ridere delle nostre miserie mentre accarezzano ventiquattr'ore piene di scroscianti banconote da cinquecento. La chiamano democrazia. Loro s' impossessano di case nei centri più inn per costi miseri, noi strozzati da quegli usurai del sistema bancario a pagare per quattro mura e un buco come cesso. Loro viaggiano gratis, noi paghiamo anche le loro tournè. Vi ripeto la domanda, chi è il vero teppista? Io ragazzo della strada o lui, disonorevole politico?
[...]
Non c'è niente di statico. Tutto va a pezzi.
[...]

Cap XCI

‎giovedì ‎21 ‎luglio ‎2011, ‏‎01:38:33 | brainiacVai all'articolo completo
Non troverò mai pace, se non sono io a mettermi nei guai allora sono i guai che mi trovano e offesi mi placcano con forza e disprezzo. Ormai è una settimana che sto in questa cittadina sull'attlantico. Una cazzo di sera mentre facevo il giro dei bar con i nuovi soci la mia vita si scontra con quella di nuria. Nuria, porcavacca che fuori di testa cazzo. Solitamente quando entro in un posto do una panoramica e se vedo un muso che mi ispira allora cerco in tutti i modi di attaccare bottone e con Nuria andò a finire in questo modo. La stessa notte mi ritrovai catapultato nel suo letto a scopare come un ossesso. La tipa era una vera svitata sotto le lenzuola, numeri da cine porno, e se lo scrvio io allora uno ci puo' mettere la mano sul fuoco. Dopo che me la sono ripassata un paio di volte cado in un cazzo di sonno profondo. Ero li beato che sognavo qualcosa che ora non ricordo che sento come una sensazione gelida sul pisello. Stesso con gli occhi chiusi cerco di recuperare i miei boxer bianchi ma senza successo. Così apro faticosamente le pesanti palpebre e quando metto a fuoco la scena per poco il cuore non mi esce dalla cazzo di bocca. Vedo quella stronza invasata armeggiare con una cazzo di katana il mio arnese. Con un balzo felino scendo dal letto e le grido di posare quella cazzo di lama. Lei sorride e con una voce dolce e mansueta mi dice di stare tranquillo. Tranquillo una merda. Le grido di togliere quell'affare di mezzo, nel frattempo recupero i miei boxer e metto su i jeans. Lei riappende il coltellaccio in una teca che ha in camera e si gira ancora una volta con quel cazzo di sorriso e mi fa: "Stai più tranquillo adesso", cosi la guardo come per farle capire che ha il cervello in tilt e mi esce fuori dalla bocca :" capirai cristo, ho il cuore a mille, come ti saresti svegliata se mi avessi visto sopra di te con un revolver piantato in mezzo alla tua figa?!", lei mi guarda e dopo qualche istante mi da la ragione. Ma a me non basta infilo le scarpe e recupero la maglietto e me la svigno ma lei si mette tra me e la porta d'uscita. Mi domanda dove cazzo stessi andando io provo a spingerla via dalla porta con delicatezza e mentre le sto per rispondere la troia mi molla una ginocchiata nei coglioni. Cado a terra, quasi vomito, e mentre sono li che rantolo le mando una serie di vaffanculo a ripetizione. Lei è vestita solo da un kimono di seta rosso con fantasie asiatiche, mi si china sopa e anche se nel dolore il mio occhio cade nella fessura del kinomo che le dovrebbe coprire la passera. Mi si mette a cavalcioni sopra, all'altezza della gola, bloccandomi con le gambe le braccia. Le palle gridano ancora vendetta e lei mi poggia la farfalla ancora umida e calda sulla bocca. " leccamela cane" mi grida ansimante. Così capisco o almeno ci provo, dico a me stesso che forse è uan di quelle svitate che amano fare le padrone dei propri schiavi. Allungo la lingua e becco il suo clitoride, sento le sue gambe contrarsi per il paicere. LA tipa è fuor idi testa, vero, ma al momento risento capitan america li sotto che resuscita. Mentre sono li che me la lavoro con la lingua vedo con la coda dell'occhi alzarsi la sua mano e dopo una frazione di secondo sento il dolore della sua mano contro il mio viso. LA troia ora inizia anche a prendermi a schiffi. Cosi non resisto. Faccio ponte su me stesso e la scaravento per terra. Lei non se lo aspettava, troppo presa nel godersi la mia lingua tra le sue labbra. Cade con il culo rivolto verso l'alto, non le do nenanche il tempo di rialzarsi che le piombo addosso con il coso ancora tuto in tiro. Ora le parti si sono invertite. Lei grida di lasciarla stare, ma più che un grido di paura sembra essere l'urlo di una che vuole essere ripassata. LE divarico le chiappe, lei prova a guardarmi ma non ci riesce perchè tengo ila sua cazzo di testa bloccata contro il pavimento. Mi prega di non farlo ma un po' per il dolore, un po' per la musica che la tv mandava le urlo che non la sento e allo stesso momento le ficco il mio giocattolo nel tafano a secco. E questa volta sono io a mandarla a fare in culo.

Intermedio 24

‎lunedì ‎18 ‎luglio ‎2011, ‏‎01:54:30 | brainiacVai all'articolo completo
Non mi va la mano. Già cazzo, la sinistra per fortuna. Ho il pollice che fa il cazzo che gli pare meno quello che vorrei fargli fare io. Colpa dei cambi di temperatura e del tendine lacerato mai rimesso a posto, ricordo di quando andavo con i soci a far brigata le domeniche. Sono un quasi giovane, ma se mi metto a fare l'elenco dei probelmi che ho allora cazzo, un vecchio sui settanta puo' stare allegro. Spesso ne ho proprio le palle piene. Qualcuno mi dice di prenderla con filosofia. Sto cazzo. Altri mi dicono che sto pagnado dazio della sventurata vita tenuta fino ad oggi, beh, fanculo. Quanto cazzo mi paicerebbe che un alligatore uscisse fuori dalla tazza del mio cesso e mi divorasse in un unico boccone§!

Intermedio 23

‎sabato ‎16 ‎luglio ‎2011, ‏‎02:19:46 | brainiacVai all'articolo completo
L'aria è pesante, soffoco. Un forte dolore allo stomaco che si contorce mi ricorda che in fin dei conti tutto deve andare di merda. Depressione, amarezza, tristezza, sono solo alcuni degli stati d'animo che si alternano e questa volta l'alcohol non li fa scomparire, anzi li amplifica, e se poi all'orecchio o all'occhio arriva qualcosa che ti fa scattare un ricordo allora sei fregato. Sono passati anni dall'ultima volta che ho visto Yurani. Era su quella panchina di barceloneta, la lasciai voltandole le spalle e sentendo i suoi singhiozzi. Mi disse che si sarebbe sposata. La cosa ancora oggi mi brucia. Era il 2003 ed oggi l'ho rivista, ma solo in foto. E' sempre più bella, sono sempre più innamorato di lei, ma ormai è tardi. Lei ha la sua vita, io la mia. La strada mi ha insegnato la lealtà, ed io sono leale alla mia nuova situazione ma la testa va a mille e dopo che ho rivisto il suo viso sorridente non mi resta che vivere nei ricordi e cercare di mandare giù quel nodo alla gola che pare voglia soffocarmi.
due video, il primo commerciale ma che quando lo mandarono in onda qui in spagna quasi mi strappo qualche lacrima perchè ha avuto la forza di farmi ripensare a lei. E il secondo, una canzone che le dedicai...
bah... voglio un revolver...









Intermedio 22

‎mercoledì ‎13 ‎luglio ‎2011, ‏‎02:42:00 | brainiacVai all'articolo completo
Uhm... Mi ritrovo davanti al notebook a fissare lo schermo bianco con il cursore del programma che lampeggia come a dire "dai cazzo, fa qualcosa". Ho la gola gonfia, in tv si accavallano immagini di stronzi boriosi che stanno pieni di soldi e che sparano solo stronzate. la luce della tv illumina sta cazzo di stanza e gli occhi quasi mi bruciano. Fuori la luna è bianca. Tutto è in silenzio ed io me lo godo o almeno ci provo. Oggi durante la pausa pranzo ho chiamato la mia tatuatrice. E' una tipa ok, ha il manico, ma ogni volta che le parlo mi si squaglia e fa la voce dolce. Come tipo è ok, ma quando c'è di mezzo il sesso le cose poi si complicano sempre, cosi faccio il finto tonto e magari passo anche per scemo, ma meglio cosi . Finisco il braccio dx, poi dovrei finire anche la schiena e tutta l'anca, ma non sono ricco sfondato. Potrei aprirmi un mutuo da 50.000 euro e allora si che diventerei una figurina, ma fanculo. Oggi ero in un supermarket, ho visto una tipa che sìera fatta tatuare la vergine di munch, si proprio quella con le tette da fuori e lo sperma che fa da cornice. Mi ci sono avvicinato e le ho offerto qualcosa da bere. Lei mi ha sorriso, era impacciata e timida ed ho pensato " finalmente una tipa ok che non se la tira". Cosi siamo andati in uno dei tanti bar che stanno in quel cazzo di centro commerciale. Lei ha preso un te al limone, io mi sono mantenuto con una tonica. Abbiamo parlato senza fini secondi. Alla fine ci siam scambiati i numeri telefonici ma non so se la chiamerò mai. Spesso l'adrenalina finisce li, è come quando si va a caccia. Senti il sangue pompare nelle vene, poi l'apoteosi e quando tiri il grilletto ma dopo, nisba, hai solo voglia di tornare a casa e tirarti un ronfo.

Cap XC

‎mercoledì ‎13 ‎luglio ‎2011, ‏‎01:59:47 | brainiacVai all'articolo completo
A Coruña, un posto del cazzo. Noto subito la vicinanza con il cazzo del portogallo. Nulla da ridere, però l'aria che tira non mi va proprio. Appena arrivato mi da il benvenuto una cazzo di pioggerellina, dai quasi trenta gradi catalani si passa ai ventidue atlantici. Il cielo è grigio come il fumo di sigaretta che esce dalla bocca cangrenosa di un vecchio etilico. Il mio animo è gia a terra e il panorama non mi aiuta per un cazzo. Esco dalla stazione e chiamo il primo taxi che becco. Quando entro dico al tipo di portarmi al centro. Lo stronzo mi guarda perplesso ed in uno spagnolo con accento che sembra sardo mi dice che siamo già al centro. Mi gratto la testa cosi gli chiedo dov'è che vanno i turisti e di portarmici. Lo stronzo capisce la zolfa, ingrana la prima e parte. Il tragitto dura dieci minuti e mi lascia all'inizio di una mega piazza con la tipica cattedrale. I gabbiani gracchiano come ossessi. Allungo una banconota da 10 al tassita e scendo. Mi guardo attorno, sento lo stomaco protestare cosi rapidamente do una scorsa per lummare un cazzo di bistrot. In piazza soliti localini scicchettoni, non ho voglia di farmi inculare più del dovuto per un po' di sbobba. Inizio cosi a girovagare e passo dopo passo mi ritrovo su una strada che mi sbatte in faccia l'orizzonte dell'oceano. Attraverso le corsie facendo attenzione ai semafori e una volta face to face con l'oceano mi siedo su una panca e mi perdo nei pensieri. Il clima non è dei migliori cosi tiro fuori dal mio borsone una felapa con cappuccio che non esito a metter su. Non so quanto tempo sia trascorso ma lo stomaco inizia veramente a rompere i coglini. Mi rimetto in marcia e mi ributto tra i vicoli di questa città in miniatura. La salsedine inizia a fondersi con il cotone dei miei vestiti. Mi ritrovo in una strada chiamata Calle de la torre, trovo quella che sembra una pensioncina a mezza stella. L'ingresso e stile anni 60, mattonelle marroni reception in simil-legno tirolese di plastica. Seduto su una sedia che si mantiene per scommessa con le forze di gravità c'è un vecchio con un riporto da paura. Sta li abbacchiato e quando faccio rumore per svegliarlo per poco non gli prende un infarto. Si scusa, dico di stare tranquillo e di farsi un po' d'acqua. Mi guarda da sopra gli occhiali come per capire se lo voglio prendere per culo o son serio. Gli mollo un sorriso e gli chiedo se ha una camera singola. "Solo doppie signore" mi fa con una voce rauca. "vada per la doppia" e gli passo un documento. Legge dove sono nato e inizia elencandomi tutti i cazzo di luoghi comuni come la pizza, il vesuvio e la cazzo della loren, poi quando vengono a napoli e si fanno un giro per la città sembrano sempre cadere da un cazzo di sogno. Mi passa le chiavi che afferro con una certa rapidità. Ho solo voglia di farmi uan doccia e mollare uno stronzo. Quadno apro la porta non resto meravigliato dalla miseria e fatiscienza della stanza. Due brande senza testata con due materassi che spingono contro una parete, qualche mattonella rotta e un televisore che forse a venderlo ad un antiquario si farebbe della grana. Sul copriletto marrone stile coperta di lana della marina c'è poggiato una asciugamano bianca. La apro ed è rammendata da fare schifo ma almeno odora di candegina. Vado la cesso e la luce si accende tirando una catenina, avevo visto cose del genere solo nei film di fellini, la cosa mi fa pensare ai miei nonni e quanto mim ancassero ocn mia madre. Per un momento noto un nodo alla gola, cosi apro le tendine di pastica della minivasca e cerco di scacciare i ricordi con quell'acqua calda. Fortunatamente avevo una pietra di sapone in borsa, mi lavo e mi rilasso e una volta asciutto tiro via il copriletto e mi butto sulla branda. Il rumore è di quelli assordanti e vedo il mio corpo sprofondare tra le lenzuola che coprono quel materasso dell'epoca di franco. Al mio risveglio noto che il sole ha lasciato il posto alla luna. Metto su un giacchino più pesante e scendo in strada a vedere cosa si dice. Cammino senza una meta e mi ficco in un piccolo bar braceria non lontano dall'albergo. Dentro ci son pochi stronzi che restano li a fissarmi per mezz'ora. Saluto il capo al banco e gli chiedo una chiara e qualcosa da masticare. Mi chiede se mi va bene del pulpo alla gallega con patats e gli faccio pollice all'insù. Il piatto è bello abbondante e la fame lo fa diventare più buono di una cazzo di pasta fattami dallo stesso vissani in persona. Tiro giù la lager e ne chiedo subito un'altra. Fuori si sente che il vento inizia a picchiare contro le finestre, "tempo di merda" sussurro al capo al banco che mi fa di si con il solo capo. Noto che qui la gente ha veramente tanta voglia di divertirsi. Sono le dieci ed il bar è vuoto, ma poi vedo entrare un gruppo. Per qualche secondo mi si raggela il sangue, sono tutti rasati e con bomber, mi preparo alla requisitoria cosi manco i ltempo di finirmi la seconda che un tizio sulla trentina mi viene contro e a muso duro mi domanda chi cazzo sono. Dalle toppe e i colori capisco che sono come il minchione di aitor, cosi tiro fuori la maglietta dai jeans e faccio vedere la megacucita che ho sul costato ancora rosso sangue. Lo stronzo mi guarda come se fossi un pazzo e mentre rimetto la maglietta nei pantaloni faccio il nome di aitor e il suo entourage. Lo stronzo si gratta nervosamente la testa, poi gli si illumina qualcosa in quella testa di cazzo che ha e mi domanda se fossi io quel personaggio di cui aveva sentito parlare. Dico di si con la testae mi ritrovo sto coglione avvinghiato addosso e che mi offre da bere. Uno ad uno i suoi soci mi si presentano, do la mano a tutti e come sospettavo, la notizia del casino a bcn aveva già fatto il giro di mezza spagna.

Cap LXXXIX

‎venerdì ‎8 ‎luglio ‎2011, ‏‎02:38:29 | brainiacVai all'articolo completo
Vivere solo il presente è una delle sensazioni migliori. Se ti fermi a pensare a cosa possa andare male domani, allora smetti di vivere, aspettando unicamente il momento storto. Andai da Javi, ma il suo bar era chiuso. La cosa mi impattò di brutto. Ora mi ritrovo a casa. Un monolocale di merda preso in fitto. Chiamarlo casa mi da la nausea, cosi come la mia fottuta vita. Il dolore al costato non vuole lasciarmi. Orami è diventato un compagno di viaggi inseparabile. L'unico che ho avuto in tutta la mia vita. Prendo tutto quello che ho sotto mano. Scaravento le mie poche magliette e pantaloni in un borsone azzurro dell'adidas con quella bellissima foglia bianca a tre punte che fa molto anni 70. Tiro la zip e sbatto la porta alle mie spalle come se il rumore dovesse spaventare quei demoni che mi seguono in ogni dove. Saranno le due del mattino, per strada non c'è nessuno. Vado alla pensilina della fermata dei bus e armato di sigarette e tanta pazienza aspetto che passi il primo buono per la stazione. Sto li mezz'ora e la panca in acciaio zincato inizia a rimepirsi di "desaparecidos" di ogni etnia. Gente che lavora dietro le quinte e che non alza mai la testa. Arriva quello buono e come tanti zombi ci mettiamo in fila per salire su. Mi siedo al fianco di una ragazza nera come la notte . I suoi lineamenti sono agrazziati e dolci e il bianco dei suoi occhi contrasta con il colore ebano della sua pelle. Le domando dove va, ma non mi risponde e continua a guardare dritta in un punto non precisato come se non mi sentisse quasi come se fossi un fantasma perso nella notte alla ricerca della sua redenzione. Tiro fuori dal borsone un cappello con visiera dei gunners. Vecchio trofeo di guerra dei tempi d'oro londinesi. Mi copro gli occhi nella vana speranza di diventare invisibile a tutti. Sento il cellulare vibrare, lo prendo e sul display compare il nome di esther. Metto su occupato e le scrivo di non cercarmi più, la cosa mi rattrista ma inutile farle perdere del tempo. Lei ha bisogno di uno ben piantato, io sono l'opposto. Apro il cellulare dal lato della batteria estraggo la sim e la piego fino a spazzarla. Arrivo finalmente a El sants. Scendo e la stazione sembra abitata da anime vaganti alla ricerca di pace. Vado sul mega tabellone degli orari e scelgo la mia destinzaione. Non so cosa mi aspetterà ma sicuramente la fama mi farà da battistrada. Mi avvicino al distributore automatico di biglietti. Ci butto dentro una banconota da 50€ e marco sul touch screen le lettere della mia prossima città. Metto il biglietto in tasca ed entro in un bar piccolo e sporco ancora aperto. Mi siedo al banco e prendo un bicchiere di latte caldo con caffè. I minuti sembrano non trascorrere, e come se aspettassi da una eternità, alla fine il megaschermo delle partenze illumina il mio treno e in giallo lampeggia la scritta "A Coruña" ... Salgo sul convoglio della RENFE e aspetto che questo verme d'acciaio sfrecci nell'alba verso il nord'ovest.

Intermedio 21

‎venerdì ‎1 ‎luglio ‎2011, ‏‎02:49:14 | brainiacVai all'articolo completo
L'afa è bestiale. Anche il ventilatore sembra arrancare. Fuori è notte. Le luci della città si fondono con il firmamento nero. Tra lo stacco regna un colore violaceo che sale cambiando di tonalità fino al blu pressiano di questa schifosissima notte. L'aria è acre, l'asfalto rilascia il calore accumulato durante le ore diurne. Le suole dei miei vecchi anfibi rimbombano ad ogni passo. Porto quello che resta di una bud alla bocca. Ormai è calda, scende giù come del piscio di cane. L'acohol ha ormai preso il possesso delle mie sinapsi. La vita non ti sembra cosi lurida. Un gatto si arrampica su di un cazzo di bidone dell'immondizia. In lontananza sento il rumore dei pistoni idraulici del camion di raccolta. Sbocco, troppa roba nella fottuta pancia. Dovrei smettere, ma forse ho solo voglia di suicidarmi a piccole dosi.

Cap LXXXVIII

‎giovedì ‎30 ‎giugno ‎2011, ‏‎08:01:29 | brainiacVai all'articolo completo
Forse quel coglione del mio vecchio aveva ragione. Sarò sempre una merda. Ma una merda che ha deciso cosa farne della sua vita. Se mi sono rovinato l'ho fatto perchè voluto e fanculo tutte quelle cazzate sulla provvidenza o il fato, son troiate che solo uno come verga poteva scrivere. Il risveglio a casa di aitor e quasi come un appuntamento con l'ansia. Dopo che mi aveva risistemato mi ero attaccato a quello che era rimasto nella bottiglia, la cosa mi ha fatto crollare sul divano in un sonno febbrile e nervoso. Gli incubi presero possesso del mio inconscio e spesso mi ero tirato su in una pozza di sudore sicuro di una irruzione dei pulotti. E' mattina, lo so perchè intravedo la luce passare dai forellini delle tapparelle completamente calate. Il dolore e ancora presente, ma molto meno intenso. Vedo marta venirmi incontro con una tazza fumanete e delle pasticche. Mi passa il vassoio e mi dice che sono degli antibiotici ad ampio spettro. Mi tocca la fronte e il contatto con la sua mano fredda è veramente piacevole. Ho la temperatura alta, lo so e lo vedo dall'espressione preocupata di Marta. Butto giù le pasticche seguite da quel latte caldo. Appena finisco vedo aitor entrare in camera. Mi domanda come va ed io rispondo che ho vissuto giorni più felici. Molla una risata e mi da una pacca sul petto. Passano pochi minuti e il campanello di casa suona. Salto dallo spavento e cerco con gli occhi aitor. Mi dice che è tutto ok, va ad aprire e dopo qualche secondo entra un tipo sulla quarantina con in mano un paio di giornali locali. " Fantastico cazzo, fantastico figli di troia, l'avete piantata veramente bene!" sputa fuori con un sorriso su quella faccia grassa e mal rasata. Aitor si guarda compiaciuto con un sorriso del cazzo su quelle labbra. Lo stronzo ciccione sbatte i giornali sul tavolino che ho davanti diretamente aperti sulla notizia del giorno: " Gruppo di skin assalta bar della comunita rumena " questo il titolo in caratteri cubitali. Subito dopo, sotto il titolo, una scritta in neretto recita che nel bar sopraggiunta la pula han trovato armi da fuoco non dichiarate e notevoli quantità di cocaina e anfetamine per un valore di circa sessantamila euro. "Ci siam fatti il nome qui cazzo!" Grida tutto esaltato come una jap che l'ha appena preso nel tafanario da un enorme cobra nero. Poi si rivolge verso di me e fa "sei tu che ha dato la scintilla". Che gran testa di cazzo. Chiedo a marta se puo' darmi una mano ad alzare il culo, ho bisogno del cesso e non so manco dove sta. Mi congendo dal ciccio-stronzo e da aitor e accompagnato da marta mi dirigo verso la stanza da bagno. Quando siamo fuori dalla portata dei due domando chi fosse quel lardoso del cazzo. Marta si porta l'indice sulla bocca e dice di non urlare, poi tirandomi per la maglietta mi porta in una camera dove socchiude la porta. Sarà la febbre o i ferormoni che la tipa ha lasciato nell'aria ma quando mi si avvicina per dirmi qualcosa nell'orecchio sento il capitano li sotto che si mette bello sull'attenti. Le sue labbra buttano fuori una sequenza di parole, la per la non ci faccio caso, colpa del cazzo in tiro, poi mi do una calmata e comincio a recepire. Lo stronzo e il capetto di una formazioncina politica di estrema destra di stampo franchista che sta prendendo piede nella zona. Il tipico stronzo che non superera mai una elezione in parole povere. Finito di parlare la vedo aprire la porta ed uscire lentamente, mentre lo fa i miei occhi cadono su quel bel culo avvolto nei jeans. Sarà l'effetto degli antidolorifici della notte prima ma sento il dolore venire meno. Marta mi indica il bagno, sorridendo le chiedo se vuole farmi compagnia, le dico che mi fa male il braccio e che non posso mantenermelo. La stronza non è di bocca fina, quindi posso permettermi aprocci più spinti. Lei mi guarda e da gran civetta stuzzicacazzi sorriede e mi dice di non fare il coglione. La stronza ci sta. Uscita marta mi siedo sul cesso per mollare uno stronzo. Ragiono un po sul dafarsi e convengo che forse è meglio togliersi dai coglioni per un po' almeno fino a quando le acque non si siano calmate. Tanto so che i pulotti non hanno un cazzo d ivoglia di beccarci, dato che abbiamo strigliato degli spurghi dell' est europa. Mente lo sento impattare con l'acqua del cesso pesno che è arrivata l'ora di andare a trovare nuovamente javi...

Cap LXXXVII

‎sabato ‎25 ‎giugno ‎2011, ‏‎02:00:23 | brainiacVai all'articolo completo
Il dolore è veramente tanto. Sono sulla honda di aitor che sfrecciamo per le buie strade di zone residenziali intorno la città. Case tutte uguali, strade identiche, isole apparentemente felici nel mezzo del nulla. Arriviamo davanti un cancello di una villetta. Aitor suona il clacson della sua moto. Le porte si aprono e una svampita luce gialla lampeggia indicando che l'entrata è libera. Aitor sgomma ed entra con uno scatto roboante in un piccolo giardino. Sulla porta intravedo uan figura femminile. Smontiamo dalla sella. Il dolore è atroce, mi piego in due e cado in ginocchio. Aitor mi viene vicino e mi tira su. Mi afferra da sotto la spalla, ho voglia di vomitare ma tengo duro. Camminiamo a fatica fino quella fottuta porta che si spalanca. Riconosco quella figura nascosta dalle tenebre. E' la tipa di aitor, quella che stava al suo fianco mentre il coglione si spendeva la sua paga in quelle cazzo di videopoker. Mi guarda spaventata, la saluto e abbozzo un sorriso. Aitor ironicamente mi da il benvenuto a casa sua. "Apprezzo le buone maniere" sputo fuori debolmente. Aitor scompare dietro una porta, Marta è li che mi si è piazzata come un palo davanti il cazzo. Si mordicchia nervosamente le dita, le dico di stare tranquilla che è una cazzata, ma lei è nervosa. Mi chiede se ho voglia di qualcosa e in quel preciso momento irrompe aitor con una valigetta di plastica con su una cazzo di croce verde e una bottiglia di JD. Apre la bottiglia e me la passa dicendo di buttare giù quanto più possa. Seguo il suo consiglio e do dei lunghi e assetati sorsi. L'impatto di quel piscio di cammello con la gola è bello tosto. Quasi sbocco e non so se per il dolore o lo schifo di quel JD caldo e maleodorante. L'alcohol lenisce gli effetti della nottata. Aitor apre la valiggetta e tira fuori delle gazze che imbeve in tintura di iodio. Mi fa tirare su la maglietta e lo spettacolo non è certo piacevole. "Porcatroia, Marta metti su a bollire della cazzo di acqua, cristo" impreca mordichiandosi il labbro. Do un'occhiata e quello che vedo non mi piace per un cazzo. Aitor inizia a pulire tutto quello che ho intorno alla ferita poi mi spara giusto dentro della tintura di iodio. La cosa non è piacevole cosi butto giù dell'altro jd. Marta ritorna con la pentola fumante. L'acqua ha bollito e aitor dalla cassetta prende un ago e del filo e immerge il tutto nell'acqua bollente. Mi passa un telo da bagno e mi dice di mordere il telo in caso di dolore. Lo stronzo ci sa fare, mi ricuce in pochi secondi. Sento che sto per svenire per il dolore e la fatica, aitor mi passa dei panni puliti e mi indica il bagno e la doccia. Metto tutti i miei vestiti in una busta, uscito dalla doccia mi vesto con quelo che mi ha passato aitor. Esco fuori dal cesso e mi becco aitor con una tanica di benzina in mano. Mi ci avvicino e insieme usciao dalla casa. A pochi passi aitor mi dice di buttarci su quel sacchetto ocn i miei vestiti, eseguo e dopo qualche secondo Ci getta della benzina e gli da fuoco,

Cap LXXXVI

‎martedì ‎21 ‎giugno ‎2011, ‏‎01:49:35 | brainiacVai all'articolo completo
E' notte fonda, è tutto pronto. Nella testa mi rimbomba "Rivolta" dei Plastic Surgey. L'atmosfera sembra surreale. Sono li con aitor davanti al bar. I suoi soci sono in una strada laterale chiusi in un transit. Aspettano solo un segnale dal loro capo. Aitor sputa per terra, pregusta l'odore del sangue. Si porta la mano alla bocca e inizia a mordicchiarsi le nocche. Io cerco di mantenere i nervi saldi. Non mi sono mai tirato indietro quando c'è stato da menare le mani, ma qui è diverso, sono sempre stato preso a caldo, un cazzo e partire quando la situazione è già bella rovente, altro quando sei tu a premeditare a freddo il piano. Tra la teppa intravedo il faina. Stringo la mano sulla spalla di aitor, cosi come da segnale accordato prima. Aitor muove leggermente il capo. Scendiamo dal suo honda, ci guardiamo intorno, siamo li a pochi metri dall'ingresso del bar. Aitor fa un fischio. Le porte del transit si aprono. Come il vento scendono i soci di aitor. Irrompiamo nel bar, il tempo sembra dilatarsi. Vivo tutto come in una infinita moviola. I secondi sembrano essere minuti e i minuti ore. Gli stronzi dentro strabuzzano gli occhi. Il fattore sorpresa è fondamentale. Chi parte secondo salta l'arrivo. L'aria è satura di quell'odore tipico della tensione, della paura. Aitor tira fuori una spranga, carica il braccio e "bang" sferra il primo colpo allo stomaco di uno stronzo di mezza età mezzo sbronzo. Vedo il tipo colpito d'aitor accartocciarsi a terra. Inizia il delirio. I soci di aitor iniziano a devastare tutto come sciami di cavallette. Il rumore dei vetri mi fa male alle orecchie. Il pavimento inizia ad essere appiccicoso per via di tutti i liquidi di birre e alcolici che si sono andati a distruggere su quelle cazzo di mattonelle. Vedo uno di questi romeni dal collo taurino e rosso mollare un cazzo di cartone a uno dei nostri. Il povero coglione cade a terra. Sembra svenuto, ma poi noto una reazione. Prendo una sedia dal lato dello schienale. La scaravento con tutta la mia forza sulla schiena del coglione dal collo taurino. L'impatto è devastante. Le vibrazioni dell'impatto mi fan venire un male boia alle spalle. Dal dolore sono costretto a mollare la presa. Con incredulità mi rendo conto che la sedia si è rotta in tre pezzi sul povero stronzo, che a sua volta si accascia terra gridando dal dolore. All'improvviso sento una fitta seguita da un ronzio infinito nelle orecchie. Non so dove mi fa male, ma è una cosa insopportabile. Capisco che qualcosa mi ha colpito. Indossavo una maglietta della merc. Era bianca, ora è violacea. Zuppa di sangue. Il mio. Porto la mano alla testa e sento una ondata di liquido caldo e denso. Ho un bel cazzo di taglio sulla pelata. Lungo il mio corpo rivoli di sangue scivolano via e prima di lasciar la mia pelle si ragrumano come tanti rovi. Il locale è devastato. Vedo rasati e non che le danno e le prendono di santa ragione, vedo smorfie di dolore, vedo gente portarsi le mani al volto e urlare per il dolore. Mi faccio strada con spintoni e calci. Nella mischia intravedo il mio uomo. Il faina è li, chiuso in un angolo con in mano un coltello a molla. La merda si tiene fuori dal casino, non ha le palle di gettarsi nel caos. Lo punto, lui mi vede e dal suo sguardo vedo che ha capito che quell'inferno è esploso per colpa sua. Mi avvicino al bancone, prendo una bottiglia di becks mezza piena. La scaglio contro il faina ma lo stronzo la schiva senza problemi. Prende coraggio, vedo che inizia a caricare contro di me. Ha la lama bella stretta nel suo pugno destro. E' a pochi passi. Posso sentire la puzza del suo alito a cipolla. Affonda il colpo. Provo a scanzarmi. Sento il gelo della lama accarezzarmi il costato seguito da un forte bruciore. Lo stronzo mi ha preso, il dolore è lancinante. Cerco di mantenere la calma, è questione di secondi, vita o morte. Metto la mano in tasca e stringo le chiavi nel pugno della mano facendo uscire l'estremita appuntita della chiave, come una freccia, dalle falangi delle mie dita. Sferro un cazzoto puntando al basso adome di quel bastardo. Il colpo va a segno. La chiave che stringo nel pugno sprofonda nella carne della sua coscia. Il faina perde l'equilibrio, mi ci butto sopra stile rugbista. Andiamo a sbattere contro un tavolo e relative sedie. L'impatto con il suolo non lo sento. Sono sopra di lui. Ha gli occhi chiusi, quella sua faccia spigolosa mi fa ancora più schifo in quella smorfia di dolore. Mi siedo a cavalcioni sul suo sterno bloccandogli le braccia facendo pressione con le ginocchia sui suoi gomiti. Gli afferro la testa per le orecchie e gli grido di aprire gli occhi. Una volta che li tiene aperti gli sferro una poderosa testata sul naso. Sento il rumore del suo naso rompersi all'impatto con la mia fronte. Alzo il capo e vedo scendere dal suo naso una cascata di sangue. Mi tiro su a fatica, il finaco mi brucia da far schifo, mi ci porto la mano sopra e ci presso su. Il sangue ragrumato sul capo inizia a pizzicarmi. Il faina e li a terra esamine. Si lamenta ma non capisco cosa cazzo stia dicendo. Ricordo il risveglio in ospedale, il dolore dei primi giorni, il tubo che usciva dal mio pisello per farmi urinare, il dolore per alzarmi e andare al cesso a mollare uno stronzo. Cerco di provare pietà per quel rottame d'uomo che ho ai miei piedi, ma non ci riesco. Carico la gamba e gli sferro un pestone nel basso ventre. Come la coda appena tagliata di una lucertola lo vedo contorcesi dal dolore. Sono li che mi godo lo spettacolo. Sono tutto bagnato e non so se dal sudore o dal sangue. Sento una mano scuotermi la spalla, mi giro e vedo aitor urlarmi qualcosa. Non lo sento, nelle orecchie dopo il primo colpo alla testa ho sempre quel fastidioso ronzio. Dal labiale capisco che mi urla di telare. Lo seguo, vedo nel bar devastato un fuggi fuggi confuso e spasmotico. Monto in sella , mi agrappo ad aitor e il rombo della moto sostituisce quel fastidiosissimo ronzio...

Intermedio 20

‎sabato ‎18 ‎giugno ‎2011, ‏‎02:20:25 | brainiacVai all'articolo completo
Vaffanculo, mi stai veramente sui coglioni. Con i tuoi occhialini, la tua giacchetta marroncina del cazzo e i tuoi volantini sotto al braccio. Ecco, non stare li a darli fuori una stazione del metro, passateli per il culo. Ruvidi? Ah, pensavo ti piacesse cartavetrarti il buco di quel culo impestato che hai. Fanculo! Già, poi ci sei tu, coglione! Noto con piacere che hai comprato la nuova linea de "la coste", o cazzo, indossi delle hogan nuove. Guidi un cazzo di suv? Vuoi un panino? Stronzo di un minchione, vai tutto in tiro e manco i soldi per un ristornate? Mangi il tuo bel panino e ostenti tantissimi soldi. Levati davanti che con la baguette mi ci scopo quella troia di tua moglie, ovviamente D&G. Ah, guarda chi c'è. Si è proprio li, in giacca e cravatta il damerino. Non lo vedi? Ma come è proprio li sotto l'insegna della immobiliare per cui lavora. Scusa, ma quante case hai venduto, nessuna!? Un garage? Zero? Cazzo, coglione vai li tutto acchittato manco fossi il meglio di wall street e non sei stato manco cazzo di vendere una posta per biciclette? Dai cazzone ocntinua a pagarti quel cazzo di vestito che hai preso a rate... Quanto mi piacerebbe che babbo natale mi regalasse un mini uzi e ridurvi in tante merde da concimaia. Il mio disprezzo vale troppo per voi, manco vi odio, mi fate solo schifo.

Cap LXXXV

‎giovedì ‎16 ‎giugno ‎2011, ‏‎02:03:22 | brainiacVai all'articolo completo
Sono le ventitre, sto fuori al piccolo balcone che da sulla strada. L'afa è veramente insopportabile. Giù in strada vanno e vengono auto e bus. Prendo una cazzo di lager dal frigo e mi siedo sul pavimento del balconcino poggiando la schiane sull'asola di marmo. Il primo impatto è bello fresco e la cosa è gradevole. Apro la latta e inizio a sparare giù la lager pensando al dafarsi. Ragiono se non sia il caso di lasciar stare, del resto io ho dato la paga a lui e lui poi me l'ha restituita con i cazzo degli interessi. Poi ripenso al fatto che già ho aizato per benino quel mastino di aitor, un mastino, si, ma con poca roba organica in testa. Finisco la latta, e mentre sto mi alzo mi squilla il cellulare. E' esther, è da un po' che non la calcolo e forse si starà domandando se ho già imbucato qualcun'altra. Decido di farla cuocere un po' cosi non rispondo e metto la suoneria bassa. Entro in casa, metto su un pezzo del mio amico di madrid Javi, punk-oi stradaiolo senza la rottura di cazzo del disagio sociale o politica dei coglioni, solo alcohol e sesso. Indosso un pantalone di tuta e una canotta nera. Calzo le mie adidas e sgattaiolo fuori dalla porta. Fermo il primo Taxi che lumo, salgo e dico al socio di portarmi a Santa Eulalia. Il tipo non fa una domanda e sgomma . Pasano quindici minuti e mi ritrovo nel bar "el Pinxo". Aitor è li sempre a giocarsi quei pochi euro che ha con la sua "tragaperra". Stavolta è in compagnia di altri tipi, faccie poco raccomandabili, ma la mia non è da meno. Forse è la mia fisicità, oppure i tatuaggi che alla luce del neon sembrano ruggire odio e rancore ma sta di fatto che nessuno ha le palle di farmi una domanda. Chiedo al barista di spillarmene un paio, una per me e l'altra per il cazzone di aitor. Quest'ultimo sente la mia voce e si gira rotando su quel cazzo di sgabello. Mi sorride e mi domanda se so dove andare a pescare lo stronzo. Prendo la pinta, sorseggio un po', poi prendo la seconda e la porgo al coglione, gli strizzo il fottuto occhio e gli dico di non menarselo troppo che a breve c'è da divertirsi. Prende la birra mi offre un brindisi che accetto e mi da una pacca sulla spalla. Subito dopo passa alle presentazioni, mi dice un po' i nomi di sti ragazzotti, manovalanza delle curve dell' Espanyol. Dispenso sorrisi e pacche sulle spalle, ma a dirla tutta solo a guardarli mi stanno sulle palle. Finisco il mio boccale e dico ad aitor di seguirmi al cesso. Sorride e spara la cazzata " Non pensavo ti andasse già di farlo", gli seguo la corrente e sculettando come una checca gli dico che ho pronto il mio bastoncino per il suo bel buchetto. Una volta dentro tolgo da quella mia faccia il sorriso da cazzone. Gli passo il foglio e gli domando se sa dove cazzo sia. Lui dice che sa più o meno dov'è. Gli domando se ha l'auto e di andarci a fare un primo giro per vedere che aria tira. L'idea gli piace, mi dice di seguirlo. rientriamo nella sala, prende due caschi e dice alla sua brigata di aspettarlo li. Usciamo, l'aria è sempre più afosa. Montiamo su una cbr 600 nera. Il rumore è assordante. La partenza è di quelle grintose. Dopo circa ventiminuti siamo nella zona interessata. Notiamo subito un bar con fuori tutta una serie di etilici dai tratti caucasici. Tra quelle facce di merda ne riconosco una. Faccio una leggera pressione sul braccio di aitor, lui capisce e sgommiamo via. Ritornati al Bar gli dico che tra gli zingari c'era uno di quelli che mi han lasciato in ospedale. Lui sorride tutto gasato e mi domanda se per la notte di domani mi va bene. Annuisco con la testa e con qualche pensiero di troppo che impegna i miei neuroni mi siedo con lui ad un tavolino di palstica del pinxo dove riiniziamo a bere da far schifo. Nel frattempo il telefono squilla, è ancora esther, inizia a darmi sui nervi...

Cap LXXXIV

‎mercoledì ‎15 ‎giugno ‎2011, ‏‎02:12:14 | brainiacVai all'articolo completo
Ho la testa che pulsa di brutto. Continuo a massaggiarmi le tempie per paura che scappi via della materia grigia. Sono solo le nove del mattino e ho la testa in merda, la giornata non promette per un cazzo. Mi fermo al primo bar che ho sotto gli occhi entro ed ordino un caffè con latte. Lo stronzo al banco mi guarda dalla testa ai piedi, manco fossi un lebroso, così gli dico di darsi una cazzo di mossa che non ho tutto il cazzo del tempo di sto mondo per buttar giù quella cazzo di acqua sporca che chiamano caffè. Tiro tutto di un fiato e lascio quattro euro sul bancone dicendogli che non voglio resto. Esco di gran carriera. La città è gia bella viva. Tanti turisti, un fottio di autobus che scorrazzano culi vecchi e non di ogni angolo del mondo per le vie di Barcelona. Due giorni fà ristetti da Javi al quale chiesi di reperire quante più notizie su quel cazzo di faina. Javi non lavora per la pula, non è dei servizi segreti ma sa una marea di cazzi e ha molti amici. Entro in metro, anche quella piena da far schifo. Così mi metto l'animo in croce e facio passare il tempo lumando qualche ragazza di bell'aspetto. Oggi c'è materiale niente male, il caldo oltre ad agravare il mio mal di testa mi fa venire anche più voglia di scopare. Del resto siamo naimali, disegnati dal creatore in un certo modo. Provo ad attaccare bottone con una ragazza inglese. Viene da Newcastle, una jordy del cazzo, bianca come un fantasma ma con un fisico asciutto. Mi domanda se sono del sud ed io le rispondo di si, se per sud intende il sud italia. La stronza molla uan tipica risata sguaiata da Korea inglese ed io le mantengo il filo ridendo di gusto. Siamo in prossimità di Plaza Catalunya, cosi mi alzo e mi preparo a salir fuori da quella latta, ovvimanete anche lei con la sua socia deve scendere. Cosi mi ritrovo con queste due tipe a scendere lungo la rambla. Scambio due chiacchiere e mi faccio dire dove sta, è pur sempre una possibile scopata gratis e la cosa non sta male. La saluto con un bacio sulla guancia e la promessa che mi sarei fatto vivo. Aumento il passo e mi getto nel vicolo che poi da direttamente sul bar di Javi. Entro spedito, saluto lo stronzo con un bel sorrisone, lui, ovviamente è sempre li a pulire quei cazzo di bicchieri. Il bar è deserto, mi siedo di fronte a lui e gli chiedo di spillarmene una. "Porcocazzo, sono solo le dieci del mattino e già inizi cristo" mi fa ridendo di gusto. Accendo una siga e gli dico che ho un mal di testa da far schifo e che ho bisogno di stordirlo. " Ci sono le cazzo di aspirine per quello ", ma non mi dire, penso tra me e me. Oggi il coglione è simpatico, avrà scopato con la sua vecchia ieri notte. Gli domando se ha quello che cerco, lui fa cenno di si col capo si porta la mano dietro la tasca dei pantaloni e tira fuori un foglietto di carta ripiegato su se stesso. Lo poggia sul tavolo e senza toglierci la mano da sopra lo fa scivolare fin sotto il mio bicchiere. Senza manco aprirlo lo porto alla tasca e sorridendo lo ringrazio. Mi sputa tra i denti di stare attento, che con quella merda non si scherza. Lo so bene, ma era diventata uan questione di orgolio, e l'orgolio si sa, per gli uomini e come il pene. La testa fa veramente male, cosi chiedo a javi se ha un'aspirina o qualcosa, sorride ancora una volta e stavolta si porta la mano al taschino della camicia e tira fuori il pacchetto di siga. Gli dico che ho bisogno di una cazzo d'aspirina e no di una malboro light. Lui mi dice di chiudere il cesso e dal pacchetto di malboro tira fuori un pallino d'alluminio. "Ti servirà stronzo ma non ti ci abituare a sti regali", stavolta sono io che rido, metto quella sfera certosinamente confezionata in una tasca e pago il conto. " Offre la cas oggi, potrebbe essere l'ultima" sputa fuori seguito da una risata. Io mi gratto i coglioni per scaramanzia e alzo il culo e sgommo per tornare a casa. Mentre cammino apro il foglietto con su la via dove sta lo stronzo, rimetto il documento in tasca e mentre cammino spedito già penso ad avvertire aitor e a dirgli che il ballo sta per cominciare.

Intermedio 19

‎martedì ‎14 ‎giugno ‎2011, ‏‎03:13:12 | brainiacVai all'articolo completo
For Soo Yeon ... I remember you every day

Cap LXXXIII

‎martedì ‎14 ‎giugno ‎2011, ‏‎01:52:09 | brainiacVai all'articolo completo
Ero lì, bello rilassato sul divano di Esther che mi stavo facendo una partita alla PS con il suo bamboccio e tra un X e un cazzo di L1, pensavo a come sgravare quella situazione. Il bamboccio era forte, passava ore ed ore a smanettare su quel cazzo di joypad. Io alla sua età già mi sbronzavo o andavo dietro i grandi del futbol cercando di fottere quello che lasciavan per strada. Mi fa il culo ancora una volta cosi gli sorrido e gli dico che è forte, troppo cazzo. Lui è contento, gli domando per che squadra tifa e cazzo la risposta è scontata, tiene per il cazzo del Barcelona. Sorrido e gli dico che è facile stare con chi vince sempre, più difficile è chi segue gli sfigati di merda che non ne azzeccano una. Lui ci pensa su e cazzo, mi fa " allora devo tifare per l'Espanyol??". Mollo una cazzo di rista, gli sfrego la testa e gli dico che va bene il barcelona. Così mi alzo e raggiungo in cucina esther, lui è li che continua a smanettare. Esther è li che prepara dei taper che con precisione svizzera colloca per giorni in frigo. Ha poco tempo per cucinare cosi fa tutto in un solo giorno e stiva. Prendo una latta, lei mi sorride ha voglia di parlare. mi siedo su una sedia con lo schienale contro le fredde mattonelle color paglia. Ha voglia di uno fisso esther, ma entrambi sappiamo che non sono io. "Jordi è felice quando sei qui", la molla li, così. Porto alla bocca la latta e faccio un lungo sorso e le dico che forse non sono l'esempio migliore per lui. Lei scuote la testa, sorride e mi dice che in pochi son fatti come me. Chiudo li l'argomento e le dico che devo andare a sbrigare delle cose. Lei mi si avvicina e mi bacia. I suoi seni sfregano contro il mio corpo e la cosa mi fa attizzare di brutto, vorrei tanto sbatterla sul tavolo della cucina e dargli un pò di roba sana, ma di la c'è il bamboccio e per me i piccoli uomini son sacri. Le accarezzo il viso poi uscendo dò un bacio a jordi e scompaio da dietro la porta. L'ascensore è rotto così scendo le scale a due alla volta. Arrivo fuori in strada e fermo il primo cazzo di taxi che lumo da lontano. L'aria è bella calda e sono ancora le dieci di sera. Dico al tassista di portarmi alla stazione di Santa Eulalia. Lo stronzo deve essere un cazzo di paki rincoglionito perchè gli devo fare lo spelling in inglese di dove cazzo voglio essere portato. Durante il cammino il mangia curry vuol fare converazione. Mi ritrovo così a parlare in inglese con "apu" in pieno centro a BCN, son cose della vita. Arrivato a destinzaione mollo un venti euro al tipo che sgomma via appena chiudo la porta. La zona è deserta, passo davanti a quel cazzo di casino dove stetti un paio di giorni i primi tempi della mia avventura catalana. Rivedo il bar dove conobbi Aitor e la sua cricca. Non lo vedevo da qualche anno e penso che forse il cazzotto che gli molllai sul naso prima di sgommare per medellin ancora se lo ricorda. Faccio un primo giro intorno all'isolato del bar, così per vedere se è tutto tranquillo. Tutto è in ordine, così mi faccio coraggio ed entro in "El Pinxo". La sala è vuota, il padrone mi butta una guardata del tipo " ti ho già visto ma non so dove", lo saluto con un cenno della testa e gli chiedo di spillarmi un dam. Allungo lo sguardo sulle "Tragasperras", in italia sarebbero quei cazzo di videopoker, e ci vedo seduto Aitor che tra una bevuta e una cliccata sui pulsanti getta euro su euro. Vicino a lui c'è una tipa che non so chi cazzo sia. Porta il Chelsea e una maglietta della perry. Mi guarda incuriosita, chiedo allo stronzo del bar di spillare altre due pinte, lui mi guarda ed esegue l'ordine. Prendo i due bicchieri pieni e mi avvicino ad aitor. LA tipa mi guarda stranita e cerca di distogliere aitor dalla macchinetta, ma lui la manda a fanculo e sbattendosene i coglioni continua a giocare. Allungo un bicchiere alla tipa che ringrazia, aitor si gira e resta come paralizzato in una smorfia di paura e sorpresa. Si butta in piedi di scatto,lo sgabello dove era seduto cade a terra, sorrdio e penso che se mi si getta addosso gli ficco il cazzo del bicchiere in gola. Gli passo la pinta, ha la faccia di uno che ha visto un fantasma ma poi si rilassa e prende il bicchiere che gli porgo. Sorrido e gli domando come va, " alla cazzo di cane socio" risponde. Mi avvicino e gli chiedo se è ancora incazzato per quel piccolo incidente , " ero sbronzo socio" gli butto li così con poca convinzione. "E poi la passera ti fa fare grandi cazzate" proseguo, cerco di guadagnarmelo pigiando sugli argomenti sacrosanti per noi uomini, ovvero : Alcohol, figa e futbol. Lui sorride e mi stringe la mano dicendo che non serbe rancore. Non gli credo ma fingo di essere felice per il chiarimento. Così ci sediamo al banco e birra dopo birra ci mettiamo un po' al passo con le nostre vite. Son quasi l'una, la birra ha annebiato le nostre menti e il fumo la vista. Sento che è il momento giusto per fargli il discorsetto sul faina, cosi inizio a raccontargli la cazzo della solfa. Lui è li che fa la faccia dell'interessato. So che nessuno fa nulla in cambio di nulla, ma io gli faccio il cazzo del discorsetto politico per far leva sul suo amor di patria "Español" ... Aitor è il tipico skin ultranazionalista del cazzo, un coglione che ancora crede nelle menate dell'impero spagnolo e cagate varie. Tipico coglione che con quattro stronzate sai come giocartelo. Gli spiego le mie intenzioni, ovvero fare un bel culo al faina e poi gli dico che per lui sarebbe l'azione che gli garantirebbe una certa fama nel giro. Lo stronzo si guarda come se fosse terminetor, poi guarda la sua passera e mi rida la mano e scatta in piedi molla un cazzo di saluto romano e mi fa che è prontissimo. Sta sbronzo di brutto e prego solo che domani si ricordi di tutto, cosi gli dico che ho bisogno di qualche giorno per capire dove cazzo sta il faina con i suoi amici rom. Mi faccio dare il suo numero di cellulare, gli ripeto mille volte di non parlarne con nessuno al di fuori dei sei sette elementi che deve trovare per il fattaccio e soprattutto gli dico di non combinare casini parlando per cellulare. Lui mi fa che tutte ste minchiate le sa, così mi congedo con una stretta di mano e la promessa che da li a un giorno lo avrei contattato per definire il tutto. Lo stronzo lo lascio li completamente sbronzo. Ho voglia di tornare a casa ma mentre scendo lungo carrer de provença passo davanti al bordello. E' tardi e per trovare un taxi dovrei fare un bel tot a piedi, sto mezzo sbronzo e voglia di camminare zero, cosi mi faccio due conti e decido di optare per una notte con servizio in camera. Entro nel Club, la "jefa" mi accoglie con un caldo sorriso, "qual buon vento ti porta qui mr Italy" mi fa, così le faccio il bacia mano e le dico che il vento più profumato e affascinante della città mi ha portato nella sua bellissima scuderia. La vecchia troai si emoziona, cosi batte le mani e fa cinque sei nomi. Mi si piazzano davanti delle donne stupende. " Segli la tua yegua, semental italiano" e sorride mostrandomi con la mano il materiale. Così scelgo una ragazza dalla pelle ambrata che si chiama Shirley, lei mi prende per mano e scompariamo nei corridoi di quel bordello di lusso. Entriamo in una camera e shirley mi chiede a cosa sono interessato e per quanto tempo. LE dico che ho voglia di starmene li per un paio d'ore e che il denaro non è un problema. Così lei mi sorride e inizia a spogliarmi...

Intermedio 18

‎lunedì ‎13 ‎giugno ‎2011, ‏‎02:39:45 | brainiacVai all'articolo completo
Voglio dire, per essere chiaro, io me ne sbatto i coglioni! Non sono perfetto ma non mi nascondo dietro un cazzo di dito. Quando sono elegante metto su una cazzo di Ben Sherman, e dico Ben sherman, dei wrangler e delle cazzo di adidas classiche. Giacca? Cravatta? pfff, mai cazzo! La moda è una cagata per far tirare via quattrini. Armani, cavalli, rich, chi cazzo sono? Dei fottutissimi miliardari, grazie a te. Mi dirai " e tu stronzo? compri ben sherman" Si cazzo, lo compro, ma l'etichetta non vuol dire un cazzo, è una filosofia di vita, ti dico. Invece Versace cos'è? O D&G? Se devo smaronare un verdone beh, preferisco buttarlo in alcol e passera non certo in una maglietta. Io sono il processo della mia stroia. Quando tra trent'anni, ad avere culo, sarò un vecchio borioso di merda con la trippa che esce dai pantaloni e i tattoo sbiaditi dal tempo e dalla pelle rugosa, li seduto a quel cazzo di tavolino di un cazzutissimo bar a bere birra e giocare con altri pisciasotto aspettando la mia ora, potrò dire che ho vissuto. Si, ho cercato di scoparmene almeno una per continente, mi son ridotto il fegato di merda, ho sniffato, ok, me la son pure fumata, ho menato le mani con i soci del futbol, ho viaggiato e cazzo ne ho viste di cose. Quindi quando tu sarai più grande, ed io solo un patetico piscialetto, beh tienile presenti ste cose e altrimenti sarò pronto a farti saltare quei cazzo di denti.

Intermedio 17

‎domenica ‎12 ‎giugno ‎2011, ‏‎03:36:00 | brainiacVai all'articolo completo
E' sempre dura... Ho messo su i Massive Attack, Aka3d è mezzo napoletano, nelle sue vene nate a bristol scorre sangue partenopeo. Il suo vecchio ha una cazzo di pizzeria in Bristol. Io lo so. Ci sono stato. Una volta incontrai Aka3d, già, proprio lui, era sul volo Napoli - Londra... Era li sorridente, felice di tornare a casa, felice di essere stato nella città si cui fa parte anche un po'. Ci scambiai due chiecchiere, cazzo è uno dei miei idoli. Lui amichevolmente non si fece da parte. Aveva appena finito un "project" con gli Almamegretta. La grande Karmacoma trip to Naples. Cazzo, me la fece ascoltare dal suo portatile ancor prima che fosse messa sul mercato. un tipo veramente ok Aka. Mi domandò se ero l'ennesimo napoletano che scappava da partenope. No, parafrasando un grande napletano scherzoasamente gli domandai se un napoletano potesse viaggiare normalmente senza che qualcuno gli dasse dell'emigrante. Lui sorrise e rispose che in fin dei conti siamo tutte anime in viaggio... Bella frase, si, lo notai proprio che s'era fermato per un po' con gli alma. Oggi ha conosciuto una persona. Una donna. é di qualche anno più grande di me. E' di una eleganza e dolcezza unica. E' una rosa nel cemento . E' timida, ma solo con me e non nascondo che questa situazione mi piace, ma non posso. Ero a Birmingham. Poco lontano dalla stazione centrale. Camminavo per raggiungere casa di mia zia, si l'ennesima emigrata napoletana, lei si che lo era. Un tipo vestito solo con un accappatoio bianco, stile quelli che ti danno in albergo, mi ferma prendendomi per le spalle, voglio dire io non sono piccolino, ma lui era enorme. Li per li mi cagai sotto, poi mi guardò dritto negli occhi e mi disse " When I look in another eyes I look another space"... Quella frase mi si piantò nel cervello come una fottutissima coltellata. Stanotte ho visto lei negli occhi e ho visto un altro universo... "Non so se avrò mai la forza o l'opportunità di dirtelo a tu per tu, forse leggerai per caso questo blog ma non capirai un cazzo e mai potrai arrivare a chi lo scrive, ma oggi ti ho amata"
E' dura, la vita è proprio una bella troia .

Cap LXXXII

‎sabato ‎11 ‎giugno ‎2011, ‏‎02:37:41 | brainiacVai all'articolo completo
Per colpa del Faina mi ritrovai anche senza lavoro. L'albergo dove lavoravo non perse tempo a rimpiazzarmi. Ero in prova, quindi la mia assenza, se pur giustificata, era da punire con il "non rinnovo del contratto di collaborazione". La cosa non è che m'importava più di tanto. Pensaì che del resto era meglio cosi. Aprofittai del tempo libero per riprendermi a pieno. Esther si sentiva tremendamente in colpa, così mi propose più volte di trasferirmi da lei fino a che il mio corpo non fosse guarito. L'idea non mi dispiaceva, pasto caldo ogni giorno, bucato e biancheri lavato e stirato e qualche bella scopata, ma pensaì che forse era meglio se ognuno stesse in casa sua e si continuasse così come si era sempre fatto. Del resto lei aveva un figlio in piena adolescenza e trasferirmi in una casa occupata da un ragazzino in piena crisi esistenziale non mi andava proprio. Un altro motivo era anche Neus. Avevo una gran voglia di rivederla e vivendo per cazzi miei non ero tenuto a inventarmi storie rare per occultare quegli incontri. Ci vedemmo un paio di volte una volta fuori dall'ospedale. Senza la divisa d'ordinanza non mi trasmetteva le stesse emozioni di quando ero ricoverato. La psiche umana è strana. Era una ragazza molto silenziosa, amava solo ascoltare il che va bene i ncerte occasioni, come dopo una chiavata che non hai un cazzo di voglia di parlare. Ma in altri momenti hai bisogno che qualcuno ti dia una sua opinione ma lei le teneva per se e la cosa mi faceva smaronare non poco. In tutto questo ero sempre più intenzionato a trovare quel viscido del faina e fargli cagare sangue insieme ai suoi compari che mi avevano dato una bella ripassata. In tutta Bcn c'era solo un uomo che poteva aiutarmi a trovare quella banda di merde dell'est. Quell'uomo, manco a dirlo era Javi, il barista del barrio gotico, da dove passava ogn informazione e traffico sottobanco. Una soleggiata mattina di aprile decisi di andare a fare due chiacchiere con il mio pseudo amico. L'aria iniziava a farsi calda e gli stormi di turisti iniziavano ad affollare la città come sciami d'api assassine africane. Era passato poco più di un mese dalla mia uscità dall'ospedale, il viso era tornato quello di una volta anche se in alcune zone era ancora tumefatto e sulla pelata rasata c'era rimasta qualche cicatrice in più. Quando entrai nel bar javi era sempre alla sua postazione. Lo beccavo sempre nettando una cazzo di bicchiere con uno strofinaccio che pareva un pezzo di benda di toutankhamon per lo lercio che stava. Mi salutò con il suo consuetò movimento del capo e quando mi sedetti al banco si avvicinò lentamente e con un tono scazzatissimo mi domandò chi m'avesse lisciato il pelo. Ordinai subito una estrella e appena me la spillò iniziai a raccontargli tutti gli eventi. Javi mi ascoltava con molta attenzione. Non pareva, mentre parlavo era solito fare altri cazzi, ma il grandissimo figlio di troia era capace di capire tutto anche se impegnato in altri cazzi. Finita la storiella gli chiesi se sapesse dove potevo incontrare quel pezzo di merda di rom. Lui mi guardò perplesso e mi disse di andarci piano con quella classe di gente, perchè gli stronzi non erano nuovi a omicidi e occultamenti di corpi. Insistetti, cosi mi promise che si sarebbe informato ma mi consigliò vivamente di metter su una brigata di gente con le palle prima di scagliarmi contro quelle merde. Annui col capo e mentre buttavo giù nel gozzo l'ultima goccia pensai a chi rivolgermi. La risposta a tale domanda fu istantanea. Aitor! Non lo vedevo da quando partì per la colombia dopo che gli ruppi il cazzo del nao. Chiesi a javi una seconda Damm e mentre buttavo giù nel gozzo pensai su dove potevo trovare quel coglionazzo per far visita a quel rom di merda!

Cap LXXXI

‎venerdì ‎10 ‎giugno ‎2011, ‏‎02:24:06 | brainiacVai all'articolo completo
La prima volta che mi guardai allo specchio rimasi senza parole. Fù difficile alzarsi dal letto, il dolore era veramente brutale. Ogni passo era una fatica enorme e il fiato veniva meno. Entrai nel cesso perchè mi minacciarono di usare come cagatoio "la pala" nel letto, ma cazzo non l'avrei mai fatta in quel modo. Cosi mi feci coraggio e anche se loro me lo sconsigliarono mi alzai in piedi e mossi faticosamente dei passi. Avrei preferito un tappo nel culo al cagare nel letto. Il bagno era stesso nella camera in cui mi trovavo. Il mio braccio trainava un carrello con su attaccato un bottiglione in vetro. Acqua e zucchero. Accesi la luce e il riflesso dello specchio quasi mi spaventò. Avevo il viso gonfio e tumefatto. Mentre, lentamente, mi sedevo sulla tazza pensai a come sarebbe stato il mio aspetto una volta guarito. Non è che la questione mi interessasse molto ma allo specchio avevo visto un mostro e non me stesso. Cagai, provai a pulirmi per bene e mi rimisi in piedi. Uscì dalla camera e a passo stanco e lento iniziai ad esplorare il reparto di traumatologia del "santa creu i San Pau", un edificio veramente bizzarro. La struttura era antica, tipica degli anni venti. Mi sembrava di rivivere nel video degli smashing pumpkins "to night" dove scimmiottavano un ipotetico viaggio sulla luna in stile Verne. L'autenticità della struttura male s'integrava con l'interno. Linee moderne e tecnologie all'avanguardia. Ero li che mi facevo le mie seghe mentali quando mi si parò davanti Neus. Era incazzata, lo notavo dal suo bellisimo viso severo. Mi domandò cosa cazzo stessi facendo in giro in quelle condizioni e la prima cosa che mi venne in testa fu quella di giustifiarmi come un bambino. Mi prese sotto braccio e mi aiutò a tornare in camera. Mentre camminavamo per i corridoi dell'ospedale le domandai se il mio viso sarebbe tornato come prima. Lei mi rassicurò che il gonfiore sarebbe passato e con lui tutti gli altri segni. Non ho mai avuto paura di rovinarmi gettandomi nella mischia. Ma non riuscivo a togliermi dalla testa l'immagine che mi si era presentata davanti lo specchio. Neus dovette capire i miei pensieri, così una volta in camera si mi fece rimettere nel letto, mi sistemo amorevolmente i cuscini e si sedette ai piedi dello stesso. Iniziammò a parlare. Fuori era una bellissima giornata di primavera. Mi domandò chi mi aveva ridotto in quello stato, le feci promettere di non dire nulla a nessuno, lei promise. Mi fidavo, era la tipica persona a cui lasceresti la scelta sulla tua vita perchè sicuro che avrebbe scelto per il meglio. Le raccontai del Faina, di quella notte che lo beccai a molestare Esther, di come gli diedi la paga e di quando, lo stronzo, si presento con i suoi soci per farmi il culo. Iniziò cosi una sorta di terapaia. Avevo bisogno di parlare con qualcuno e lei sembrava essere la persona ideale. Mentre le raccontavo quello che ricordavo di quella notte strinse la mia mano nella sua. La sensazione del contatto con la sua pelle fù meglio di quella merda di antidolorifici che mi dava due volte al giorno. Stoppai il mio racconto per bere dell'acqua. Mentre portavo la bottiglia verso le mie labbra, neus mi accarezzò la fronte e bisbigliò una frase il cui significato rilascio altre endorfine. Da quel giorno, ogni pomeriggio Nesu veniva in camera a trascorrere con me quei pochi ritagli di tempo libero che aveva. Nell'arco di quelle due settimane che restai in ospedale posso dire di aver raccontato più cose a lei di me stesso che a qualsiasi altra persona. Era una ragazza dalle vedute aperte, nulla di quello che le raccontai la sconvolse o la fece allontanare d quella che sembrava essere più di una semplice conoscenza. Le giornate trascorrevano lentamente in ospedale. Le mie uniche attività, oltre mangiare e cagare, erano incontrare Esther la mattina e parlare con Neus durante il giorno. Infine venne il momento delle dimissioni dalla struttura. Fù stesso Neus a portarmi la notizia e a farmi firmare una serie di carte. Ci scambiammo i numeri di telefono e le promisi che non avrei perso tempo a chiamarla. Lei mi sorrise e mi accompagnò fino alla porta d'ingresso dell'ospedale. Il corpo non rispondeva ancora a pieno ai movimenti che gli dettava il mio cervello. Una volta fuori vidi Esther aspettarmi sorridente nel parco antistante l'ospedale. Mi venne incontro e premette le sue labbra contro le mie. Il dolore mi fece tremare qualche istante, ma l'odore della sua pelle fu la migliore anestesia. Montammo in macchina e prima che mettesse in moto la misi al corrente di sue bisogni impellenti che dovevo soddisfare, il primo era quello di farmi una bella bevuta di lager il secondo, e li le dissi che doveva aiutarmi sul serio, era che avevo una tremenda voglia di fare del sesso...

Cap LXXX

‎giovedì ‎9 ‎giugno ‎2011, ‏‎02:40:42 | brainiacVai all'articolo completo
Esther era una tipa ok. Non aveva avuto una vita facile. Tipica donna che si fece ingravidare molto giovane, manco maggiorenne dal primo stronzo di turno. Sposatasi con il rotto in culo in questione divorziò dopo poco per via delle percosse e violenze quotidiane. Si ritrovò cosi, appena maggiorenne, con un figlio a carico, un cazzo come sostentamento e un fottio di problemi per tirare avanti. Ma anche con tutti sti casini fù capace di tirar su suo figlio, vestirlo, nutrirlo e pagargli quegli extra che per un ragazzo ci vogliono. Non ho mai digerito gli spurghi che le danno alle donne. Feccia immonda, come quei cazzo d'invertiti che violentano bambini innocenti inculandogli un'esistenza. Fosse per me li getterei nei termovalorizzatori con l'immondizia, ma dopo avergli tagliato palle e pisello a vivo. Cercavamo di organizzarci facendo in modo che i nostri giorni di riposo coincidessero. Ebbi tempo di conoscerla a fondo, e devo ripetere il concetto che oltre ad una bella donna in lei si celava una bellissima persona. Il faina dopo quella notte scomparve dalla circolazione. L'indomani mattina non venne al lavoro e sinceramente fù un sollievo per Esther. Una notte, a fine turno, come un loop continuo ,mi feci la doccia e mi vestii. Chiusi l'armadietto ed essendo l'ultimo a lasciare gli spoiatoi prima di togliere il disturbo spensi tutte le luci. Attraversai quel corridoio con molta spensieratezza e una volta fuori nel parcheggio mi ritrovai davanti il faina con altri due stronzi che erano li ad aspettare il cazzo del sottoscritto. Mi fermai a pochi metri da loro. Non avevo via di fuga, sapevo cosa aspettarmi cosi strinsi i pugni e lasciai cadere lo zainetto, con dentro il cambio, per terra. " Tu ora no ridere eh, no ridere ora tu eh" blaterò quel faina di merda. " Noi ora fare te culo, stronzo ciuccia cazzi" continuò il faina. Notai che anche se a distanza di tempo la sua faccia da culo non era completamente guarita. Lo guardai con strafottenza e con il dito indice gli indicai la faccia chiedendogli come andavano le croste su quel muso da rom di merda che avevo cartavetrato con l'asfalto. La battuta non gli dovette piacere. Mi han sempre insegnato che chi parte secondo salta l'arrivo nella vita. Così strinsi i pugni, chiusi gli occhi e ricordai i tempi di quando facevo brigata con i soci per andare a vedere il futbol e mollare qualche sana legnata a qualche stronzo il cui giorno non era stato fortunato. Iniziai a cantare i vecchi cori che lanciavano i capoccia e che poi, noi pedoni, gridavamo, prima dell'impatto con l'altra fazione. Aprì gli occhi e la faccia dei tre coglionazzi era tutto un programma. Mi lanciai di gran carriera contro quegli stronzi, la mia reazione fu una gran sorpresa per quei fottuti mangia merda. Riusci a dare un bel cartone al faina, dritto sul naso. Il suo sangue mi schizzo sulla faccia e mentre lo vedevo cadere a terra come in una moviola, sentì un forte impatto a livello del collo. Il dolore quasi mi fece vomitare. Caddi a terra e dal suolo presi slancio e mollai un calcio nelle palle a uno dei due soci del rumeno di merda. Lo stronzo cadde a terra e lui si che sbrocco tutta la fottuta zuppa che si era messo nella trippa di merda. Mentre vedevo lo stronzo piangere e vomitare venni colpito da una pedata dal terzo stronzo, l'unico fra i quattro a restare in piedi. Il suo colpo fu bello tosto. Mi si annebbiò la vista dopo aver visto come un fottutissimo lampo. Con la coda dell'occio vidi il faina tirarsi su, e con una mano premuta sul naso grondate di sangue iniziò a mollarmi una serie di calci. Ero li a terra, inerme, come a malta, ma questa volta ero solo. Mi racchiusi come se fossi stato un bambino nella pancia di sua madre. I colpi sembrava non finisserò più, il dolore pareva ormai scomparso . Ricordo solo che la vista mi si appannò e che le orecchie fischiavano. Chiusi gli occhi e quando li riaprì era giorno e stavo nel fottuto letto di un ospedale. Avevo una serie di tubi che finivano tutti in un ago dosatore nel braccio. Il corpo era tutto indolenzito e la testa mi pulsava da fare schifo. Una mano si poggiò sulla mia fronte. Era la mano di esther che in lacrime, come un mantra, a denti stretti ripeteva " bastardi, bastardi, bastardi". Le sorrisi, ma notai subito un forte dolore alla mascella. Ero bloccato nel letto, avevo un collare che mi dava la sensazione di soffocamento, una mano era completamente fasciata di cui due dita immobilizate e fissate ad un correttore di metallo. Dalle lacrime di Esther capìì che forse il mio aspetto non doveva essere dei migliori. Raccolsi quel po di forza che avevo e provai a dirle di stare tranquilla. Mi usci fuori una voce tremante e debole, l'addome mi si indolensi a tal punto che sentì quasi l'esigenza si sboccare. Provai a controllare il dolore e a fatica riuscì nell'impresa. In camera entrò un'infermiera. Era uan ragazza mora sui venticinque anni. Portava i capelli legati in una coda nera. Era esile ma svelta nei movimenti. Mi domandò come mi sentissi, con molta fatica le risposi se avesse avuto altre domande perchè quella era di uno scontato da far paura. Abozzai un sorriso. L'infermiera mi guardò perplessa, poi notai disegnarsi un sorriso su quelle labbra sottili. "Ok, mi sembra che sei di buon umore, stai meglio" disse sorridendo, poi rivolgendosi a esther la pregò di evitare di fare drammi che tutto si sarebbe messo a posto. Nel frattempo entrò un dottore. Mi domandò anche lui come andasse, e pensai che fossero tutti dei coglioni, ero li quasi immobilizato dal dolore, con un collare una serie di fasciature e mi domandavano come andasse. Di merda, avrei voluto gridare, ma mi limitai ad un semplice " Beh doc. potrebbe andare meglio". Il Doc prese una piccola pila dal suo taschino, me la puntò contro e mi controllo gli occhi e le orecchie. Mi spiegò che avevo avuto un trauma cranico per i colpi subiti alla testa, che avevo due costole inlinate ed una rotta ma che i polmoni, fortunatamente, non erano stati intaccati, e che mi avevano ingessato due dita perchè rotte da una supposta schiacciatura. Il quadro clinico era chiaro, continuò a parlare e mi confermò che sarei dovuto restare li, in quel cazzo di ospedale, per almeno altre due settimane, mi spiegò che volevano assicurarsi che non ci fossero ematomi all'interno della calotta cranica e vedere se, in caso affermativo, si fossero formati dei riversamenti di liquido sempre nella testa a distanza di tempo. Quandò fini di "divertirmi" sulle mie condizioni mi domandò se avessi avuto voglia di denunciare o quanto meno sostenere un colloquio con degli agenti di polizia. "nisba", risposi, poteva farli entrare quando voleva, tanto già sapevo cosa cazzo gli avrei detto. Chiesi a Neus, questo il nome dell'infermiera, se poteva darmi una mano a farmi mettere più inclinato su quel canchero di letto. Lei mi venne vicino e mi passò come un telecomando collegato con la branda. Mi spiego che il primo bottone faceva alzare lo schienale e che il secondo invece lo faceva abassare mentre il pulsante rosso era un allarme se avessi avuto bisogno di un intervento urgente da parte del personale. Un certo intervento lo avrei voluto avere da lei, ma non era il caso dato che stava esther li al mio capezzale manco fosse stata la madonna in lacrime sotto la croce di suo figlio e viste, anche, le mie precarie condizioni fisiche. La ringraziai e lei si congedò con un sorriso. Quando fui solo con esther le dissi di ascoltarmi con molta attenzione. Le chiesi se avesse avuto qualche discussione con i pulotti, scosse la testa in segno negativo, cosi annuì e le dissi di non aprire bocca con la pula. Dopo circa dieci minuti Neus rientrò con alcune pastiglie e bicchierini, a rimorchio seguirono due pulotti che impugnavano penna e libretto. Mi domandarono se conoscevo gli agressori, risposi "negativo signore, mai visti in vita mia", poi seguirono una serie di domande di routine, alle quali risposi in maniera vaga e senza dare particolari. Mai dare dei particolari con sta gente, veri o falsi che siano. I particolari ti fanno inculare in queste situazioni. Mi domandarono se ero capace di firmare il verbale, cosi mi allungarono la cartellina e mi misero una penna in mano. Apposto il mio autografo su quel pezzo di carta i due pulotti se ne nadarono felici per aver compiuto il loro dovere. Tirai un sospiro di sollievo, erano più imbecilli di quello che pensassi.Esther mi passo le medicine che Neus teneva su una sorta di piccolo vassoio. Vuotai tutto nello stomaco e subito notai una certa sensazione di benessere. Dissi a Esther di stare tranquilla, che tutto si sarebbe risolto in poco tempo e prima che gli occhi si chiudessero le consigliai di guardarsi le spalle dal quel faccia di merda del Faina. Il Faina, con lui avevo un bel conto in sospeso...

Cap LXXIX

‎giovedì ‎9 ‎giugno ‎2011, ‏‎01:31:43 | brainiacVai all'articolo completo
La primavera era esplosa in mille colori nella città che fù di picasso e gaudi. I turisti affollavano quelle cazzo di strade intasandole per bene e i borseggiatori vari iniziavano la loro "temporada". Avevo preso quel lavoro trovatomi dall'agenzia. Nulla di che, turni fattibili e poco movimento ma la busta paga era sempre puntuale e questo mi andava bene. Avevo interrotto ogni relazione con Ana dopo l'incidente del menisco. Forse quella mia randellata allo stronzo era servita ai due per ritrovarsi vicni. Ho sempre fatto da "cupido", ma invece delle cazzo di frecce con la punta a cuoricino ho usato le mie nocche o boots. Sa il cazzo com'è la vita. Mi ritrovavo ancora un volta solo, senza passera e senza amici. Il mio problema è sempre stato quello di essere fin troppo solitario. Amicizie vere ne ho avute poche, ma per via del mio girovagare è stato difficile mantenerle vive. Mi son sempre fidato troppo delle donne, ho sempre provato ad instaurare con loro un cazzo di rapporto che oltre al sesso prevedesse anche complicità e comprensione, ma sulla mia pellaccia ho capito che dalla tua tipa devi dimenticarti la parola complicità e soprattutto comprensione. L'albergo dove stavo era abbastanza grande, un intero palazzo da venti piani che si innalzava su bcn. In cucina eravamo squadre da sei persone per turno e in sala c'erano un fottio di camerieri e cameriere. Eran poche settimane che smanettavo nel mio nuovo posto e già mi ero allummato una tipa molto più grande di me. Cioè, era passato un bel tot di tempo dall'ultima scopata, quindi stavo un tantinello in crisi d'astinenza, così mi gettai sulla prima che mi diede filo. Lei si chiamava Esther, aveva qualche anno in più ma non si notavano granchè, era sposata o separata ed aveva anche un figlio bello cresciuto. Fisico snello e slanciato, lineamenti agrazziati e modi di fare veramente al bacio. Ogni tanto nelle pause ci scambiavo due chiecchiere, facevo il coglione per farla ridere, così facendo il buffone aprofittavo ad avvicinarmi sempre di più a lei prima di sferrare il cazzo dell'attacco frontale ed entrare con la bandiera issata sul suo promontorio di venere. Lei ci stava bene con me, non smetteva di tirarmi sguardi quando si lavorava ai quali rispondevo sempre con un sorriso ed un occhiolino. In quel posto lavorava pure un cazzo di rumeno. Sto minchione era il tipico che solo a guardarlo ti dava sui coglioni. Occhi piccoli e viso spigoloso, sembrava una cazzo di faina. Era sempre li pronto a sbiascicare qualcosa quando approcciavo con Esther. Poi col tempo capì che lo stronzo s'era fissato con la tipa e che già da tempo ci provava senza successo. Così io ero diventato il suo diretto rivale con conseguente presa di mira. Spesso dovevo darci dentro di lingua con lo stronzo per zittirlo. Era sempre pronto a cagare il cazzo ed io non ero certo il tipo da starmi zitto se un fottuto rumeno con la faccia da faina mi rompeva. Lo avvertì più di una volta di non rompermi troppo il cazzo, ma il facciamerda continuava, così spesso dovevano intervenire altri colleghi per sedare diverbi belli accesi. Una notte smontammo di lavorare che erano le ventitre. Io mi attardai negli spoiatoi perchè dovevo mollare uno di quegli stronzi che ti fanno sudare. Dalla porta del cesso vedo il faina andarsene allegramente fischiettando qualche canzone del cazzo di quel suo paese di stronzi. Mi pulì il culo e rapidamente mi feci una doccia. Messi su i vestiti raccolsi la mia roba ed uscì . Le porte degli spoiatoi davano su un lungo corridoio che dava direttamente a dei parcheggi. Feci tutto il corridoio di gran passo e quando fui nel parking della struttura la mia attenzione fu catturata da una discussione abbastanza accesa. Una delle voci mi era familiare, mi sembrava fosse quella di Esther, così mi misi a camminare seguendo quelle parole animate e confermai il mio cazzo di sospetto. Beccai la faina che tratteneva Esther per un braccio e la stessa che provava a divincolarsi urlandogli di lasciarla fottere. Lo spurgo non aveva le migliori intenzioni di sto mondo, così gli piombai addosso e senza manco che se ne accorgesse avevo la sua fottuta testa di merda tra le mani che gli sbattevo contro l'asfalto del parking. Mentre giocavo a basket con quel craneo di merda gli urlai di tutto.. Avevo una rabbia in corpo da sclero e solo l'intervento di esther evitò brutte conseguenze. Mi tirò per le braccia e con molta fatica riuscì a staccarmi dallo stronzo. Mentre mi distaccavo da quel coglione mollai anche un paio di calci che andarono a segno contro quelle palle moscie del est che si ritrovava. Esther mi spintonò contro una macchina, mi prese la testa tra le mani e mi grido di farla finita. Seguì il suo consiglio e vidi come si avvicinava al faina per vedere in che condizioni lo avevo lasciato. Diede un rapido sguardo poi mi venne vicina e mi confermò che respirava ancora, così mi prese sotto braccio e movemmo il culo per uscire quanto prima dal parking. Una volta fuori entrammo nel primo bar che incontrammo. Una volta dentro mi abbraccio forte, inizialmente rimasi rigido e impacciato, poi quando sentì i suoi seni premere contro il mio torace qualcosa mi fece uscire da quello stato catatonico e iniziai a massaggiarle i fianchi. Ci facemmo un paio di birre durante le quali mi ringraziò per essere intervenuto. Mi confidò di essersi cagata addosso con quel pervertito visto che era da tempo che ci provava in continuazione. La calmai rassicurandola che da stanotte sarebbe diventata off-limits per il mangia cipolle e lei mi prese la mano e la strinse forte. Subito dopo prese il il suo cellulare e fece una chiamata. Nel bar c'era una musica in sottofondo e non capì bene cosa stesse dicendo per telefono. La chiamata durò pochi istanti terminati i quali mi domandò se casa mia fosse lontana. Le risposi che era a due passi, cosi dopo aver saldato il conto uscimmo e stretti l'uno vicino l'altra ci incamminammo fino a raggiungere il mio appartamento.

Cap LXXVIII

‎giovedì ‎9 ‎giugno ‎2011, ‏‎01:31:28 | brainiacVai all'articolo completo
Certe volte il tempo sembra volerti prendere per il culo. Quando lavori le tue otto, nove ore sembrano moltiplicarsi per due, quando invece sei bello rilassato a non fare un cazzo e a menartela su come ti va la vita, allora quelle cazzo di lancette mettono il turbo e girano più veloci di Pedrosa in groppa ad una minimoto truccata in un tracciato da minigolf. La primavera era ormai alle porte, il mio conto in banca iniziava a piangere di brutto. Arrivò l'ora di rimettermi a trovare un cazzo di lavoro e riiniziare a fare la saggia formichina del cazzo. Con Ana Belen i giochi erano ormai chiusi. Quel suo continuo tira e molla mi aveva rotto di brutto. Ero diventato il suo tappa buchi, nel vero senso del termine, e anche se la cosa mi andava di lusso dato il momento di a-socializzazione che stavo attraversando, alla fin' fine ero stanco di condividerla con quel minchione del suo tipo. Mi iscrissi ad una di quelle cazzo di agenzie di collocamento private, ladri fottuti, si succhiano un bel po' di grana dalla paga, ma almeno non devi stare li a romperti il cazzo con colloqui e ricerche spasmotiche di cartelli " cercasi personale " . Era un Giovedì, il telefono squillo e risposi. Dall'altro lato c'era una impiegata dell'agenzia che mi informava che in un hotel a quattro stelle cercavano personale per la cucina. Le dissi che la cosa m'interessava cosi mi fissò un'appuntamento con il capo delle assunzioni. In quel momento non sapevo decidere se la notizia era positiva o negativa, ma per non sbagliarmi decisi di andare a festeggiare in una "cerveceria" dove ogni tanto mi fermavo per sparami nel gozzo qualche litro di lager. Dovevano essere le dieci di sera, le strade iniziavano a farsi deserte e l'aria a raffreddarsi. Tirai sul il colletto del mio giacchino jeans e con le mani in tasca e a testa bassa caricai per arrivare quanto prima al beveraggio. Entrato ne locale ebbi una sorpresa, che azzarderei definire proprio del cazzo. Seduti ad un tavolino c'erano Ana Belen, il suo manico e un'altra coppia di scoppiati psycho che non sapevo chi cazzo fossero. Incrociai lo sguardo di Ana e la salutai con un cenno del capo, subito dopo mi diressi al banco dove mi sedetti per cazzi miei. Il socio dietro il bancone era un tipo ok. Appena mi vide spillo una pinta di estrella dam e me la portò con un piattino di tortillas e chorizo. Lo ringraziai e mentre ero li pronto a spararmi nel gozzo quella freddissima birra noto ana alzarsi e avvicinarsi. Cazzo, uno non è libero di farsi quattro di quelle buone che deve esserci sempre qualcuno che ti deve rompere i coglini. Si sedette sullo sgabello di finaco al mio, mi guardò con un ghigno del cazzo e quasi mi mollò un cazziatone. Mi doamndava dove cazzo fossi scomparso, e del perchè non mi ero più fatto sentire. Le passere con tutte così. Loro possono fare il cazzo che gli pare, tu, invece, siccome non la tieni, devi stare alle loro dipendenze. Diedi un bel sorso al mio bicchiere, portai lentamente un pezzo di tortilla alla bocca e dovevo dire che era veramente buono. Dopo aver masticato per bene la tortilla ed essermi schiarito la voce le chiesi di non menarla troppo e di pensare, piùttosto, al suo di comportamento. Le feci notare che chi si sbatteva un giorno uno e un giorno l'altro era lei, non certo io. Fui troppo sincero e diretto, e sta cosa con le donne è sempre un problema. Notai la fisionomia del suo volto cambiare. Quel ghigno beffardo lasciò posto ad una smorfia di sdegno. Senza salutarmi si alzò e torno rapida al suo tavolino con la sua combriccola di sfigati. Buttai giù tutto di un fiato quello che restava della pinta, ne ordinai subito un'altra con un bicchierino di whisky che buttai dentro la pinta. Dieci minuti dopo il bicchiere era vuoto. L'aggiunta aveva sortito il suo offerto, mi sentivo leggermente meno contratto dalla presenza di quella figa di ana col suo tipo. Sentivo che avevo bisogno di andare al bagno così mi alzai e con molta cautela presi la direzione del pisciatoio. Mentre ero li che mi scrollavo l'uccello vidi entrare il tipo di Ana. Lo stronzo non era li per caso. Riposi "el pajarito" nella "jaula", e mentre mi lavavo diligentemente le mani il coglionazzo mi molla la pippa. Non ricordo cosa cazzo stesse dicendo, non me ne fotteva un cazzo, cosi lo pregai di chiudersi la bocca e di lasciarmi fottere, ma lo stronzo aveva voglia di parlare. Era li a menarmela sul fatto che mi ero scopato la sua tipa, più che incazzato sembrava ansioso. Le sue parole proprio non le afferravo, cosi una volta lavate le mani presi la via dell'uscità senza prestare la minima attenzione a quel coglione. Cosi lo stronzo ebbe la brillante idea di trattenermi per un braccio e la cosa mi fece smaronare di brutto. Senza preavviso gli mollai una pedata sul menisco. Il suo ginocchio cedette e sul suo viso si disegnò una smorfia di vero dolore. Uscito dal pub pagai il conto e saluntando ana da lontano l'avvertì che il suo coglione era in bagno che non si sentiva tanto bene. Dovette essere il mio sorriso disegnato sulle labbra o forse gli occhi da etilico ma notai il viso di ana cambiare ancora ua nvolta, tutta preoccupata corse verso il cesso e pensai che tutto sommato la stronza mi conosceva bene.

Cap LXXVII

‎giovedì ‎9 ‎giugno ‎2011, ‏‎01:31:14 | brainiacVai all'articolo completo
Ogni tanto ci vuole qualcuno che ti dia una scossa. Cioè, se stai li catatonico come un coglionazzo lobomotizzato e un bel calcio nelle cazzo delle palle ti fa "risvegliare", allora ben venga il calcio nelle palle. Per me Ana fu come un fottutissimo ma graditissimo calcio nei coglioni. Quella sua fottutissima pantomima mi fece dare una sveglia di quelle giuste. Dopo quella notte capi che forse non tutto era perduto. Qualche disperata a cui importasse il sottoscritto e la sua vita stile centrifuga ancora c'era. Un canchero di pomeriggio decisi di fare due chiacchiere con Ana. Sinceramente avevo una cristo di tensione nel chiedergli di andarci a fare una caffè insieme. Dopo quella notte in cui ci diede sotto con l'accetta la vedevo sotto un'altra luce, non so se mi spiego. Presi coraggio cercai il suo numero in rubrica e chiamai. Il telefono squillava e alla terza la sua voce dolce e decisa domandava chi cazzo era a romperle i coglioni. Come un coglione avevo dimenticato di riattivare l'invio del numero, così le dissi che ero io e che avevo una seria voglia di vederla. Rimase in silenzio per qualche istante, pensai che stesse meditando qualcosa, invece affinando l'orecchio percepii che stava parlando con qualcuno. Era con lo stronzo, il suo ex, quello che andava e tornava manco fosse stata una cazzo di reception di un fetido hotel di bangkok. Capì la cazzo della storia e così le dissi che faceva nulla, che se era impegnata non sarebbe mancata altra occasione. Lei dall'altro lato bofocchio qualcosa, mi stizzì e le servi un diretto vaffanculo prima di metter giù. Me l'ero giocata, ma me ne sbattevo i coglioni anche se mi giravano un bel tot. A me Ana piaceva un casino, dai tempi di Alicante quando senza manco conoscerla ci scopai, li capii che era una socia ok con la quale potevo rimettermi in gioco, ma poi tutta una serie di cagate m'avevano fatto intendere che era una con cui era meglio mantenere le distanze. Era la tipica figa che quando ti allontanavi faceva di tutto per avvicinarsi ma nel momento in cui eri perso per lei, allora ti mollava a chilometri di distanza. Sta cazzo di pesca al traino non mi è mai piaciuta, e ancor meno se io sono il cazzo di tonno da beccare. Ormai la giornata era andata in boia, non che avesi chissa quali cazzo di programmi, ma sentivo che stavo riprendendomi da quello schifo che è la depressione. Era solo una fottuta impressione. Decisi che l'unica via d'uscità, tanto per cambiare, era sbronzarsi fino a non ricordare più nulla. Misi su il giacchino e scesi le scale a razzo. Mentre mi avvicinavo alla stazione della metro sento il cellulare vibrarmi in tasca. Lo tiro fuori e vedo un sms di ana. Lo apro e c'è scritto che vuole vedermi ma che era disponibile solo in notturna. Sti cazzi, le scrissi che con me il gioco del tira e molla non funzionava, che se voleva un cazzo di tonno io ero il pesce sbagliato. Dopo pochi istanti arrivò una risposta. C'era scritto di piantarla di parlare di tonni o altri cazzo di pesci perchè lei di pesca non ne capiva un cazzo. Le scrissi che per le dieci sarei stato da lei e la risposta fu un semplice ok. Non riuscivo a dirle di no. Dopo mezz'ora mi ritrovai ancora una volta nel bar di javi, sempre dopo un bel tot di tempo. Quando mi vide il socio mi disse che se tutti i suoi clienti fossero stati come me allora già da tempo avrebbe dovuto chiudere. Sorrisi a quella troiata che tirò fuori dalla bocca e gli chiesi la solita dam. Il locale era quasi vuoto, c'era solo uno spurgo di merda sui quaranta che ad ogni euro perso nel video poker menava una bestemmia rauca. Il tempo volò via in un battito di ciglia, sempre cosi quando ti sbronzi. Erano quasi le nove e dovevo andare a casa di ana. Pagai il conto e barcollando mi diressi sulla strada principale sperando di beccare un taxi. Ne fermai uno a volo, entrai e gli dissi la direzione da prendere. Dopo quello che mi sembrarono secondi sentiva una manno battere contro la mia spalla, era il tassista che mi avvisava che era arrivato. Io come uno stronzo mi ero addormentato. Pagai e a malapena riusci a bussare al campanello di Ana. Mi fece entrare e mi salutò baciandomi sulle labbra. Le sue prime parole furono sul fatto che puzzassi d'alcool. Ammisi di essere mezzo sbronzo, lei mi sorrise e tirò fuori una bottiglia di porto bianco. L'aprì e fu la mazzata finale. Mi risvegliai l'indomani sdraiato nudo nel suo letto. LA testa pulsava di brutto e lei era lia che dormiva al mio finaco mezza nuda. Non ricordavo un cazzo, ma non glielo avrei mai detto. Non sia mai avesse avuto l'ascia sotto il letto.

Cap LXXVI

‎giovedì ‎9 ‎giugno ‎2011, ‏‎01:31:02 | brainiacVai all'articolo completo
Non sono mai stato il tipo depresso, cioè, la vita già fa cagare se poi ci si mette pure a vangare contro allora, capo, la cosa è finita. Non so se mi spiego. I periodi del cazzo prendono un po' tutti. Penso di averne attraversati fondamentalmente due, la morte di mia madre e dopo un paio d'anni una completa e totale crisi personale dovuta a un fottio di ragioni. Dopo quella notte trascorsa a casa di ana stretto tra le sue braccia seguirono giorni in cui volevo seriamente farla finita. Volevo trascorrere tutte le giornate seduto su una cazzo di poltrona davanti la tv ad aspettare che le ore togliessero il cazzo del disturbo. A nulla valserò i tentativi di Ana, da un lato, e rocio dall'altro a tirarmi fuori da quel buco di appartamento che si era trasformato nella mia tana. Saltavo i canali passando dai notiziari alle pubblicità di chat line promisque. Una sera irruppe in casa proprio ana. Ero li che mi scolavo uan cazzo di latta e guardavo un film su la sexta e sento il campanello di casa suonare. Con una gran rottura di coglioni poso la mia estrella dam sul cazzo del pavimento, ai piedi della poltrona, e nell'oscurità della notte interrotta solo dalla luce radiottiva proveniente dal tubo catodico apro la porta. Dovevo avere un aspetto di merda, o almeno questo dedussi dalla prima espressione di ana quando le aprì la cazzo della porta. La feci entrare e le domandai se avesse avuto voglia di una latta. Rispose di no e cosi nello scazzo più totale ritornai alla mia poltrona con birra stivata. All'improvviso sento Ana dire che si era rotta i coglioni di vedermi gettare il tempo nella merda. Proprio le giravano nel vedermi li ad aspettare che il tempo volasse via. Tra un sorso e l'altro le dissi di non venirmi a fare la predica che tanto lei il suo stronzo di manico a cui rompere le palle già lo aveva e di certo non ero io. Ritornai a concentrarmi sul film quando notai un riflesso di luce muoversi sulla parete come una pallina da ping pong. Faccio per girarmi per vedere cosa cazzo lo avesse provocato e porco cazzo mi vedo ana con una fottutissima ascia. Una di quelle moderne con manico in gomma dura ergonomica e lama in puro acciaio. Le urlo di posare quel cazzo di arnese ma troppo tardi. Vidi come il suo braccio accompagnava la fottutissima ascia. Sembrava una fottutissima giocatrice di golf sul green di un cagosissimo prato scozzese sull'utima buca. Sento il rumore dell'impatto della lama con una gamba della poltrona su cui stavo. Il colpo fu bello violento, ana era piccolina e quella cazzo di forza proprio non capivo da dove merda l'avesse tirata fuori. La gamba della poltroncina cedette, io mi ritrovai col culo a terra. Mi misi sulle ginocchia e cristo vidi ana puntare quel cazzo di televisore. LE gridai di fermarsi, di lasciar fottere la tv, ma ormai aveva puntato l'obiettivo e cosi come robocop era quasi impossibile fermarla. Dato che il fottuto tv non era mio, ma in usufrutto con il cazzo d'appartamento, decisi di anteporre la mia vita all'oggetto. Mi tirai su in piedi e con un balzo un po' goffo mi frapposi tra lei e la tv. Lei mi gridò ti togliermi dai coglioni e in tutta risposta la pregai di fermarsi a ragionare. Le sue parole furono chiare, mi gridò che non voleva ragionare manco per il cazzo con il sottoscritto, mi ordinò di vestirmi e abbandonare quella cazzo di casa con lo stato paranoico in cui mi ci ero coperto, pena la distruzione dell'appartamento per mano sua. Era una donna convincente. Le chiesi di darmi dieci minuti, lei prese la bottiglia di birra con l'ultimo culo da terra, tracanno avidamente quell'ultimo sorso e con un sorriso attizzante mi disse di muovere il culo....

Intermedio 16

‎domenica ‎5 ‎giugno ‎2011, ‏‎02:32:23 | brainiacVai all'articolo completo
Ci risiamo... E' notte fonda, il cuore inizia a pompare all'impazzata. Sudi come un obeso in palestra, ma non fa clado. Ti rigiri nel letto, l'orologio digitale illumina quella cazzo di finestra con quel verdognolo di merda. Aprì gli occhi, ma ti costa fatica. Vorresti tanto dormire, ma non puoi. Il respiro si fa sempre più affanoso, pensi a qualcosa di bello, nella speranza che tutto passi velocemente. Ma non ti viene un cazzo di pensiero positivo. Hai la gola secca, le gengive disidratate per colpa dell'alcool e della nicotina. Provi a metterti sul bordo del letto. Il tuo corpo nudo inizia a raffreddarsi, il sudore ti si ghiaccia sulla schiena e inizi a tremare. Un'altra notte del cazzo. Hai bisogno di qualcosa, ma non lo trovi nel cassetto del comodino nè nel fottuto cesso che hai a pochi passi. Barcolli nel buio di quella fogna che è il tuo appartamento. Da fuori provengono solo quei suoni della città che dorme, un' antifurto, una sirena, qualche cane che abbaia. L'orologio sulla parete con dentro una foto del tower bridge scandisce il tempo con un ticchettio snervante. Apri il frigo e quella luce gialla ti fa quasi male agli occhi. Parte il compressore, e in quel momento vorresti che fosse una bomba al naplam che spazzasse tutto via. Un reset universale. Prendi la solita latta di lager. E' fredda, le mani quasi ti fanno male al contatto con l'alluminio ghiacciato. Tiri su la linguetta e butti giù avidamente i primi sorsi. Cerchi di arrivare al divano, ma non ricordi mai che tra lui e il frigo c'è quel cazzo di tavolino, così ci sbatti con i piedi nudi contro ed il dolore ti fa imprecare. Zoppicando riesci a sederti. Di fronte un tv spento e la finestra che da dietro due tendine ormai logore filtra la luce del lampione giù in strada. Ad ogni sorso la testa ti si sgonfia, il sudore inizia ad evaporare. La mente si rasserena e provi a stenderti su quel divanetto che a stento ti tiene tutto. Finisci la tua lager del cazzo, poggi la latta vuota sul pavimento. Cerchi di allungarti verso il telecomando, ma è troppo lontano cosi desisti. Trovi una posizione che ti sembra comoda, chiudi gli occhi ma da quelle logore tendine già vedi entrare la luce del nuovo giorno... Ci risiamo, un'altra notte insonne, un'altra notte dove i tuoi fantasmi hanno avuto la meglio...


Intermedio 15

‎domenica ‎5 ‎giugno ‎2011, ‏‎01:47:55 | brainiacVai all'articolo completo
Hai presente quando gli occhi ti si chiudono perchè hai un cazzo di sonno? Se li che fai di tutto per restare bello sveglio, ma nulla, ti addormenteresti anche seduto sulla tazza del cesso per poi risvegliarti con le gambe doloranti per il blocco della circolazione. In più ci si mette quella cazzo di birra. E' li nel frigo che ti chiama la troia. Così apri la porta e lei è tutta bella bagnata, che con i suoi colori ti accattiva.Poi le ore passano e con esse anche la voglia di dormire, ma nel domani ti aspetta l'ennesima giornata del cazzo. Tutto di corsa, tutta fatica, mentale e fisica. ho veramene le palle piene...

Intermedio 14

‎domenica ‎29 ‎maggio ‎2011, ‏‎02:36:12 | brainiacVai all'articolo completo
"Boom Boom Boom" il basso delle casse inondava tutta l'aria della stanza. Steso sulle piastrelle fredde del pavimento vestito solo dei miei wrangler passo la mano sulla testa rasata. Sono zuppo di sudore ma il basso continua a bombardare la mia mente devastata. Provo a tirarmi su, il poster di " the beliver" sembra invitarmi a restare col culo a terra. Mi sollevo a fatica e tra una caduta e una sbandata raggiungo il cesso. Aprò il rubinetto dell'acqua fredda. Ho la testa fottutamente in fiamme. La metto sotto e l'acqua sembra pungere il mio cuoio capellutto come una cazzo di medusa atlantica. Il freddo del liquido trasparente mi da sollievo ma le tempie sembrano pelli ci asino tirate per farne tamburi. Tiro su la tavoletta del cesso. Tutto è ombrato, il trip è di quelli tosti. Sbocco come un fottutissimo novellino, il trip è di quelli tosti, non so se mi capisci.





Cap LXXV

‎giovedì ‎26 ‎maggio ‎2011, ‏‎03:37:50 | brainiacVai all'articolo completo
Era pieno inverno e come una formica vivevo dignitosamente dopo aver lavorato tutta una "temporada" estiva. Le giornate le trascorrevo tra una passeggiata lungo il porto di Barceloneta, leggendo qualche libro e incontrandomi con Ana o Rocio. Con Ana il rapporto era in una fase di stallo, la piccola "rockabilly" non sapeva cosa fare. D'altra parte io non le facevo nessuna pressione, dato che come lei ormai avevo messo il due piedi in una sola scarpa. Ana rappresentava uno stile di vita più vicino al mio, una maniera di vedere e intendere le cose sotto un punto di vista "culturale" affine. Rocio era tutt'altro, una donna stupenda, allo stesso tempo dolce ma impegnata in un lavoro che mi faceva bruciare di rabbia. Ero seduto in un bar all'interno de la boqueria. Avevo appena comprato un libro e tra un sorso di caffè e un morso al mio panino scorrevo le pagine di " la sombra del viento". Mentre ero completamente assorto nella mia lettura sentì una mano poggiarsi sulla mia spalla. Alzai la testa, il profumo che inondò il mio naso era familiare. Mi girai e dietro un enorme paio di occhiali da sole si nascondeva il volto di yurani. Il nostro ultimo incontro risaliva a parecchio tempo fà, quando venne a ritirare la denuncia di sua sorella e mi salvò il culo da una serie di grane a cui sarei andato incontro. La salutai con molto imbarazzo, era sempre bellissima ed era quel tipo di ragazza che con un solo sguardo era capace di farmi diventare piccolo piccolo. Mi domandò cosa facessi in quel posto cosi incasinato a quell'ora del mattino leggendo. Effettivamente era il posto meno adatto, ma sono sempre stato così, ho sempre trovato la concentrazione nel caos. Le sorrisi e feci spallucce e le domandai se potevo offrirle un caffe. Annui con la testa, si tocco i capelli e chiese al tizio del bancone un cortado. Finito il Desayuno uscimmo dal mercato e scendemmo lungo la rambla con passo svogliato. Il freddo era pungente ma sentivo il calore della sua persona inondare ogni mia singola cellula. Arrivammo sul porto, il cielo era nuvoloso e il mare emanava quell'odore di cima umida. Di tanto in tanto si sentiva l'urlo di qualche gabbiano. Si parlava di cazzate, ma ero sicuro che lei voleva dirmi qualcosa che le era difficile tirare fuori. Ci fermammo su una panchina le chiesi come stesse. Fu sorpresa da quella domanda e con qualche secondo di ritardo rispose che tutto sommato stava bene. Le domandai se fosse single, ed ancora una volta tardò nel rispondermi. Mi spiegò che aveva una mezza storia con un ragazzo ma nulla di serio, poi mi ritorse la domanda e in tutta sincerità le spiegai la mia situazione sentimentale facendole capire che era tutto un casino, poi aggiunsi che ero ancora innamorato di lei . Subito dopo quelle parole notai il suo sguardo perdersi nel vuoto. Si mordichiava il labbro superiore e dopo qualche istante notai una lacrima scendere da dietro quegli occhialoni da sole. Le presi il viso tra le mani, con un debole suono mi disse di lascirla ma non l'ascoltai, le tolsi gli occhiali e con i pollici le asciugai le lacrime. Era da tempo che non mi perdevo in quello sguardo color caffè. La baciai, le sue labbra avevano il gusto di fragola grazie al burro cacao che sempre si metteva per evitare che il freddo segnasse quelle stupenda labbra esotiche. Mi strinse forte e tra un singhiozzo e l'altro mi disse che le dispiaceva tantissimo. Era dispiaciuta di avermi sbattuto fuori casa a cartagena a migliaia di chilometri dal mio mondo, era dispiaciuta d'avermi ferito, era dispiaciuta d'avermi odiato, era dispaiciuta d'avermi giudicato per quello che avevo fatto. La strinsi forte e le sussurrai che tutto andava bene, che io già l'avevo perdonata. La strinsi e sentì che ruppe a piangere ancora più forte. Signhiozzando commentò che ormai era troppo tardi e che da li a a poco si sarebbe sposata con quel ragazzo con cui aveva detto di avere una "mezza storia", M'inflisse l'ennesima pugnalata. La lasciai e mi tirai su. PEr qualce istante avevo toccato il cielo con un dito ed ora mi ritrovavo nuovamente a strisciare nel fango. Le augurai una vita felice voltai le spalle e mentre mi allontanavo sentivo i suoi singhiozzi perdersi nel vento. Entrai nel primo bar che incontrai sul cammino e mi sbronzai di brutto. Ricordo solo che quando uscì fuori era notte fonda e che la testa mi girava. Mi sedetti su una panchina poco distante, un pannelo digitale pubblicitario indicava le ore e la temperatura, il termomentro segnava -1° ma il mio corpo ormai era sballato. Notai la vibrazione del cellulare, a fatica lo tirai fuori dalle tasche strette del mio jeans. Ana mi stava chiamando, risposi ma le parole si incepparono nella lingua, capita la situazione ana mi obbligò a dirle dove cazzo fossi, cosi le riuscì a spiagare dove erano seduti le mie chiappe gelate. Attaccò il cellulare non prima di ordinarmi di non muovere il culo. Dopo mezz'ora fui svegliato dal clacson di una macchina, era lei che era venuta a raccogliermi. Provai a tirarmi su, ma il primo tentativo fu patetico. Ricaddi sul mio culo seduto sulla panca. Cosi la vidi scendere dall'auto e prendermi con forza per trascinarmici dentro. Una volta li ,fui colpito da una botta di calore. Lei entrò sul posto di guida e quasi con voce incazzata mi disse che era stata in pensiero per me. Mi toccò e arrabbiatà mi disse che stavo congelato. Una volta in casa sua ricordo che iniziò a riempire la vasca da bagno con acqua calda. Io caddi sfinito sulla tazza del cesso, lei con tanta pazienza iniziò a spogliarmi e mi aiutò a mettermi dentro. Il contatto con il calore dell'acqua fu bellissimo, doveva essere cosi quando ancora stavo nel grembo di mia madre. Da buon etilico fottuto, dopo quella riflessione, ricordai, ovviamente, mia madre, la sua morte, la mia assenza, yurani che si sposava e senza manco accorgermene esplosi in un pianto esasperato. Ana mi abbracciò e cadde nella vasca vestita di tutto punto, ma non fece una piega continuò tenendomi stretto , quasi come se fossi stato il suo piccolo bambino...

Cap LXXIV

‎martedì ‎24 ‎maggio ‎2011, ‏‎02:57:39 | brainiacVai all'articolo completo
Fui puntuale, erano le 5 del mattino. L'aria era gelida e avvolto nel mio harringhton passeggiavo nervosamente sul marciapiede di fronte l'ingresso del club. Tutto era ancora avvolto dal buio, qualche bar iniziava ad aprire ed io per riscaldarmi fumavo sigarette in continuazione. L'attesa fu snervante, ma durò poco. Rocio uscì dal locale avvolta in un cappotto blu. Non indossava quel vestitino che esaltava il suo corpo, ma un semplice paio di jeans e scarpe adidas. Mi vide e il suo volto si illuminò con un sorriso. Le andai incontro e l'abbracciai. Non conoscevo quella ragazza, l'avevo pagata per farci del sesso ma in quel momento azzerai tutto e non pensai al fatto che lavorasse in una sorta di bordello e che si manteneva scopando riccaccioni del cazzo. In quell'istante avevo davanti agli occhi una semplice ragazza, dolce, indubbiamente bella, che voleva conoscermi. Le proposi di rifugiarci in un bar all'incrocio del passeig de montjuic, lei non obiettò nulla cosi la presi sotto braccio e c'incamminammo verso la fine della strada, lontano da quel club dove l'avevo conosciuta. Andavamo con passo veloce, mentre si camminava in un silenzio interrotto solo da qualche sirena in lontananza le dissi che faceva proprio un freddo del cazzo. Lei sorrise e con la testa annuì. Arrivati al Bar aprì la porta e la feci entrare per prima, ci sedemmo ad un tavolino che faceva ad angolo con la parete. Era l'unico spazio che dava uan sensazione d'intimità. Il calore nel locale era piacevole, sentivo le mani infuocate per il repentino cambio di temperatura. Un uomo sui sessanta con dei lunghi baffi neri venne a prendere le ordinazioni, lei chiese un the caldo macchiato con una caña, io optai per un cappuccino con un semplice toast. Pochi secondi el il tizio era di ritorno con le nostre ordinazioni. Davanti a quelle tazze fumanti notai il colore verde cristallino dei suoi occhi. Trascorremmo una mezz'ora in quel bar dove parlammo un poco di noi stessi per conoscerci. Rocio non era spagnola, era nata in messico e da qualche anno si era trasferita nella città di picasso dove per poter vivere bene si era dedicata alla professione più antica del mondo. Nulla in contro, ognuno è libero di scegliere la propria strada e poi era e forse sono ancora, l'ultima persona che puo' permettersi di giudicare o quanto meno opinare sulle scelte altrui. Il suo accento esotico catturava la mia attenzione e anche se erano quasi ventiquattr'ore che non chiudevo occhio la mia mente era bella sveglie e ricettiva. Uscimmò dal bar, le strade iniziavano ad essere illuminate da un timido sole che iniziava a levarsi in cielo. Barcelona iniziava a svegliarsi e noi camminavamo per le sue strade chiacchierando spensieratamente. Senza neanche saperlo giungemmo sulla soglia d'ingresso del palazzo dove viveva. Mi domandò se avessi avuto voglia di salire da lei, accettai senza pensarci su. Il suo appartamento era molto ordinato e pulito. All'ingresso fui travolto da un odore di fiori d'arancio che mi riportarono a quando avevo sette anni e giocavo a calcio nel cortile della scuola. Ci sedemmo su un divano enorme che dava direttamente sulla finestra,lei si poggiò vicino io l'abbracciai e le nostre labbra si incontrarono per la prima volta. Mentre la baciavo pensai a come tale effussione fosse molto più intima e importante di una fottutissima penetrazione. Con quest'angelo c'avevo fatto sesso come un ossesso per una ora e non provai quello che stavo sentendo in quei minuti che le nostre labbra si incontrarono. L'abbracciai, come un gatto lei si raggomitolò contro di me. La strinsi ancora più forte e l'odore dei suoi lunghi capelli neri mi fece venire voglia di baciarla ancora una volta. Ci stendemmo sul divano e mentre tutta Barcelona si svegliava noi ci addormentammo.

Cap LXXIII

‎lunedì ‎23 ‎maggio ‎2011, ‏‎02:41:40 | brainiacVai all'articolo completo
Finito il festival decisi di continuare a frequentare Ana. Fortunatamente anche lei viveva a bcn, una volta tornati trovai un piccolo appartamento da fittare non lontano da dove abitava lei. Il quartiere non era malaccio per uno nato e cresciuto nelle periferie di napoli. Nè io nè lei eravamo pronti per una storia seria, cosi ci limitammo a una frequentazione light con qualche sana scopata di quando in quando. Ana era ancora intrescata con un testa di cazzo con cui stava da parecchi anni, la cosa non è che mi andasse giù, ma dovevo accettarla. Eravamo una sorta di amici intimi e la situazione non prometteva nulla di buono. Una sera ero da lei e svaccati sul divano in tutta e felpa stavamo guardando la tv. Dovevano essere quasi le ventitre quando il suo cellulare cominciò a squillare. Lei si alzò, vide il nome sul display e con fare nervoso mi disse che la stava chiamando quel coglione del suo ex o non ex compagno. Andò in cucina, abbassai il volume della tv per cercare di afferrare qualche parola e capire il senso del discorso, ma non c'è ne fu bisogno. Dopo qualche istante rientrò nella camera dove ero intento a vedere la serie di "la cinquo" Aida e mentre luisma stava dicendo una delle sue cazzate lei mi disse che dovevo andare via. Perplesso le domandai il perchè e con un certo imbarazzo mi spiego che il suo ex doveva vederla per chiarirsi le idee. Dentro bruciavo di rabbia, ma mascherai le mie emozioni per farle rodere il culo come se non me ne fottesse un cazzo. Cosi mi alzai, presi il mio bomber e con un fantastico sorriso la salutai augurandole ironicamente una buona serata. Lei mi guardò stranita e mi disse di non prenderla male ma le feci notare che io male di certo non l'avevo presa. Mentre camminavo per le strade deserte ripensai a quanto accaduto e con una certa stizza decisi di trovare conforto in un cazzo di club a pochi passi da casa. Mi fermai ad un bancomat, prelevai una certa cifra e dopo qualche metro entrainel portone del bar notturno new moon. L'interno di questo club era veramente una merda. Lucine rose si alternavano con combinazioni di led stile natalizzio. Una volta dentro fui subito abbordato da una tipa enorme che con una certa classi mi domando se avessi mai scopato con una dal culo enorme. Ringraziai la signora perle attenzioni dedicatemi e mi congedai puntando una ragazza dai lunghi capelli neri e dal corpo statuario che se ne stava tutta sola a bere qualcosa. Mi sedetti al suo fianco e le chiesi se potevo offrirle da bere, Lei mi guardò dalla testa ai piedi e con aria snob mi confidò che il suo prezzario forse non si addiceva alle mie tasche. Ferito nell'orgoglio ma sempre più intestardito tirai fuori due banconote da cento e le domandai se per un'oretta sarebbero bastate. Il suo modo di fare cambiò all'istante, il suo sguardo snob si tramutò in due occhioni che sembravano supplicarmi di fottermela per bene. Mi prese per mano e mi disse di seguirla. Passammo attraverso una porta che dal bar portava ad un corridoio con una serie di porte. Giunti alla fine del passaggio apri una porta ed entrammo. La camera non era male, c'era un tv lcd, un letto enorme e una serie di mobiletti del cazzo. Posai i due cento euro sul comodino e mentre mi stavo per spogliare lei mi afferrò con forza e mi spintonò verso il letto. La lasciai fare, era una ragazza esile ma dal seno pronunciato e con un corpo asciutto e tonico. Mi spinse sul letto e mentre mi spogliava cominciò a mandarmi su di giri. Scopammo per due ore e mezza. A fine sessione avevo il pisello indolensito ed anche se lei aveva usato vari gel lubrificanti si lamento del fatto che forse avevo esagerato nella foga. Le allungai i soldi, mi feci una doccia e lei entrò con me ed iniziò ad insaponarmi la schiena. Le dissi se era un extra a pagamento e tra una risata e l'altra mi commentò che lo faceva senza alcun interesse ma solo come atto di gentilezza dato che era stata la prima volta che le era piaciuto il lavoro che faceva. Una volta fuori dalla doccie le domandai il numero di telefono, lei mi guardò stranita ma me lo detto velocemente, ebbi solo il tempo di memorizzarlo che lei sgattaiolo subito in sala. Mentre tornavo verso casa provai a chiamare ana, la stronza non rispondeva ed ero sicuro anche del perchè. Selezionai il numero di rocio, la squillo che mie ero appena ripassato e le inviai un sms nel quale dicevo che avevo voglia di lei ma solo se anche lei avesse avuto voglia di me. La risposta non tardò ad arrivare e mi disse di passare fuori il bar verso le cinque del mattino..

Intermedio 13

‎domenica ‎22 ‎maggio ‎2011, ‏‎02:31:39 | brainiacVai all'articolo completo

Intermedio 12

‎sabato ‎21 ‎maggio ‎2011, ‏‎02:18:17 | brainiacVai all'articolo completo
Mi domando perchè. La vita mi è sfuggita di mano. Quando ero un fottutissimo pezzo di merda avevo tutto ben chiaro e dominato, ora che ho provato ad entrare nei limiti della società civile non sono più padrone del mio destino... Perchè? Vivo nell'insofferenza, nella stanchezza. Il nervosismo è l'unica cosa certa di ogni maledetta giornata. Ingoio litri e litri di amara bile, mi affanno ad essere corretto e puntuale su ogni scadenza ma vedo che è tutto inutile. Quando c'è da prendere, loro prendono, qunado è il mio turno la posta è zero. Ricordo con nostalgia quello che ero stato ieri, odio chi sono oggi e del domani non c'è certezza, come recitava un famoso poema.
Piedi nel presente e testa nel passato, ma il presente mi fa schifo.

Intermedio 11

‎domenica ‎15 ‎maggio ‎2011, ‏‎02:37:50 | brainiacVai all'articolo completo

Cap LXXII

‎sabato ‎14 ‎maggio ‎2011, ‏‎02:37:53 | brainiacVai all'articolo completo
Il viaggio durò troppo ma quando arrivai capì che ne era valsa la pena. Alicante è una bellissima cittadina costiera, piena zeppa di hotel, ristoranti, pub e quant'altro possa attirare turismo. Peccato che in inverno sembra una fottutissima città fantasma, con la maggior parte dei locali chiusi. Scendendo dal treno ribeccai quei tipi che avevo adocchiato alla stazione di bcn. Non sapevo che cazzo fare così mi feci coraggio e cercai una scusa per abordare il gruppo di ragazzi che sembravano alla ricerca della mia stessa cosa. Portai la mano alla tasca di dietro dei miei wrangler e tirai fuori la fly spiegazzata che avevo preso da Javi. Cercai di aprirla evitando strappi e cagate varie e avvicinandomi ai soci chiesi se sapessero dove si sarebbe tenuto l'evento. Con un fottuto sorriso sulle labbra mi dissero che anche loro erano arrivati per partecipare a quel cazzo di festival così mi invitarono ad unirmi al loro gruppo e la cosa mi andava da dio visto che tra di loro c'era una "roccabillina" veramente interessante. Iniziai a socializzare con i nuovi soci e più passava il tempo più la tipa che ormai avevo puntato si iniziava a sciogliere. Di comune accordo, distrutti per il viaggio e assetati per i km percorsi a piedi decidemmo di fermarci in un piccolo bar che dava su una meravigliosa spiaggia. Il tempo era ancora clemente e pure se si era agli inizi di ottobre pareva di essere in piena estate. Ordinammo birra fredda e patatine chips, il sole accarezzava la nostra pelle ricoperta da variopinti tattoo. Offrì il primo giro al quale seguirono molti altri. Le ore volarono via e cosi ci ritrovammo in piena notte sbronzi e seduti su queste sedie di plastica a ridere e sparare cazzate. Era da tempo che non trascorrevo una mezza giornata in maniera cosi fottutamente spensierata. Il proprietario del bar iniziò a guardarci in malo modo, le urla, le risate e forse il nostro aspetto trasandato e diverso doveva metterlo in difficolta, così optamo per alzare i culi e trasferirici sulla spiaggia, dove avevamo decisi in maniera del tutto casuale di trascorrere la notte. Raccattammo qualche altra birra in bar che davano sulla rambla principale e ci sedemmo in circolo intorno ad un misero fuoco ottenuto da qualche pezzo di legno che il mare aveva sputato fuori. La notte passò piacevolmente e la mattina dopo quando apri gli occhi batteva un sole maledettamente africano. Sporchi di sabbia e con la testa in merda per il mare di lager bevuto ci rendemmo conto che la spiaggia er abbastanza affollata. Era un cazzo di sabato e molti s'erano riversati sulla costa per aprofittare ancora di quel sole cosi caldo. Attorno a noi c'era come una area di sicurezza immaginaria nella quale non sostava nessuna persona. Mentre ci si allontanava dalla sabbia, ana belen, questo il nome della roccabillina che me lo tirava, mi prese per il braccio e con un sorriso sulle labbra mi domandò se mi dava fastidio. Dovevo aver preso troppo sole mentre dormivo su quel cazzo di braccio, dato che quando senti le dolci mani di ana poggiarsi sopra il dolore del contatto della sua mano con la mia pelle in boia fu bello tosto. LE sorrisi non dando dimostrazione di sofferenza. Dopo qualche ora di marcia individuammo l'area dove si sarebbe tenuto il festival. Uno dei ragazzi si avvicinò all'entrata per chiedere info, io con ana e un altro scoppiato decidemmo di aspettare il socio ad una certa distanza dii sicurezza. Ci fu detto che il festival sarebbe cominciato verso le ventidue cosi optammo per cercare qualche albergo a basso costo. Per abbattere le spese proposi di dividerci in coppie e cercare qualche posto nei paraggi. Senza manco dirlo io ero gia apparigliato con ana ed era proprio quello che cercavo. Ci dividello in vari gruppetti e iniziammo la ricerca di qualcosa. Dopo circa una mezz'ora adochiai una sorta di B&B. Anda ia domandare e presi due camere una per me e ana e l'altra per gli altri due che ci avevano seguito. Una volta in camera chiesi ad ana se avesse avuto bisogno del bagno, lei davanti ai miei occhi si spogliò e nuda con la pelle tatuata era ancora più bella. Notai una forte pressione nei pantaloni, mi avvicinai a lei e cominciai a bacirla. Finimmo sul pavimento della camera ad accoppiarci come due animali. Il dolore delle scottature era tremendo, ma era utilissimo per distrarmi da quello che stavo facendo evitando quindi una ingloriosa chiusura delle ostilità. Esplosi in uno sbuffo di soddisfazione e notando il viso di ana contratto in una maschera di paicere mi lasciai cadere al suo lato. Il freddo delle mattonelle era una goduria, lei si alzò ed andò a farsi una doccia, io la segui a ruota e dopo un paio d'ore di sonno eravamo già in strada pronti per entrare a questo cazzo di festival.

Cap LXXI

‎venerdì ‎13 ‎maggio ‎2011, ‏‎02:04:20 | brainiacVai all'articolo completo
L'estate volò via e mi ritrovaì senza nulla da fare e un conto in banca che se ci ripenso oggi mi viene una cazzo di nostalgia. Settembre si era portato via i residui di turisti, così mi si prospettò un lungo inverno di pausa, ma solo a livello lavorativo. Strinsi la mano al capo del personale e con la promessa che ci saremmo rivisti a Marzo lasciai quel posto che mi aveva riportato al tam tam della mia vita. Ritornaì a barcelona città, spulciavo dalle vetrine di agenzie immobiliari affitti a buon prezzo in zone centrali. C'era solo l'imbarazzo della scelta. La prima notte la trascorsi in un hotel/club privato in compagnia di due gentil signore che mi costarono caro ma del resto uno come me poteva permetterselo. La mattina dopo passai a fare colazione da javi, colazione per modo di dire: "Cerveza y navajas", una vera merda. Chiesi se avesse qualce suggerimento e dopo vari secondi di silenzio mi domandò se fossi mai stato ad Alicante. Scossì la testa e gli domandai il perchè. Prese il solito bicchiere e cominciò maniacalmente a lucidarlo con uno straccio fetido quasi come fosse un tic. Mentre era li che strofinava iniziò a sputare fuori qualche parola. Mi disse che era un posto da vedere, dove avrei trovato qualcosa da fare in pieno inverno e li partì una risata che non capì. Senza mezzi termini gli dissi di sputare fuori senza troiate quello che aveva in testa ma lo stronzo da gran figlio di puttana non si scompose di un centimentro e guardandomi dritto negli occhi prese qualcosa da un cassetto lo poggio sul banco e battette la mano come per invitarmi a leggere. Era una fottutissima fly di un festival psychobilly che si sarebbe tenuto da li a una settimana in una localita di Alicante. Alzai gli occhi per incrociare il suo sguardo e vidi disegnato su quel volto una sorta di maschera beffarda che pareva dire " Stronzo ti conosco fin troppo bene". Gli chiesi se potevo tenermi la cazzo di fly e senza manco tirar fuori una parola con un cenno de lcapo mi fece capire che non c'erano problemi. Quel cazzo di bar era come una agenzia di viaggi, prima malta, ora alicante, pareva suggerirmi dove cazzo andare a sbattere con la testa. La stessa sera andai in stazione cercando di informarmi sugli orari di partenza per la mia nuova destinazione. Il primo treno sarebbe partito l'indomani verso le 9 del mattino, cosi un po' deluso e con la stanchezza che iniziava a tirarmi calci nelle ginocchia decisi di andare a prendere una camera d'hotel non lontano dalla stazione. Trova una pensione frequentata da cinesi, indiani e puttane. L'ambientino non c'era male, ma almeno l'interno delle camere sembravano decenti. Provai a fare uan doccia ma l'acqua calda forse non era compresa nel prezzo. Cosi infreddolito e mezzo incazzato mi avvolsi in un asciugamano e mi buttai sul letto. Le ore volarono e quando aprì gli occhi già erano le sette e qualcosa. Mi rivestì e una volta saldato il conto andai in stazione per prendere il biglietto per alicante. Mentre ero in fila notai subito qualche individuo che sicuramente aveva la mia stessa destinzaione. Tra questi c'era una ragazza che mi colpì molto e che da li a poco avrei conosciuto....

Intermedio 10

‎martedì ‎10 ‎maggio ‎2011, ‏‎02:02:03 | brainiacVai all'articolo completo
" Vacca boia, ne ho le palle piene. Ti affanni tutti i cazzo di giorni per portare a casa quei merdosi soldi e cristo, ti devi sorbire tutta la merda. Il tempo va via, e ti ritrovi più vecchio e rincoglionito su quel cazzo di divano consumato dal tuo flaccido culo. Te ne stai li seduto a farti qualche latta aspettando che si faccia ora per tirare un fottutissimo ronfo e poi rialzarti con la testa in merda per farti il culo tante altre ore. La tua pace solo quel paio d'ore quando sei solo, tutto il mondo dorme e tu li a farti di birra e a vedere qualche porno del cazzo. Vecchio patetico, pure la fottuta morte ti evita"

Cap LXX

‎sabato ‎7 ‎maggio ‎2011, ‏‎02:04:19 | brainiacVai all'articolo completo
Piena estate. Nella cucina si sudava come maiali. Il lavoro era tanto, i ritmi frenetici gli errori all'ordine del giorno. Ragazzini freschi di scuole alberghiere incapaci di prendere posizione. Le urla si perdevano tra i rumori di pentole e sbuffi di vapore. Il mio nome sulla giacca nera, stile samurai, a stento si leggeva. Era pomeriggio inoltrato e ne avevo le palle piene. Giunse infine la calma, seduto fuori sul retro delle cucine cavalcando una cassa di plastica per bottiglie mi fermai a farmi una sigaretta e a sputare fuori tutte le cose che erano andate male, poche a dire il vero, ma quei bastardi è sempre meglio tenerli sul cazzo del filo del rasoio, perchè se li molli si sfibrano come elastici economici di mutande da mercato e t'inculano il giorno. Avevo io il comando del mio turno. Ho sempre creduto che in qualsiasi cosa c'è bisogno di una persona che da ordini e di altre che li eseguono. In certi ambienti la democrazia e pura anarchia. L'ordine deve regnare sovrano se si vuole andare avanti. Quando si lavorava la tensione che mantenevo alta faceva si che tutto filasse per il meglio. Ringhiare ordini, chiedere rispetto dei tempi era il mio mantra in quelle fottutissime otto ore finite le quali i miei guerrieri, armati di fruste e pentole, potevano respiarare e sorridere ai complimenti del grande capo. Ci costruimmo una certa fama, dal primo turno arivammo a scalare posizioni. Infine ci toccò l'ultimo turno, la cena. Il momento più caotico ed importante. Duecento e passa coperti da servire in due ore circa. In tanti avevano scazzato ma non noi. Automi temporizzati, scimmie rasate che operavano sistematicamente. Alla fine non dovevo più parlare, i miei ragazzi s'intendevano con il solo sguardo. I camerieri e i capi sala non credevano a quello che vedevano ogni fottutissima sera. Eravamo una legione di cuochi, non un emozione, non una smorfia di dolore doveva comparire sui nostri volti. La coesione si formò col tempo, vivevamo tutti sullo stesso piano, mangiavamo alla stessa ora allo stesso tavolo, si viveva per la maggior parte del tempo inzieme. L'estate trascorse in un battito di ciglie. I complimenti del direttivo non si contavano. Oltre alla paga pattutita ci furono versati premi e laute mance. Ci concedavamo al vizio e ai piaceri più sfrenati solo la notte prima del giorno di riposo. Quando si varcava la porta degli spogliatoi la musica cambiava, quello che si era fatto fuori, fuori restava.

Cap LXIX

‎martedì ‎3 ‎maggio ‎2011, ‏‎02:46:34 | brainiacVai all'articolo completo
Finalmente trovaì lavoro. Da povero stronzo dovetti affidarmi ad una di queste agenzie del cazzo. Una ragazza tirata a lucido mi fece compilare un fottuto modulo e mi spiegò che sulla prima busta paga avrebbero detratto un tot e cosi via fino a quando non avrebbero incassato una intera mensilità. Dopo un paio di telefonate e qualche tasto pigiato sulla tastiera del suo pc mi informò che sulla costa un complesso alberghiero era alla ricerca di cuochi. Il giorno dopo salì sul treno che mi portò dritto a Malgrat de Mar. Mi recai all'intervista di lavoro e dopo circa venti minuti ero già in cucina vestito di tutto punto a capire cosa cazzo bisognasse fare. La "temporada" era iniziata i turisti affollavano le stradine della costa e gli alberghi e ristoranti registravano i primi pieni. Alloggiavo in un appartamento vicino alla struttura dove lavoravo. Condividevo 4 camere da letto con cucina e doppio bagno con altri due ragazzi, un argentino e un ragazzo spagnolo proveniente da chissà quale fottuto paesino dell'andalusia più profonda. I turni di lavoro erano giusto di otto ore, avevamo due giorni liberi e una paga niente male. I primi mesi volarono via come foglie al vento. Ogni sera dopo il turno facevo il giro dei locali che erano zeppi di ragazzi e ragazze stranieri in vacanza. C'erano un casino d'inglesi ed olandesi e il tutto mi suonava familiare. Ogni sera rientravo nel mio appartamento con qualche ragazza pallida e dai colori scialbi mezza sbronza. Dopo l'ultima pugnalata ricevuta da Yurani e quella puttana di sua sorella avevo deciso di mettere la parola fine alle relazioni serie con l'altro sesso. Ero stanco di ritornare sempre al punto d'inizio dopo anni di duro lavoro. Cosi ero entrato nella mentalità dell'asso piglia tutto. Fanculo la vita di coppia, la ragazza che ti aspetta sul divano, le lunghe chiacchierate nel letto. Basta. Scopavo solo e fanculo il resto. Una notte dopo una sbronza di quelle coi controcazzi con una brigata di ragazze locali mi ritrovai in spiaggia. La tipa che avevo puntato per tutta la notte era ridotta uno straccio. Mentre ero li che mi accendevo una siga la vidi correre verso il mare e buttarsi a peso morto dentro. In quel momento tirai giù un paio di bestemmie, e corsi a recuperarla bagnandomi completamente. Era cosi strafatta che quando la misi sui ciottoli della riva mi sorrise e cadde in un sonno etilico. Domandai ad una sua socia in quale cazzo di macchina dovevo scaricarla e cosi dopo qualche minuto la misi in una citroen verde a ronfare. Così mi ritrovai tutto bagnato nel mezzo della notte a pochi passi da casa. Tolsi maglietta e pantalone rimanendo in boxer. D'improvviso sentì dei fischi provenire da un balcone sopra la mia testa. Alzai il capo e vidi 4 ragazze che in inglese mi invitavano a salire. Mi feci dire l'interno e dopo pochi secondi ero già sul ciglio della porta a scegliermi la preda per quella notte. Non dormivo un cazzo, scopavo a iosa e lavoravo duro in più ci scappava sempre la sbronza nelle notti in cui il giorno dopo avevo il turno di riposa. Avevo ormai buttato tutti i ricordi e i rimorsi alle mie spalle e continuai a vivere a questi ritmi fino a quando non incontrai la donna che mi fece scattare l'interruttore del cervello, la mia attuale compagna, la madre dei miei figli...

Cap LXVIII

‎lunedì ‎2 ‎maggio ‎2011, ‏‎02:43:19 | brainiacVai all'articolo completo
Il caffè era bello bollente. Al primo sorso sentì la lingua scottare. Poggiai la tazza sul piattino aspettando la prima mossa di quella stronza che non tardò a palesarsi. Sarà solo una mia impressione, ma penso di aver capito una cosa della psiche "sudamericana", vivono in una fottutissima telenovella e se non ci sono i presupposti allora se li creano loro. Sentì una mano poggiare sulla mia spalla, strinsi forte la tazza tanto da scottarmi la mano. Mi voltai lentamente e quando il mio viso era puntato verso di lei, notai, con disprezzo, un sorriso solare, simile a quello di due amici che non si vedevano da una vita. Iniziammo a parlare, le sue erano domande mirate. Era la solita ficcanaso odiosa. Alle sue domande multiple risposi vagamente ma la sua insistenza iniziava a innervosirmi. La troia era accompagnata da un ragazzotto dai tipici tratti incas. Mentre li vedevo li, davanti i miei fottutissimi occhi, mi domandavo cosa ci trovasse la sorella di yurani, che anche se odiavo era effettivamente una gnocca come la sorella, in quel ragazzo veramente brutto da guardare. Finì il mio caffè e lei era ancora li che blaterava parole su parole. I miei timpani ne avevano avuto abbastanza, così, incurante del galateo e del vivere civile le diedi le spalle mentre sputava fuori parole su parole in una accento odiosamente sudamericano per chiedere il conto. Il gesto non dovette piacere al "caballero de la puta", tant'è che lo stronzo fece il grosso errore di rivolgermi la parola in tono autoriatrio. Pagai il conto e lentamente mi girai sullo sgabello in direzione di quelle due sagome del cazzo. Mi tirai in piedi e notai che "apocalipto" mi arrivava giusto all'altezza dello sterno. Poggiai la mia mano sulla sua spalla e con un accento duro ma corretto gli ringhiai di non dirigermi la parola per nessuna ragione. Machu picchu non afferrò bene il concetto e lo capì dal fatto che con una certa aria irritata mi spintonò contro il banco. Fù la goccia che fece traboccare il vaso. Istintivamente e senza pensarci su afferrai la tazza che era poggiata sul banco e usandola come un tirapugni la scagliai contro il volto del tiraseghe colombiano. L'impatto fu bello tosto. Al contatto della ceramica con quel viso grassoccio si udì un suono ovattato. In certi momenti mi sembra di vivere le immagini in moviola. Vedevo come la tazza nella mia mano tracciava una parabola immaginaria che si andava a distruggere contro la faccia del povero rincoglionito. Dopo l'impatto sentì in sequenza l''urlo della cagna e le grida di dolore del povero coglione. Lo stronzo si portò subito le mani al volto e cadde in ginocchio singhiozzando per il dolore. Torani a sedermi sullo sgabello davanti il banco, ma stavolta ero girato in direzione del coglione per godermi lo spettacolo. La sorella di yurani continuava a starnazzare non la capivo e poco m'interessava. Machu piccho si alzò in piedi e con il viso bello gonfio scappò in bagno. La stessa sera mi ritrovai a trascorrere una notte in una delle caserme dei mossos d'esquadra fermato con l'accusa di violenza aggravata. Ero bello tranquillo seduto nella cella di sicurezza quando mi aprirono la porta e vidi per mia sorpresa comparire yurani. Era stupenda. Le sorrisi, ma le sue labbra non ricambiarono. Così con fare da buffone le domandai cosa cazzo volesse. Senza troppi giri di parole mi disse che sua sorella le aveva raccontato tutto, ero li ad ascoltare ma ero molto più preso ad apprezzare il suo corpo e il suo viso e a ricordare tutte le volte che avevamo fatto sesso. Yurani percepì immediatamente la mia distrazione, mi colpì ad un braccio e mi disse che aveva convinto il ragazzo di sua sorella a ritirare la denuncia. Detto questo si alzò e senza manco salutarmi andò via. Un paio d'ore dopo e una serie di firme e foto ero fuori dalla caserma. Era tardi cosi fermai un taxi. Mi feci portare a el sants. Pagai la corsa e mentre tornavo verso la pensioncina dove alloggiavo notai un cartellino fuori un locale notturno. Mi avvicinai a leggere e capiì che si trattava di uno bordello. Dovevo allentare la tensione così entrai . LE luci soffuse e il fumo nell'aria rendevano difficile orientarsi in quel bar-puttanaio. Subito fui cinturato da un paio di ragazze. Dal loro accento ed aspetto sembravano del est europa, ma non era l'articolo che cercavo. Mi congedai dalle signore con un bacia mano e mi accostai ad una ragazza il cui aspetto "latino" era inequivocabile. Le domandaì il nome e le offri da bere. Si faceva chiamare Misty, come la protagonista di "diary". Quando i nostri drink furono pronti lei mi disse che prendeva 60€ per ora, io le proposi 300 a cambio che uscisse da quel cesso con me e trascorresse tutta la notte in mia compagnia. Strabuzzò gli occhi e annui sorpresa mentre buttava giù . La presi per mano e la portai fino all'uscita. Lei prese il suo giubbino, l'indossò e si mise sotto braccio. Uscimmò fuori da quel puttanaio , l'aria era fredda, sentì il suo corpo spingere contro il mio per trovare calore. Arrivammo dove avevo la camera, salimmo su e ci spogliammo lentamente. Non mi bastava mai. la scopai e lei mi scopò per tutta la cazzutissima notte, fino le primi luci dell'alba quando in una pozza di sudore e svuotato di tutto mi buttai sotto la fetida doccia per lavare via quell'odore di prostitua. Lei era nel letto, sfatta e mezza addormentata la svegliai accarezzandole i seni e giocando con le dita con i suoi capezzoli. Si svegliò le lasciai quanto pattuito sul tavolo. Si fece una lunga doccia e quando uscì dal bagno stretta nell'accappatoio mi disse che avrebbe preso solo 60€. Le domandai il perchè e lei mi rispose che per la prima volta le era piaciuto il lavoro che faceva...

Cap LXVII

‎domenica ‎1 ‎maggio ‎2011, ‏‎02:38:24 | brainiacVai all'articolo completo
Fù come tornare a casa. Reputo Barcelona la mia seconda città natale. El prat mi riportava alla mente giorni felici, una città nella città. Sarà una boiata, ma quando mi capita di trascorrere del tempo in un terminale di aeroporto ho la sensazione di vivere in un mondo fatato. Le donne ti sembrano tutte più belle, gli uomini tutti più gentili. Forse la dimensione del viaggio fa cambiare le nostre percezioni. Ci rende più affabili e propensi a vedere quanto di buono ci sia nel prossimo, cosa che nella vita di tutti i giorni, cadenzata dal caos e dalla fretta, non cogliamo. Le prime notti le trascorsi in una pensione gestita da indiani nei pressi di el sants, non lontano da dove abitavo tempo addietro. Conoscevo abbastanza bene la zona e pensaì che forse era il miglior posto dove stare per poter ricominciare. Un pomeriggio decisi di fare una capatina da javi, il barista con cui ebbi una sorta di amicizia presa con tacito accordo. L'aria era fresca, la primavera era prossima. La "Rambla" era viva come sempre. Scesi da piazza Catalunya fin giù piazza Colon e da li entrai nel barrio gotico. Pochi passi e mi ritrovai davanti il piccolo bar di Javi. Entrai e lo stronzo non era cambiato di una virgola. Al vedermi sollevo leggermente la testa e disegno' sul suo viso una cosa che era prossima ad un sorriso. Lo salutaì senza troppe scenate, mi sedetti al banco e gli chiesi una estrella dam. In pochi secondi ero servito. Domandai come se la passava, e lui, sempre con la stessa faccia inespressiva, rispose che tutto proseguiva come doveva. Lo stronzo non faceva trapelare un'emozione ma io sapevo che era felice di rivedermi. Presi qualche altra pinta e chiacchierai con javi di tutte le menate che mi avevano investito durante quel tempo. Malta, la settimana trascorsa nel gabbio, la morte di mia madre, il tempo perso a sbronzarmi e a far casino con i soci del futbol. Per la prima volta notai in lui un gesto di solidarietà. Mi diede una pacca sulla spalla e mi disse di stare tranquillo, che bcn era il posto ideale per ricominciare. Tracannai tutto di un fiato quello che rimaneva nel bicchiere e chiesi il conto. Javi faceva finta di non sentire, cosi quando tentai di poggiare sul banco unbiglietto da venti euro il tipo si incazzò e mi urlò che ero suo ospite. Rimisi la banconota in tasca e allungai la mano per salutarlo. La stretta di javi era bella dura, lo ringraziai e mi ributtaì in strada. Avevo solo un ultimo chiodo fisso nella testa. Presi la metro e scesi in prossimita della sagrada familia, andaì per carrer girona fino a ritrovarmi su carrer valencia. Proseguiì fino al civico 44, il portone era aperto, le cassette postali mi fecero capire che yurani ancora viveva li. Provai a chiamare tramite citofono, ma non rispondeva nessuno. Rassegnato e un po' sollevato dal fatto che non avesse risposto mi incamminai verso la metro più vicina. Passai davanti ad un locale che era solita frequentare per prendere un "cortado" . Entrai e mi accomodai al banco ordinando un caffè lungo. Con molta indifferenza mi guardai attorno nella speranza di incrociare il suo bellissimo viso ma con mia somma sorpresa il mio sguardo si scontrò con quello di sua sorella. Proprio lei, quella cagna in calore che mostrò in colombia a yurani quei filmati risalenti al mio periodo olandese...

Cap LXVI

‎sabato ‎30 ‎aprile ‎2011, ‏‎01:51:00 | brainiacVai all'articolo completo
Il percorso per capire qualcosa di noi stessi è lungo, spesso pieno di curve. Andai via da MI dopo due settimane. Il perchè non lo so. Con Monica mi lasciai con un semplice "ciao ti chiamo quando arrivo" ma quella telefonata sapevamo entrambi che non ci sarebbe mai stata. Era e forse tutt'oggi è una ragazza speciale, che riportò nel mio animo quella serenità che pensavo smarrita. Riaprendo la porta di casa ricaddi nei riocrdi più tristi e finì nuovamente a trascorrere notti insonni ammorbidite solo dalle note acidule di lager. Rividi mia sorella un paio di volte, stava bene e a me questo bastava. Una sera , svaccato sul divano davanti la tv che su un canale musicale mandava vecchi videoclip di glorie del rock feci un esame di coscienza, domandandomi cosa cazzo stessi facendo della mia vita. La cosa mi gettò ancor di più nello sconforto. Era ormai da troppo tempo che ero piegato aspettando i colpi della vita. Ebbi la sensazione che fosse arrivata l'ora di dare una svolta, una sorta di nuovo inizio. Non avevo intenzione di cambiare il mio stile di vita, assolutamente no, ma solo di dare una sterzata a quegli ultimi mesi che mi videro protagonista di un beato cazzo. Presi in considerazione la seria idea di lasciare definitivamente la mia città. Partenope, una sirena stupenda legata e sofferente... Avevo bisogno di mettere un punto alla mia esistenza. Il giorno dopo andaì a trovare mia sorella a casa di mio padre, sapevo che in casa ci fosse stata solo lei, le chiesi di poter vedere alcune cose su internet entrai nell'allora portale della clikair e prenotai un volo di sola andata per Barcelona. La decisone era ormai presa. Avevo intenzione di trasferirmi nella capitale catalana, paese dalle mille opportunità per tutti che all'epoca era in pieno boom economico. Salutai mia sorella con un lungo abbraccio e la promessa che mi sarei rifatto sentire con più frequenza. Dopo un paio di giorni mi ritrovai in fila a fare il check-in. Non avevo un lavoro, ma non sarebbe stato un problema trovarlo. Quando l'aereo decollò chiusi gli occhi e sentì dentro di me una tristezza immensa. riniziavo un ciclo della mia vita e forse proprio perchè consapevole di ciò, per la prima volta, ebbi paura di viaggiare...

intermedio 9

‎venerdì ‎29 ‎aprile ‎2011, ‏‎02:11:38 | brainiacVai all'articolo completo
" [...]
Tyler mi ha chiesto contro che cosa combattevo in realtà. Quello che dice Tyler dell'essere una merda e gli schiavi della storia, così mi sentivo. Avevo voglia di distruggere tutte le cose belle che non avrei mai avuto. Bruciare le foreste dell'Amazzonia. Pompare clorofluorocarburi in cielo a mangiare l'ozono. Aprire le valvole nei serbatoi delle superpetroliere e svitare i tappi delle piattaforme petrolifere. Volevo uccidere tutti i pesci che non potevo permettermi di comprare e annerire le spiagge della costa Azzurra che non avrei mai visto.
Volevo che il mondo intero toccasse il fondo.
Mentre picchiavo quel ragazzo, in realtà avrei voluto piantare una pallottola tra gli occhi di ogni panda in pericolo che si rifiuta di fottere per salvare la propria specie e ogni balena o delfino che molla tutto e va a spiaggiarsi. Non vederla come estinzione vedila come un ridimensionamento.
Per migliaia di anni gli esseri umani anno incasinato e insozzato e smerdato questo pianeta e ora la storia si aspetta che sia io a correre dietro agli altri per ripulirlo. Io devo lavare e scacciare i mie barattoli. E rendere conto di ogni goccia di olio di motore usato.
Tocca a me pagare il conto per le scorie nucleari e i serbatoi di benzina interrati e i residui tossici scaricati nel sottosuolo una generazione prima che nascessi. Ho tenuto la faccia dell'angioletto come un bebè nella piega del braccio e l'ho pestato con le nocche, l'ho pestato finche i denti non gli hanno segnato le labbra. Poi l'ho pestato con il gomito finché mi è cascato tra le braccia come un sacco. Finché sugli zigomi gli era rimasto solo un velo di pelle nera.
Volevo respirare scarichi.
Uccelli e cervi sono uno stupido lusso e tutti i pesci dovrebbero galleggiare. Volevo dar fuoco al Louvre. Spaccare gli Elvin Marbles a martellate e pulirmi il culo con la Gioconda. Questo è il mio mondo, ora. Questo è il mio mondo, il mio mondo, e quelle persone antiche sono morte. E facevo colazione la mattina che Tyler ha inventato il progetto caos. Volevamo liberare il mondo dalla storia. Facevamo colazione nella casa di Paper street e Tyler mi ha detto di immaginarmi di piantare ravanelli e patate sul green della 15° buca di un campo di golf dimenticato. Darai la caccia agli alci nelle valli boscose intorno alle rovine del Rockefeller center e cercherai molluschi intorno allo scheletro dello Space Needle, inclinato di 45 gradi. Dipingeremo sui grattacieli le figure di enormi totem e simulacri di divinità maligne e tutte le sere quel che resta del genere umano si ritirerà negli zoo abbandonati e si chiuderà a chiave nelle gabbie per proteggersi dagli orsi e dai grandi felini e dai lupi che di notte passeggiano e ci guardano dall'atra parte delle sbarre. <il riciclaggio e i limiti di velocità sono cazzate> ha detto Tyler <è come uno che smette di scopare quando è siero positivo. >
Sarà il progetto caos ha salvare il mondo. Un era glaciale culturale. Un secolo buio prematuramente indotto. Il progetto caos obbligherà l'umanità ad entrare in catalessi o in fase di remissione il tempo necessario alla terra per riprendersi.
<Giustifica tu l'anarchia> dice Tyler. <Risolvila tu. > come fa l fight club con impiegati e commessi, il progetto caos disarticolerà la civiltà perché si possa fare qualcosa di meglio del mondo.
<immaginati a fare la posta all'alce dalle finestre dei grandi magazzini tra file puzzolenti di splendidi abiti da sera e smoking che vanno in malora appesi alle loro grucce, porterai indumenti di pelle che ti dureranno tutta la vita e ti arrampicherai per rami grossi come tronchi del kud-zu rampicante che abbraccia la Sears Tower. Sbucherai dalla volta gocciolante della foresta e l'aria sarà cosi tersa che vedrai figure minuscole battere il granturco e disporre a essiccare carne di cervo nella corsia d'emergenza vuota di una super strada abbandonata che si allunga, larga 8 corsie e torrida ad agosto, per mille chilometri. >
Questo era lo scopo del progetto caos, ha detto Tyler, la completa e immediata distruzione della civiltà. Cosa viene dopo il progetto caos nessuno lo sa salvo Tyler. La seconda regola è che non si fanno domande
...

Cap LXV

‎giovedì ‎28 ‎aprile ‎2011, ‏‎02:32:13 | brainiacVai all'articolo completo
Aprendo gli occhi mi resi conto di essere solo sotto il piumone ikea. La puntina di un lettore di dischi di vinile graffiava girando, all'improvviso un sound tipicamente anni 70 invase la casa. Mi tirai su, ci misi qualche secondo a capire dove cazzo mi trovassi. Dopo qualche istante vidi moni salire sul letto dalla scala a chiocciola, tra le mani portava una tazza bianca con su marcata la coperitna dell'album dei sex pistols. Presi la tazza, le feci un sorriso e la ringraziai. Bevvi quel latte e caffè con molta calma, era la prima volta che una ragazza mi portava qualcosa da bere a letto appena sveglio, solitamente ero io a fare queste cose. Misi il cuscino contro la parete e ci poggiai contro la schiena. Fuori il tempo era grigio, l'ambiente mi rilassava e quando lei si adagiò con la testa sul mio torace chiusi gli occhi e cominciai ad accarezzarle i capelli neri.Mi chiese cosa avessi intenzione di fare, con molta onestà le risposi che non avevo nessuna idea. Avrei voluto avere un orologio capace di fermare il tempo e restare bloccato in quella situazione all'infinito. Li in quel letto, con lei vicino. La misi al corrente dei miei pensieri e con moltà semplicità ed un luminosissimo sorriso sulle labbra mi rispose che non c'era bisogno di un orologio. Trascorremo gran parte della giornata in quel modo, parlando di tante cose e sorridendo del passato. Sentì l'esigenza di ringraziarla, per quei momenti caldi che era capace di regalarmi, lei, facendo la parte dell'offesa, mi disse che non avevo nulla da ringraziare, la strinsi forte e le baciai la fronte. Il calore del suo corpo rallentava i battiti del mio cuore e toglieva ossigeno al cervello. Era ormai sera inoltrata, mi feci uan doccia e mi vest' velocemente. Lei era già pronta. Andammo a casa di Dario e da li ad un concerto in un bar che si trovava in un paesino del cazzo. Il freddo era pungente, ma la mia anima tornava ad essere calda.

Cap LXIV

‎giovedì ‎28 ‎aprile ‎2011, ‏‎01:42:02 | brainiacVai all'articolo completo
Il vuoto di quell'appartamento era insopportabile. I troppi ricordi,i troppi se,i troppi ma stavano divorando la mia coscienza giorno dopo giorno. I pensieri m'ingurgitavano il cervello così come l'acido corrode qualsiasi cosa tocchi. Ero arrivato al punto che anche sbronzo pensavo a quanto fossi stato assente per la persona che m'aveva dato la vita. Ancora oggi il rimorso mi colpisce, dicono che il tempo cicatrizzi tutto ma non è così. Una bella mattina decisi di chiudere casa, uscire, andare in stazione e prendere un treno che mi portasse lontano. Avevo la speranza di allontanrmi dai miei rimpianti ma ero completamente in errore. Arrivato in stazione chiamai da un merdosissimo telefono D. un amico di Milano con il quale mi sentivo spesso e che conobbi con altri soci durante i vari gig. Gli chiesi se avesse avuto un posto dove sarei potuto stare, senza problemi mi disse di salire su e che sarebbe stato un piacere rivedermi. Le quasi otto ore di intercity sembrarono una vita. Nel mio scompartimento visi contratti e segnati dal sole e dal vento riposavano in smorfie scolpite dalla rudezza della vita. L'aria era impregnata di quel tanfo di miseria, cosi di tanto in tanto alzavo il culo e andavo a fare due passi lungo il corridoio. Arrivato a Milano scesi dal treno. Il cielo era già scuro. Faceva un freddo del cazzo, tirai su il bavero del haringhton e andai a prendere la metro per raggiungere casa di Dario. Arrivato nei pressi di una piazza di cui non ricordo il nome feci una chiamata dal mio cellulare, pochi istanti dopo Dario era in auto che mi invitava a salire. Ci salutammo calorosamente, arrivati a casa mi presentò dei tipi che erano suaoi amici. Tra di loro c'era anche una ragazza, monica, che sembrava ok. Lei subito s'interessò di me, si presentò e con molta naturalezza e disinvoltura iniziò a parlare, parlare e parlare. Nel frattempo Dario mi passava latte su latte di lager e battendomi la sua mano sulla spalla diceva a tutti che era felicissimo che "napoli" , il mio soprannome per lui, era finalmente tra di loro. La sera trascorse piacevolmente, Monica non mi si staccò di dosso, cosi Dario colse la palla al balzo e le disse che non avevo un posto dove stare. Senza il minimo dubbio mi disse che potevo andare da lei qualche giorno, dario ribattè la sua mano contro la mia spalla e mi fece l'occhiolino. Dopo circa mezz'ora mi ritrovai nell'auto di questa sconosciuta diretto verso casa sua. Le strade erano completamente deserte, il silenzio era interrotto solo dal rumore di qualche sirena. Faceva freddo, un freddo del cazzo. Chiesi a Monica se potevo azionare il riscaldamento dell'auto, mi disse di fare il cazzo che volevo. L'ambiente inizio a prendere calore. Una nebiolina calò sulla città. Le luci giallognole della tangenziale squarciavano quel bianco spettrale. Finalmente arivammo a casa di moni, Un enorme caseggiato che parevano essere più degli uffici che delle abitazioni. Entrammo in casa, la botta di calore quasi mi stordì. Moni mise su qualche pezzo grezzo di ska come sottofondo. Mi fece fare il giro della casa e quando le domandai se prima quell'abitazione fosse stato un ufficio lei con un sorriso sulle labbra mi disse che in principio erano degli uffici abbandonati e che successivamente vennerò occupati abusivamente e trasformati in abitazioni. Mi trovavo in un edificio industriale occupato a milano e in compagnia di una socia ok ma con qualche cortocircuito nel cervello. Mi ofrrì da bere, ci sedemmo su un divano di stoffa nera. Lei indossava una minigonna jeans con sotto una sorta di pantalone aderente nero. Si tolse le sue adidas e infilò i suoi piedi sotto il mio sedere. Non era bellissima, ma i suoi modi di fare e il suo porsi era stupendo. Trascorremmo ore e ore a parlare, era una donna dai mille interessi. Avevamo parecchie cose in comune dal cinema alla letteratura. Così mi ritrovai nel cuore della notte a confidarmi con uan perfetta sconosciuta, la cosa era cosi naturale che manco mi sorprese. Parlare con lei mi fece sentire bene, c'era feeling, ci capivamo al volo. Iniziava ad albeggiare, ero distrutto ma monica era come cocaina per il mio cervello. Decidemmo di fare qualche ora di sonno , fortunatamente era un sabato. Quando le chiesi dove potessi dormire lei mi sorrise e mi mostrò una camera da letto. Il letto era stato ricavato da un soppalco unito al pavimento da una scala a chiocciole. Era un letto a due piazze e ingenuamente pensai che quel letto era la postazione per gli ospiti. Andai al bagno mi spogliai e salì la scala per stendermi ma con mia sorpresa vidi fare le stesse cose a moni. Stavo per dire qualcosa ma le mie parole furono interrotte dalle sue labbra . I nostri corpi si unirono e mentre ero li che sentivo la sua voce vibrare per il piacere dimenticai quanto di merda mi fosse andata fino a quella notte, nel frattempo dal lettore cd partì skinheadgirl, lei arrivò ed io cercai di mantenermi per evitare di fare casini ma quando, ansimando, mi sussurrò che prendeva la pillola mi lasciai andare anche io, in un urlo liberatore...

Cap LXIII

‎sabato ‎23 ‎aprile ‎2011, ‏‎01:52:24 | brainiacVai all'articolo completo
Riprendere le brutte abitudini è sempre un piacere. Ci vuole poco a rovinare anni di "sobrietà". C'è chi è un cazzo di tossico cronico, chi non puo' fare a meno di giocarsi tutti i soldi, chi se non scopa almeno tre volte al giorno da di matto. Io, invece, ripresi il mio navigare nella melma metropolitana. Sentivo che non avevo un cazzo da perdere, non si trattava di noia o rabbia. Me ne sbattevo il cazzo di tutto. Ripresi a far brigata con gli "amici della domenica", erano più le volte che stavo sbronzo che lucido. Senza vergonga provavo a infilarmi nelle mutande della prima che mi veniva a tiro. Cercavo di partecipare a tutti i cazzo di gig a portata di mano. Insomma, un periodo in cui ero aflitto da una emorragia spirituale. Un giorno fui svegliato dal suono incessante del telefono. Regolarmente avevo la testa in merda, cosi prima di rispondere andai dritto in cucina ad aprire una latta di lager. Quando alzai il ricevitore sentì una voce familiare. Era Ale che si faceva sentire dopo un bel tot di tempo che c'eravamo incrociati. Mi domandò come me la stava passando e risposi con la più candida sincerità "da DIO", seguì una risata ma dall'altro lato la battuta non dovette sortire nessun cazzo di effetto. Le domandai del perchè avesse chiamato e senza mezzi termini mi confidò che non c'era momento in cui non ripensava al sottoscritto da dopo quel casuale incontro. Le proposi di vederci e lei, quasi come s'aspettasse quella proposta, mi rispose che in poco tempo sarebbe stata giù da me. Dopo circa un ora squillò nuovamente il telefono. Ale era giù in macchina che mi aspettava, le proposi di salire da me, le accettò senza troppi patemi. Quando aprì la porta lei mi attanaglio con un forte abbraccio che ricambiai con parecchio piacere. La invitai a sedersi e nel momento che si tolse gli occhiali da sole notai una strana macchia sgomitare col suo fondotinta per farsi vedere. Li per li non ci diedi importanza, ma poi mentre si parlava delle attuali vite, scoppiò in lacrime e sussurrava che non ce la faceva più. La strinsi forte e cercai di placare le sue lacrime mormorando che tutto andava bene. I suoi singhiozzi mi fecerò tanto male cosi le accarezzai la fronte e le domandai cosa cazzo stesse accadendo. Dopo un momento d'incertezza mi confido che il suo attuale compagno la picchiava. Restai inorridito e in silenzio per qualche secondo. La strinsi forte e le promisi che avrei risolto tutto. Le preparai una camomilla, poi rullai un paio di canne che ci fumammo insieme per rilassarci e stemperare quell'atmosfera pesante come il piombo. Quando si fecerò le sette di sera mi disse che doveva tornare a casa. Le oridnai di lasciare la porta socchiusa al suo rientro, che al resto c'avrei pensato io. Disse di lasciar stare, ma io non seguo mai i consigli degli altri. Ci salutammo, le sfiorai le labbra con la bocca, lei mi accarezzò la testa e scomparvvè inghiottita dall'ascensore. Mi affacciai al balcone e la vidi salire in auto. Mi vestì, e di corsa scesi a prendere la metro. Durante il breve traggitto abbozzai un piano, che puntualmente non avrei seguito. Dovevano essere le nove quando arrivai sotto casa di Ale. Mi sedetti sul marciapiede di fronte alle scale che portavano all'ingresso del palazzo dove abitava nella speranza di beccare il coglione e dargli la paga. Dopo circa un oretta di appostamento vidì la porta apririsi e notai lo stesso ragazzo che con fare stronzo al pub ordinù ad Ale di seguirlo al tavolo. Aspettai che la merda aprisse l'auto. Mentre lo spurgo era intento a girare la chiave inserita nello sportello mi alzai di scatto, con passo veloce mi avvicinai al coglione e mentre lo stronzo stava per dire qualcosa lasciai partire un diretto dritto su quella sua bocca di merda. Lo stronzo si accasciò sull'auto. Mi guardai attorno, la strada era vuota, i suoi lamenti erano forti, cosi decisi di mettergli una mano davanti la bocca. Con l'altro braccio gli afferrai la mano che portai dietro la sua schiena imponendo una posizione di sottomissione. Bussai ad ale e le dissi di aprire la cazzo della porta d'ingresso. Obbedì senza dire nulla. Arrivato fuori casa sua entrai con la merda che dolorante feci sedere su di una poltrona. Ale mi gridò di piantarla, che se la sarebbe scazzata da sola ma io ero li per finire l'opera. Lo sedetti su una sedia, e a muso duro gli gridai di non muoversi. Il sangue gli riempiva la bocca, a fatica riusciva a rantolare qualcosa. Era in lacrime il coglione, gli mollai un paio di ceffoni sulla nuca, non provò manco a reaggire la bestia. Lo feci alzare, lo accompagnai alla porta e gli diedi un calcio nel culo.

Cap LXII

‎giovedì ‎21 ‎aprile ‎2011, ‏‎02:29:35 | brainiacVai all'articolo completo
Con Angela non ci fù un dopo. Quando ripresi conoscenza lei era li,nuda su un lato che mi fissava con occhi sorridenti. Fuori doveva fare un freddo cane ma il riscaldamento messo a manetta aveva trasformato quella camera in una fottutissima sauna. Avrei voluto aprire gli occhi senza trovarmi davanti il suo viso. Le feci un occhiolino e come un pitone che ha catturato la sua preda scivolai via fuori dal letto. Tirai via il preservativo che ancora pensolava, lo avvolsi in della carta e mi accesi una sigaretta. Offri anche a lei una paglia che accettò di gusto. Le passai la siga e le tenni l'accendino acceso in modo che potesse iniziare anche lei a fumare. Ora che la vedevo li nel mio letto con il trucco sfatto e i capelli alla cazzo di cane, mi domandai perchè cazzo era ancora li. La presi per le lunghe e le domandai cosa avesse da fare quel giorno. Non sentì la risposta che avrei voluto. Quel niente che usci dalle sue labbra mi seppe tanto di "stare tutto il giorno con te". Mollai un cazzo e mi diressi sotto la doccia. Quando uscì fuori lei era li che mi aspettava. Aveva l'espressione di quelle che vogliono un'altra ripasssata ma personalmente non ero nelle condizioni ideali. Avevo la testa in boia per colpa della sbronza e del calo psicofisico dovuto al fine ciclo di bianca. Le feci capire che quel giorno avevo da fare, così si fece un doccia e dopo circa due ore la ebbi fuori dalle palle. Prima di lasciarmi mi domandò se l'avessi chiamata, le sussurrai un vedremo che sapeva tanto di no. mentre ero svaccato sul divano a divorare pop corn e a guardare un film una scintilla nel cervello mi fece scattare in piedi. Mi vestì presi le chiavi dell'auto di mia madre e sparato andai nel pub dove lavorai per un tempo. Erano anni che mancavo ma nulla era cambiato, fortunatamente. Era un venerdi sera tranquillo. Mi misi al banco seduto a farmi le mie pinte di harp fredda una dietro l'altra e a scambiare due chiacchiere con giovanni, il proprietario che mi informò anche del fatto che Viviana aveva smesso di lavorare. Mentre ero li che gliela menavo su come l'avevo passata di merda a Malta notai all'ingresso un volto familiare. Riconobbi Ale, provai a nascondermi dietro la pinta smezzata di lager ma in un battito di ciglia lei era già al mio fianco, sorpresa ma in maniera piacevole. Notai che era sempre un bel pezzo di figa. Ci salutammo cordialmente e così la invitai ad un giro. Lei accettò di buon grado e iniziammo a parlare delle solite cose. Da quando ci lasciammo sembrava essere trascorsa una vita e più. Le raccontai di Barcellona, della colombia di Malta, ma senza entrare troppo nei particolari, ed ancora una volta vidi nei suoi occhi quella totale sudditanza nei miei confronti. Trascorse un bel tot di tempo e ci si avvicinò un tipo che le chiese se ne aveva ancora per molto. Lo stronzo mi guardò dall'alto verso il basso, al che gli sbiascicai qualcosa che suonava del tipo "stronzo di un damerino levati dal cazzo". Ale mi guardo severa ma vogliosa, io le strinsi l'occhio e le lasciai il numero di casa. Ci salutammo, lei si sedette al tavolo dei suoi amici ed io continuai a sbronzarmi parlando con il capo. Ogni tanto ci scambiavamo degli sguardi e capì che avevo una gran voglia di fotterla...

Cap LXI

‎mercoledì ‎20 ‎aprile ‎2011, ‏‎02:38:57 | brainiacVai all'articolo completo
Erano trascorse settimane dall'ultimo saluto a mia madre, ma il tempo non era ancora riuscito a mitigare il dolore. Trascorrevo le mie giornate davanti la tv a bere birra. L'unica attività sociale che mantenevo era quella di andare a buttare la spazzatura o a comprare qualcosa da sbattere in frigo nel negozio "di tutta la vita". Un giorno il citofono suonò e per mia sorpresa dall'altro lato c'era davide che aveva saputo il tutto. Mi convinse a scendere per fare due passi. Misi su una felpa ed anche se l'inverno era ormai quasi alle porte il mio corpo non provava freddo. Quando rividi Davide capì che dovevo avere un aspetto di merda. Il suo primo gesto fu quello di darmi una pacca sulla spalla. Erano circa due anni che non lo vedevo nè lo sentivo, ma in quei pochi istanti i due anni sembravano solo due giorni. Montammò in auto. Una volta su mi domandò come andava, risposi che andava di merda e che restare sobrio mi faceva troppo male. Martoriavo il mio fegato e il mio cervello con grosse quantita di alcolici. In quei momenti erano l'unica cura parziale al mio stato d'animo. Ci fermammo in un bar che dava sul mare. Una volta seduto mi resi conto che non avevo con me manco un centesimo. Avevo dimenticato tutto in casa. Davide mi disse di non preoccuparmi. Con l'arrivo delle prime birre le lingue cominciarono a sciogliersi. Parlammo di quei due anni trascorsi. Con piacere ascoltai come il negozio aveva ingranato bene, e con lui tutto un giro della nostra subcultura. Davide era entusiasta e la sua positività mi fece distrarre temporaneamente da quella tempesta che attanagliava il mio cervello. Mi invitò per la stessa sera ad un concerto che si sarebbe tenuto in città e di cui lui era uno degli organizzatori. Non avendo un cazzo da fare accettai senza oppore resistenza e dopo la quarta bionda decidemmo di levarci dal cazzo. Mi riaccompagnò a casa e restammo che da li ad un'ora sarebbe ripassato a prendermi in compagnia di alcune passere. Ebbi giusto il tempo di farmi una doccia e un pisciata che il citofono squillò. Davide era già sotto casa che m'aspettava. Infilai le mie adiadas e scesi. In auto oltre a lui c'erano due ragazze che da poco avevano passato la maggiore età. Mi presentai, ma mi fecerò presente che già mi conoscevano dato che davide aveva già parlato loro del sottoscritto. Con un sorriso tirato commentai che spesso la fama precede l'arrivo e mi svaccai comodamente sul retro dell'auto di davide. Le due tipe non c'erano male. Scambiai uno sguardo d'intesa con davide dallo specchietto retrovisore. Lui mi sorrise, mise su un cd e partì a razzo. Durante il traggitto entrai in confidenza con le due ragazzine, angela e silvia. Entrambe al primo anno di università erano, dal mio punto di vista, alla ricerca della "trasgressione dal vivere normale". Le tipiche ragazzine che oggi sventolano rune e cazzi, ma domani si ritroveranno fresche laureate in colletto bianco dietro una scrivania del potere o semi-potere a sputare su quelli come me che prima guardavano come eroi. Una volta dentro al locale notai che c'era un discreto numero di cazzoni. Molti ragazzini appena iniziati e all'oscuro di tutto. I tipici, anche loro, che oggi sono "ribelli oi" e domani colletti bianchi staccanovisti. Erano tutti belli appena rasati, con i loro bomber nuovi con le etichette appena tolte e gli anfibi lucidi da magazzino. La serata iniziò e Davide era impegnato con l'organizzazione dell'evento. Appena iniziata la musica mi trasferì vicino al bancone, dove presi posto su di un fottuto sgabello e iniziai a prendere da bere. Avendo le due tipe sempre attaccate come piattole le invitai ai primi giri. Erano tutti eletrizzati, meno il sottoscritto, che guardava tutto come se fosse stato un film già visto e rivisto. Le band si susseguivano e con loro le birre che andavano a interrarsi nel mio fegato. Ero cosciente di essere sbronzo ed ero consapevole del fatto che l'alcohol iniziava a farmi vedere tutto meno nero. Iniziai a limonare con una delle due tipe e non sapevo neanche il perchè. Davide passava di tanto in tanto per domandarmi se tutto era ok e per darmi una pacca sulla spalla. Si era quasi alla fine, nel cesso ribeccai davide. Lo chiamai in disparte e gli chiesi se poteva procurarmi della roba. Ero in merda e avevo bisogno di qualcosa che mi riportasse su di giri. Dopo mezz'ora dalla mia richiesta, mentre ero li abbracciato con sta tipa a buttar giù sempre più birra, davide passò, mi diede un bacio sulla guancia e mi prese la mano. Chiusi il pugno e notai qualcosa dentro. A fatica raggiunsi il cesso. Serrai la porta e stesì una riga. Arrotolai un biglietto da cinque e dopo anni di sobrieta' chimica riprovai quella sensazione di potere che solo biancaneve è capace di darti. Rinato ritornai al mio posto che vidi occupato da un coglioncello che faceva lo sfigato con la tipa che mi stavo ripassando. Il cervello mi diede una scossa, sentivo i battiti del mio cuore accompagnare ogni mio passo. Arrivai davanti al coglione, lo spinsì giù dallo sgabello e gli ringhiai di levarsi dai coglioni. Lo stronzo reaggì con uno sguardo che non mi piacque manco per il cazzo. L'adrenalina già aveva fatto il botto. Mi scaraventail sul coglione che pietrificato non accennò manco a difendersi. Gli mollaì una testata e un cazzotto allo stomaco. Lo stronzo già era a terra. Nel frattempo un suo socio mi si buttò contro. Lo vidi arrivare con largo anticipo dato che lui era sbronzo mentre io oltre che sbronzo ero pure dopato. Presi lo sgabello sul quale ero seduto e come una mazza da baseball colpi lo sfigato dritto allo stomaco. Anche lui cadde a terra come una merda. Ero li per finire l'opera con una serie di calci quando davide mi tirò via e tenendomi stretto mi sussurrò di calmarmi. Nel frattempo li attorno si erano agraggati una serie di cazzoni e fighe a guardare lo spettacolo. Davide chiamo le due tipe e mi disse che si era fatta ora di andare via. Mentre uscivo gridavo a quelle mezze seghe di cambiare scena, che quella vita li non è per tutti i segaioli. Davide mi chiese di calmarmi e di entrare in auto. Una volta dentro lo sentì ridere, le due tipe erano li pietrificate e lui era li che se la rideva, cosi mi scappò da ridere anche a me e mentre andavamo verso casa si mise a raccontare di quella volta che volevano farci il culo dentro al negozio. Ci fermammo per strada a mangiare un panino. Davide ed io continuavamo a ricordare i vecchi tempi mentre le due fighe erano li ad ascoltare avidamente ogni nostra parola accompagnata da movimenti teatrali. Arrivato sotto casa chiesi ad angela di salire con me. Battetti il cinque a davide e mentre filava via mi mostrò il dito medio e strombazzò il clacson. Neanche il tempo di uscire dall'ascensore che già avevo tirato via le mutande alla tipa. Quella notte scopai con tutta la rabbia che avevo in corpo. Riversai nel sesso tutto il mio dolore, frustrazione e ira. Lei la vedevo li, sottomessa, in balia del mio furore. Le prime luci del giorno fecero capolino in camera. Sudato e sfinito mi accasciai in una pozza di sudore, lei, angela, cadde esausta nel sonno immediatamente. Vidi il preservativo ancora li macchiato di sangue, chiusi gli occhi e mi addormentai profondamente.

Cap LX

‎lunedì ‎18 ‎aprile ‎2011, ‏‎02:26:11 | brainiacVai all'articolo completo
Fù proprio una brutta botta. Mi sentivo maledettamente in colpa. Tutt'oggi il rimorso mi tormenta. Mia sorella era distrutta dal dolore ed io avevo perso completamente l'anima. Sistemata la burocrazia aprì un conto a mia sorella sul quale versai tutto quello che aveva nostra madre. Ci aggiunsi qualcosa di mio per cercare di lenire quel orrendo senzo di colpa, ma non servì a molto. Provaì a darle forza ma non ne ero capace. Trascorsi que giorni come intrappolato in un dormiveglia caotico e incerto. Non ero capace di piangere, non ero capace di ricordare, non ero capace di nulla. Il dolore m'aveva svuotato e la vita esterna mi si presentava solo come un rumore di fondo, un brusio basso e senza senso. Per una settimana circa non misi il naso fuori di casa. Di giorno restavo all'oscuro delle persiane calate e di notte lasciavo che la luce lunare entrasse in camera. Il tempo sembrava essersi fermato. Un giorno il citofono squillo', alzai il ricevitore e dall'altro lato c'era quella cosa chiamata "padre biologico". Aprì senza rispondere e quando sentì il campanello della porta suonare, di mala voglia, aprì quella merdosa porta blindata. Era invecchiato abbastanza, quasi non lo riconoscevo. Mi domandò come andava e la risposta fu solo uno scrollo di spalle. Chiese se avessi avuto bisogno di qualcosa ma risposi che non avevo bisogno di nulla e tantomeno della sua commiserazione. Un po' alterato mi disse di calmarmi al chè, per rompergli il cazzo, gli domandai se quella troia di rumena per la quale aveva lasciato la nostra famiglia era giù in macchina ad aspettarlo. Mi venne incontro a muso duro, alzò il braccio ma ora il più forte ero io. Povero stronzo di un vecchio. Gli bloccai la mano che alzò a mo' di pugno e con l'altra libera gli presi il collo e cominciai a stringere fino a sentire il suo sangue pompare contro le mia dita. Lo spinsi contro la porta e con voce bassa gli ringhiai di non fare il segaiolo, perchè io da buon non cristiano il comandamento"onora il padre"non lo avrei mai rispettato. Sentì la porta della camera di mia sorella apririsi. Il trambusto l'aveva svegliata. Salutò mio padre e scoppiò il lacrime. Lui l'abbracciò e forse fù l'unico gesto da padre che ebbe in 28 anni che lo conoscevo. Senza tirarla per le lunghe porpose a mia sorella di trasferirsi da lui. Lei si prese del tempo per pensarci su. Il tutto finì li e mentre il vecchio scompariva da dietro la porta, gli ricordai di salutarmi quella troia della sua compagna. Sbiscicò qualche insulto che il rumore della porta al chiudersi coprì completamente. In seguito parlaì con mia sorella. Le dissi che poteva scegliere quello che voleva. Vivere con nostro padre o restare li. Decise per la prima opzione ed io accettai senza proferire parola. Il giorno dopo l'aiutai a fare i bagali e a scenderli giù in strada dove c'era quel coglione ad aspettarla. La salutai stringendola forte e tra le su lacrime le promisi che non l'avrei abbandonata. Una volta solo mi accorsi che delle goccie calde scivolavano lungo le mie guance. Presi un cartone di birre dal frigo. Mi sedetti fuori al balcone e con lo sguardo sulla mia città bevvi fino a cadere per terra esausto.

Cap LIX

‎domenica ‎17 ‎aprile ‎2011, ‏‎02:13:50 | brainiacVai all'articolo completo
L'estate era scivolata via... Mi ritrovai al porto di La valletta un giovedi di inizio ottobre. Comprai un biglietto di sola andata per catania. L'imbarco fu rapido. Una volta che l'imbarcazione prese il largo vidi scomparire quel piccolo scoglio in pochi istanti e con lui John, Cat, Gloria e quei fottutissimi meticci di merda che m'avevano fatto fare cinque luridi giorni di fresco. In poche ore rimisi piede in italia. Sbarcai a catania verso le sei del pomeriggio. Dal porto chiesi come cazzo arrivare alla fermata degli autobus. Entrai in un bar ristorante. Dopo aver comprato qualcosa da mangiare mi feci spiegare come raggiungere la stazione dei bus. Con il sacco a tracollo mi misi subito in marcia e mezz'ora dopo mi ritrovai a fare l'ennesimo biglietto. Tornavo a casa, anche se poi non la sentivo tanto casa mia. Il viaggio in autobus durò un'eternità. Il pulman partì alle ore ventuno. Non riuscivo a prender sonno e non avendo nessun tipo di alcolico le ore mi si dilatarono un casino. Verso le dodici mi ritrovai a napoli. Scesi a piazza Garibaldi e mi incamminai verso la metro. Non ero più abituato al caotico tam tam metropolitano. Quei sei mesi trascorsi in isolamento su quel cazzo di scoglio m'avevano un po' arruginito i movimenti. Non vedevo mia madre da quasi due anni e non la sentivo da parecchi mesi. Quando arrivai sotto casa chiamai tramite citofono. Non ebbi nessuna risposta. Pensai che forse era uscita a fare delle compre o giù di li. Al piccolo trotto mi recai presso dei giardini pubblici dove c'erano delle panche abitualmente frequentate dai ragazzi del quartiere. Le ore volarono via rapidamente e quando ritornai per citofonare incontrai sulla soglia di casa la vicina. Ci salutammo e mi domandò come stesse mia madre. Il cuore mi si bloccò. Le dissi che ero appena tornato da Malta e che non sapevo molto su mia madre. Vidi come la signora si portava la mano alla bocca, il suo viso contratto in una smorfia di sorpresa e tristezza mi diede una fottutissima stretta al cuore di quelle che non ti fanno più respiare. Gridai di dirmi che cazzo sapesse di mia madre e con voce spezzata e stentata mi comunicò che circa due settimane fa l'avevano ricoverata d'ugenza in ospedale per dei problemi ad un pomone. Senti le ginocchia vacillare, caddi a terra sbattendo le rotule contro le piastrelle fredde delle scale. La signora mi aiutò ad alzarmi e m'invitò ad entrare in casa. Ringhiai che non avevo tempo che dovevo sapere dov'era mia madre. Mi disse dove era stata ricoverata e come un pugile appena rialzatosi da un k.o., barcollando, riscesi nelle viscere di napoli per risalire su quella fottuta metro.

Cap LVIII

‎mercoledì ‎13 ‎aprile ‎2011, ‏‎06:31:52 | brainiacVai all'articolo completo
Ero in debito con john. Dovevo molto in termini morali a quel gran figlio di buona donna. Quando ripresi conoscenza andai al pub. La porta era aperta, cosi come tutte le finestre. John era li che certosinamente puliva e smontava tutto quello che c'era di rotto. Entrai senza far rumore e iniziai anche io a togliere i vetri appesi delle finestre in pezzi. Quando si accorse che ero li mi salutò con animosità. Mi disse di lasciar stare, che non avrebbe avuto come pagarmi. Lo zitti malamente e risposi che gli dovevo un bel po' di grano dopo tutto l'aiuto che mi aveva dato. Concordammo sul fatto che nessuno doveva dire grazie all'altro e con il sorriso sulle labbra ci mettemmo in moto per riparare e cambiare tutto quello che giaceva in pezzi. John ed io entrammo in sintonia, mentre si lavorava si parlava e ci si raccontava. Venni così a sapere che si trasferì su quello scoglio dimenticato da dio nel lontano 87, dopo aver scontato una pena di quasi cinque anni per favoreggiamento di alcuni membri del UVF. -dopo circa una settimana il locale sembrava essere tornato alla normalità. Luglio era inoltrato, malta era piena come un uovo e non tardammo parecchio a rivedere il pub pieno zeppo di studenti provenienti da tutta europa con l'illusione tipica della gioventù. Non avevo ancora trentanni ma già mi sentivo consumato come un ceppo sfatto nel camino. Avevo parecchi soldi da parte, non ho mai dato valore al denaro. Una mattina mi svegliai presto, gli occhi faticavano ad aprirsi. Mi buttai fuori dalle lenzuola umide di sudore con la forza. Mi vestì ed entrai nella prima banca che incrociai. Prelevai una bella somma allo sportello, l'equivalente di tremila euro. Fermai un taxi e mi feci portare al poligono industriale di quel cazzo di scoglio. Poco fuori La valletta c'era come una zona franca piena zeppa di magazzini. Pagai il tassista ed entrai in un negozio di apparecchiature per la ristorazione e simili. Acquistai un nuovo set per spillare birra, qualche frigo, una quarantina di pinte e una lavastoviglie. Sapevo che john non avrebbe mai accettato dei soldi, quindi decisi di attuare in questo modo. Misi come destinatario della merce il suo locale, pagai e tornai a paceville con un altro taxi. Dissi al tassista di portarmi all'ingresso del HB Sunshine, la pensione di Cat. Feci fermare il veicolo a pochi metri del hotel. Pagai con una banconota da 10 sterline e dissi allo stronzo di tenere il resto. Volevo vedermi con lei, avevo voglia di stare con una donna e nella mia testa prese forma la figura di Cat. Prima d'entrare mi fermai da un fioraio, era molto tempo che non compravo qualcosa per una ragazza. Quando la commessa mi chiese cosa desiderassi mi ritrovai muto ed impacciato. Il mio sguardo cadde su delle orchidee bianche dalle venature rosa. Domandai se facevano consegne a domicilio, la signora sorridendo mi disse che non c'erano problemi. Cosi pagai e scrissi l'indirizzo del mio appartamento con su il numero di telefono del pub dove lavoravo. Dopo pochi attimi il commesso del negozio uscì con le orchidee, lo vidi entrare nella reception nello stesso tempo girai in direzione opposta e mi incamminai verso casa. Le strade assolate e caldissime erano piene di ragazzi, l'ambiente era eletrizzante e forse fù proprio quella atmosfera a dettare quel mio gesto inconsulto verso cat. Sudando ad ogni passo mi domandai se avevo solo voglia di scoparla, fino a qualche ora prima lei non c'era nei miei pensieri, ed era tempo che nè la pensavo nè la vedevo. Forse avevo fatto una cazzata ad inviarle quei fiori con il numero del pub, ma ormai il dado era tratto e non mi restava che aspettare. Mi sedetti su una panchina sotto delle palme fronte mare. A pochi passi c'era un chiosco. Chiamai il ragazzo e mi feci portare una birra locale ghiacciata. Stetti li seduto a fissare l'orizonte, e latta dopo latta le ore scivolavano via e con esso i miei poveri pensieri. Il mio tempo a malta stava per scadere.Qui avevo solo John ,un socio ok, Cat era solo un'illusione. Avevo voglia di ritornare a barcelona di risentire yurani...

Cap LVI

‎lunedì ‎11 ‎aprile ‎2011, ‏‎13:36:31 | brainiacVai all'articolo completo
Gloria si presentò alle ore nove del mattino in jeans e camicia bianca. Pelle olivastra, capelli nero corvino, fisico esile ma tonico, anche lei era una nativa di malta e tutte le mie speranza cadderò solo nel vederla. Iniziavo a odiare quella gente, li odiavo tutti. Meticci di merda, nè europei nè arabi. L'effetto esotico era ormai lontano miglia e miglia. Ci sedemmo nella solita stanza e con molta discrezione chiese al maiale di lasciarci soli. Quando fummo a tu per tu si presentò in maniera fredda e professionale. Mi fece una serie di domande alle quali risposi senza la minima emozione, poi mi chiese di raccontarle cosa avvenne quella notte, cosi per la ennesima volta mi ritrovai a narrare quelle fottutissime ore di caos che mi avevano trascinato in quella situazione kafkiana. Mentre raccontavo gli avvenimenti lei prendeva appunti ed annuiva in quei passaggi che riteneva chiave. Una volta finito mi rassicurò che tutto sarebbe andato bene e che la giustizia maltese non era cosi severa come mi si era presentata. Feci presente che erano già due notti che mi trovavo in quel cagatoio senza contare quella trascorsa in ospedale incosciente. Nuovamente mi rassicurò che tutto sarebbe finito nel giro di qualche giorno e la sua voce dolce ma decisa mi convinse strappandomi il primo sorriso dopo tre giorni. Prima che voltasse le spalle per scomparire le domandai come agire per pagare il suo compenso, mi rispose di non preoccuparmi, che john già aveva provveduto a darle un anticipo per l'incarico preso. Metre usciva notai che scambiò due chiacchiere con un agente il quale annui un paio di volte. Lo stesso stronzo entrò per riportarmi nel mio loculo ma questa volta fui messo in una cella molto più grande e meglio messa con due letti in acciao inossidabile, un bagno con lavandino e perfino una fottutissima tv del cazzo. Sulla stessa parete dove erano fissati i letti c'era una finestra che dava sul mare, a differenza di prima l'aria che respiravo mi sembrava più pulita e meno rovente. Dopo circa due ore la porta della cella si aprì ed entrò quello che sarebbe stato il mio coinquilino. Era un cazzo di maltese, basso e snello con il volto olivastro scavato dall'acne e anche dall'ero. Appena dentro, memore della cultura televisiva americana degli anni 90, gli ringhiai di starmi lontano e che se avesse cagato il cazzo gli avrei dato una buona paga. Il mio aspetto trasandato, ma comunque arricchito dai tattoo e dalla testa rasata ebbero l'effetto desiderato e il povero stronzo si stese sul letto che gli avevo indicato e si girò con il volto verso la parete senza dire manco una parola. Verso le dodici passarono attraverso una fessura due contenitori di pastica siggillati con dentro un po' di merda da buttare giù. Lo stronzo sul letto ronfava cosi allungai un piede per svegliarlo. Si girò mestamente e senza dirgli una cazzo di parola gli indicai il suo vassoio. Le ore sembravano non passare mai, chiesi a una delle guardie se poteva rimediarmi un cazzo di libro o qualcosa con cui passare il tempo, ma il coglione infastidito gridò che quella non era una fottutta ludoteca e che lui non era uno sfigatissimo animatore. Dopo dieci minuti lo stesso autore di quella sparata di cazzo busso alla feritoia da dove passavano il rancio e mi passò un libro del cazzo sul modellismo di antiche imbarcazioni. Ero veramente stanco di stare in quel posto e cazzo aspettavo solo di telare da quel lurido buco di fogna. Verso le sette ci passarono un altro vassoio, la cena faceva ancora più cagare del pranzo. La notte si avvicinava e un altro giorno in quel buco di merda stava finalmente finendo. Avere uno spurgo in cella non mi lasciava tranquillo, cosi tardai un bel tot prima di addormentarmi. Quella notte sognai Gloria che mi apriva direttamente la porta della cella e che mi invitava ad uscire da quel cesso per trascorrere una notte di sesso con lei. Mentre mi godevo quel sogno e sentivo la patta dei pantaloni farsi sempre più piccola mi svegliai di soprassalto e mi ritrovai la faccia di quella merda a pochi centimentri con una sua mano ficcata dentro una tasca del pantalone. La prima reazione fu quella di mollargli un calcio dritto alla tempia. L'impatto del collo del piede nudo con la sua tempia fu violento, tanto da farmi indolensire tutto il piede. La merda caddè a terra come una pera marcia. Scesi dal letto e capendo che non si era sentito nulla con un certo ribrezzo solevai lo stronzo e lo stesi sulla sua branda. Vedendolo li inerme pensai d'averlo ucciso, ma poi facendo più attenzione vedevo il suo corpo muoversi . Per dormire sonni tranquilli presi due asciugamani e legai lo stronzo per le braccia ai supporti del letto . Potetti cosi chiudere gli occhi aspettando che un'altra fottutissima notte pasasse in fretta.

Cap LVII

‎mercoledì ‎6 ‎aprile ‎2011, ‏‎01:38:31 | brainiacVai all'articolo completo
Trascorsi cinque notti in quel buco di merda. Cinque notti che sembrarono essere cinque mesi. In posti del genere il tempo si ferma e con lui anche la tua fottutissima testa. Il giorno del processo Gloria sfoggiava un tagliato classico ed elegante, io avevo solo una maglietta e un paio di jeans con adidas che john m'aveva procurato in qualche modo. Il giudice non ascoltò la parte degli "offesi" in qunato ritenuti i soli resposabili dell'accaduto, io fui scagionato da tutte le accuse per legittima difesa ma fui ammonito a non essere più coinvolto in fatti del genere. Messa agli atti la decisione passai nell'ufficio di quello che per cinque giorni fù il mio piccolo albergo, dove mi furono restituiti i miei beni personali e dove dovetti firmare qualche carta. Fuori mi aspettavano Gloria e John sorridenti e solari. Ringraziai Gloria stringendola forte e poi fu il turno di john. Quel giorno mi sbronzai di brutto. Invitai John e Gloria a prendere qualcosa da bere, e pinta dopo pinta le ore passarono e con esse la lucidità. Ricordo solo che ero contento, felice di assaporare dopo cinque giorni di clausura la libertà.

Cap LV

‎lunedì ‎4 ‎aprile ‎2011, ‏‎01:34:40 | brainiacVai all'articolo completo
Il fatto era fottutamente pesante. Eravamo in una camera minuscola, il condizionatore era fuori uso e un ventilatore color bianco ceramica ad ogni soffio faceva sollevare gli angoli delle carte sulla scrivania del porco in divisa. Sudavo, sentivo la maglietta di cotone attaccarsi sulla pelle. Le domande dei pulotti erano strane. Non capivo cazzo ci facessi in quel posto di merda, io che avevo resistito alla carica di quelle bestie e che fortunatamente ero ancora vivo. Spiegai i fatti più di una volta cercando di dire sempre lo stretto necessario e nello stesso modo. Mi comunicarono che sarei stato trattenuto fino a nuove disposizioni del cazzo del giudice. Sudato e con la testa in merda urlaì che era una presa per il culo. Mi alzai di scatto ma fui subito stordito da una scossa di taser che mi paralizzò al suolo. Fui preso da terra ammanettato con delle fascette di plastica nera e messo in una cella minuscola dove oltre ad un urinatorio c'era una panca in cemento. Avevo i muscoli tutti indolenziti, ero stanco, sudato e sporco e mi ritrovavo in una fetida cella maltese accusato sa solo il cazzo di che. La notte trascorse molto lentamente. Iniziai a sentire un lieve sollievo verso le cinque del mattino, quando quella fottuta aria su quello scoglio cagato da dio inizava a raffreddare. Verso le sette mi fu portato del pane confezionato con della marmellata in un vasetto di palstica preconfezionato. Da bere in un bicchiere di catra stile mcdonald mi fu dato un caffè lungo. Chiesi al pulotto un coltello di plastica per poter stendere la marmellata sul pane, ma lo stronzo mi urlò di farlo con le mani. Presi il cubetto di plastica e lo tirai contro il muro per la stizza. Verso le nove un agente mi disse che avevo visite, mi portarono in una saletta dove entravano a stento due sedie con un tavolo. Seduto di fronte a me c'era john, guardarlo fu un fottutissimo sollievo, quando lo vidi corsi per abbracciarlo, ma immediatamente fui tirato giù dal pulotto di sorveglianza, persi l'equilibrio e caddi sbattendo la spalla contro il tavolo, john si chinò per rialzarmi ma fu velocemente spinto lontano da un pulotto che mi prese per un braccio e con stizza e rabbia mi tirò su. Ci sedemmo e john mi spiegò che ero nei cazzo di guai. Infatti quella notte procurai diverse ferite a diverse persone, sia ferite da taglio con il rompighiaccio che ustioni dovute ai razzi sparati contro quelle merde.Non ricordavo molto, ma anche lui sapeva benissimo che era stata legittima difesa. Mi promise di pagare la cauzione ma che aveva bisogno di tempo nel frattempo mi passò un bigliettino con su un numero e mi disse che era di un avvocato amico suo. Dopo una stretta di mano e una pacca sulla spalla lovidi uscire fuori, io fui riportato in cella dove chiesi se potevo fare qualche chiamata. Il pulotto che mi accompagnava non mi rispose, evitai di ripetere la domanda. Dopo qulche ora e qualche grido fui portato nella sala telefoni dove chiamai la persona indicatami da john. Parlai con una donna, era lei l'avvocato. PRendemmo appuntamento per l'indomani e nel mio animo pregavo solo che tutto finisse in un battito di ciglie.

Cap LIV

‎lunedì ‎4 ‎aprile ‎2011, ‏‎01:13:12 | brainiacVai all'articolo completo
"porca puttana", "porca puttana", la frase bombardava il mio cervello incoscente. Aperti gli occhi mi ritrovai con una camicia di cotone bianca e dei pantaloni verde. Mi guardai intorno stordito e al mio lato un altro letto con un coglione semicosciente che fissava il vuoto. Entrò una infermiera dai capelli neri, bassa e tracagnotta, le domandai dove cazzo fossi e lei senza manco girarsi in un inglese dall'accento arabo sbiascico "Ospedale". Grazie il cazzo che ero in un fottuto ospedale. Iniziai a sudare, non capivo, mi ero addormentato tra le braccia del mio socio in una nebbia bianca tossica e mi risvegliavo solo e vestito da coglione in un ospedale. I conti non mi tornavano.Dopo qualche istante entrò quello che pareva essere un dottore. Si piantò a pie di letto e con in mano una bic segnava chissà quale cazzo di visto. Domandò come mi sentissi, e cazzo, risposi a muso duro che ero mezzo rincoglionito e che il fatto di avere un vuoto di memoria mi riempiva ancora di più il fegato di stizza. Mi invitò a calmarmi e con voce pacata e noiosa iniziò ad elencarmi una serie di stronzate. Avevo raggiunto il limite della tolleranza. Mentre lo stronzo recitava il suo rosario mi alzai di scatto e urlai dove cazzo fossero i miei vestiti. Mentre ero li che mi sbattevo come un cefalo preso all'amo sentì come un pizzicore dietro la spalla. Andai per girarmi e vidi il coglione del dottore con una siringa in mano sorridente. Le forze iniziarono a venire meno, la testa girava, le ginocchia le sentivo molli come mousse al cacao. Richiusi gli occhi e quando li riaprì la stanza era illuminata dal neon e non più dal sole. Ai piedi del letto c'erano due agenti di polizia maltese. Uno di loro mi domandò se parlassi inglese, annui con la testa e cosi i due mi invitarono a vestirmi e a seguirli. Feci come mi dissero e dopo aver firmato un paio di fottute carte del medico mi ritrovai nell'anricamera della polizia locale che voleva avere informazioni sul rissone con quei bastardi...

LXIII

‎martedì ‎29 ‎marzo ‎2011, ‏‎21:21:18 | brainiacVai all'articolo completo
La stagione turistica era alle porte, le scuole di lingua inglese iniziavano a riempirsi di ragazzi e ragazze come alveari d'api in primavera. Le strade roventi la notte si riempivano di gente. Il pub era sempre pieno. John dovette assumere anche un'altra persona per il troppo lavoro che c'era. Mi piaceva quel posto, john poi era un socio ok. Con lui le ore trascorrevano volando e farmi qualche extra era piacevole. John si era ritrovato a malta dopo aver scontato una pena in irlanda del nord. Non mi ha mai raccontato cosa combinò e mai glielo chiesi. Arrivato a malta mise quei pochi soldi che aveva da parte in questo buissness e dopo anni la vita gli riiniziava a sorridere. Ongi notte dopo il lavoro ci si sedeva fuori in strada e chiacchieravamo bevendo birra e comprando fish and chips o kebab. Si riusciva a mangiare solo di notte, e a fatica, dato che il calore diurno era sfiancante. Cat la rividi sporadicamente, avendo fittato un mini appartamento le occasioni per vederci erano dimezzate. Non scopammo più, ma capitava ogni tanto di andarci a fare un caffè assieme e aggiornarci sulle rispettive vite, tutto sommato noiose. Una notte, salutato john, decisi di perdermi nella movida notturna di paceville. Le dicoteche erano stracolme di ragazzi e per quei vicoli non era un problema socializzare. Quella stessa sera conobbi jaqueline, una ragazza parigina di colore. Era li tutta sola in quella marea di corpi quasi intimidita, mi avvicinai e la invitai a prendere qualcosa da bere. Era molto sulle sue, ma poi parlando si lasciò andare e risultò essere anche simpatica oltre che bella. Trascorsi con lei tutta la notte aspettando il sorgere del sole seduti su una panchina di un piccolo porto. Quando le prime barche di pescatori rientravano dopo una nottata in mare la invitai a venire da me. Lei accettò e una volta soli tra le quattro mura ci baciammo fino a cadere sfiniti in un profondo sonno. Ricordaì il piacere di stringere tra le braccia una donna e di sentirla dormire sicura. La strinsi forte anche se non la conoscevo per un cazzo. Ci svegliammo verso le due, lei in ansia mi spiegò che era in ritardo per la classe d'inglese, le preparai un caffè, ci baciammo e la vidi uscire dalla porta con la falsa promessa che ci saremmo rivisti. Aspettai le sei per andare a lavoro, quando arrivai john era già bello sbronzo. Gli diedi una mano ad aprire le imposte e gli consigliai di sdraiarsi nel retro per riprendersi. Seguì il mio consiglio e si sedette su una sdraio tra i barili dismessi mezzi arruginiti e cartelline sudice contenenti fatture e documenti. Arrivò anche Andrea, la ragazza che ci dava una mano. Le prime ore trascorsero nella routine.Dovevano essere quasi le ventitre quando il caos ci travolse come un'onda impazzita. Una trentina di maltesi sbronzi e su di giri chimici irrupperò nel locale tirando le sedie e i tavolini da per tutto. Urlai ad andrea di uscire dal retro e iniziai a chiamare john a squarciagola. Dopo qualche secondo la sua ombra comparve dal retro, barcollava, era tutto sudato e non aveva la faccia di uno che se la stesse passando bene e quando vide quel casino nel suo piccolo mondo il cuore dovette dargli una botta di quelle colossali visto che il solito pallore del suo viso scomparve per lasciare posto ad un semaforo rosso. Gridò agli stronzi di levarsi dal cazzo, ma in tutta risposta ebbe un cartone in pieno volto. L'odio che gli indigeni provavano per i vecchi colonizzatori era presente in ogni angolo di quel fottuto scoglio. Chiesi a john se stava ok, il suo cenno del capo mi tranquillizzò, ci preparammo a riceverle di santa ragione. Sentì come tre o quattro paia di braccia cercavano di tirarmi fuori da dietro al banco. Afferrai il rompi ghiaccio e iniziai a tirare fendenti alla cieca. Il punteruolo affondò un paio di volte nella carne di quei bastardi e i loro guaiti da cani bastardi erano gioia per le mie orecchie. Uscimmo dal bancone e ci mettemmo spalla contro spalla a combattere contro quella marea di olivastri infoiati. Fui colpito più volte, sentivo il sangue scorrere lentamente sul mio volto. Il rompighiaccio mi cadde, lo colpi con un calcio per evitare che fosse preso da uno di loro. John reisteva alla grande, brandiva uno sgabello come una mazza medievale e rispondeva colpo su colpo. Personalmente sentivo le forze abbandonarmi e i colpi ricevuti iniziavano a farsi sentire. Faticavo a respirare e iniziaì solo a difendermi . Non ero più capace di reagire, ero rassegnato alla fine. Caddi sulle ginocchia. John si mise davanti al mio corpo orami esausto e dolorante abbozzando un' ultimo tentativo di difesa. Il tempo si era come fermato e per la prima volta mi domandavo perchè la polizia tardasse cosi tanto a farsi viva. Eravamo oramai alla fine. Il locale era devastato. Bicchieri e bottiglie disintegrati sul suolo, sgabelli e tavoli tirati da per tutto. Sentì le mani di john afferrarmi per un braccio e tirarmi con fatica verso la porta del retro. Mentre mi trascinava via i calci e i pugni si andavano addizionando sul mio corpo ormai privo di sensibilità. Non so come ma capiì che il mio socio era riuscito a tirarmi fuori da quel mucchio selvaggio. Eravamo rinchiusi in una saletta dove john riponeva le cose vecchie e qualche attrezzo. Poggiato con la schiena contro la parete sentì sotto il culo un qualcosa di duro. La feci scivolare via e mi ritrovai tra le mani una valigetta in pvc con dei razzi di segnalazione marittima. Li presi, mi tirai su a fatica e qunado incrociaì lo sguardò di john lui mi gridò di non farlo. La porta del magazzino andò giù, tolsi il tappo e girai l'innesco. Una palla incaldescente rossa colpi in pieno i coglioni in prima fila che volevano farci la festa. Da predatori si trasformarono in preda, sparai dal piccolo magazzino tutti i razzi che avevo in mano ad altezza uomo. La sala si riempì di un fumo bianco e denso. Faticavo a respirare e non capivo se per colpa dei colpi ricevuti o del fumo. Avvolto in questa coltre di fumo ricordo solo la stretta di john, mi teneva tra le sue braccia mentre io mi lasciavo dolcemente scivolare a terra avvolto dalla nebbia chimica...

Cap LXII

‎mercoledì ‎23 ‎febbraio ‎2011, ‏‎06:00:55 | brainiacVai all'articolo completo
Il sole rovente scaldò la citroen tanto da farla diventare un forno. Aprì gli occhi, la testa pulsava come un tamburo battuto con rabbia. La bocca era impastata e acidula. Ero immerso in un bagno di sudore, senza maglietta e con la patta dei pantaloni ancora aperta. Mi tirai su e in lontanaza vidi passeggiare sulla riva Cat. Mi tirai in piedi, tolsi le scarpe e infilai la maglietta per evitare che il sole scottasse le mie povere spalle. Mi diressi verso di lei e la salutai con un cenno della testa. Lei rispose con un sorriso , chiedendomi se era tutto ok. Sputai fuori qualche parola e insieme convenimmo che forse era ora di andare a prendere un caffe e farci una doccia. Rimonatammo in auto, il silenzio era solo interrotto dal ruomere del motore . Tiari giù il finestrino e poggiai la testa contro il telaio infuocato dell'auto. Con l'angolo dell'occhio notai che cat mi osservava. Arivammo nella zona abitata e Cat parcheggiò davanti ad una caffetteria. Una volta entrati lei prese posto ed io andai diretto al bagno dove misi la testa sotto l'acqua tiepida di un lavello. Mi rinfrescai come potetti e tornai da cat. La situazione non mi piaceva, c'avevo fatto sesso, ma era finita li per me e volevo che per lei fosse lo stesso. Ero convinto di dover chiarire la situazione. Una volta seduti lei ordinò una cappuccino, io un doppio caffe con una bottiglia d'acqua. Le chiesi se volesse mangiare qualcosa, ma con un sorriso disegnato sulle labbra mi disse che non aveva fame. Davanti al caffè fumante buttai dentro il discorso della notte appena trascorsa. Cat notò il mio imbarazzo e sorridendo commentò che non c'era nulla da dire, di starmene tranquillo che lei non era alla ricerca di una relazione e che se m'avesse fatto piacere lei sarebbe stata felice di ripetere l'esperienza di tanto in tanto. Rimasi senza parole, preso in contropiede ma piacevolmente rinfrancato. Mi rilassai, bevvi un lungo sorso di caffè e dopo due chiecchiere e qualche risata tornai in albergo sempre con lei. Arivati in hotel ognuno riprese la sua vita, lei scomparvve nella reception io salì in camera per darmi una ripulita e a tirare un ronfo fino l'indomani. Arrivò cosi il mio primo fine settimana maltese. Erano le sei del mattino e l'aria già cominciava ad arroventarsi. Mi alzai dal letto e dopo una rinfrescata mi vestii per recarmi al pub dove avrei iniziato il mio periodo di prova. In strada non c'era nessuno, gli unici che lavoravano erano gli spazzini che sudati come bestie raccoglievanoche cartacce e mozziconi in fretta e furia. Mi incamminai verso il locale e sulla strada mi fermai a fare colazione nei pressi di un bar che affacciava su una strada interna. " English Food" campeggiava sull'ingresso, entrai e chiesi un caffe lungo con uova e bacon, la scelta peggiore che potessi fare. Il piatto che mi si presentò era invitante e dopo una sbronza era l'ideale. Divorai tutto in poco tempo e a poco a poco guardando in strada dal mio tavolino sorseggiavo il mio caffe pensando alla notte trascorsa con cat. Pagai ed uscì. Arrivato fuori al pub notai che la serranda era mezza abassata. Mi chinai ed entrai. Il proprietario, john , era intento a riparare un divanetto. Quando entraì lo salutai, lui saltò subito in guardia e quando mi vide si rilassò. Gli dissi di stare tranquillo, che non era una rapina e lo stronzo sbottò in un mezzo sorriso. Si sorprese del fatto che ero già li a quell'ora e in tutta onestà gli feci capire che non avevo di meglio da fare. Mi invitò a sedermi al banco a prendere un caffe. Forse aveva notato le mie occhiaie da sbronzo, accettai, cosi mise su l'acqua e quando iniziò a bollire ci sciolse dentro due buste di caffè lungo. Si sedette al mio fianco e iniziò ad interrogarmi per capire meglio chi cazzo avesse davanti. Rispondevo con cautela a tutte le sue domande, e in tutta risposta facevo delle controdomande. Dai tattoo che portava sull'avanbraccio capi che il tipo era nord irlandese e per di più un lealista. Mentre si paralava di esperienze passate buttai in mezzo l'argomento ulster e notai che il socio vacillò. Avevo colto nel segno. Ero sicuro che john si fosse ritirato su quella cazzo di isola calda perchè troppo incasinato da poter restare su quell'altro scoglio atlantico. Finimmo il caffè nel silenzio più assoluto e una volta poggiata la tazza vuota sul banco mi disse che ero uno abbastanza sveglio e che avremmo lavorato bene assieme. Gli diedi una pacca sulla spalla e gli domandai da dove potevo iniziare. Mi indicò il banco e mi chiese di dargli una bella ripassata. Presi una pezza la insaponai e cosi inziai questa nuova avventura.

Cap LXI

‎mercoledì ‎16 ‎febbraio ‎2011, ‏‎11:03:07 | brainiacVai all'articolo completo
Salì in camera, mi feci una doccia per sciacquare via l'odore di salsedine e pelle. Mi buttai sul letto e fissando le pale sul soffitto che smuovevano l'afosa aria caddi in un sonno incerto. Il risveglio fù brusco. Il sole era ormai calato e dalla finestra aperta entravano le luci dei locali in strada. Scesi alla reception dove c'era un ragazzo sulla ventina dai tratti tipicamente arabi. Domandai per il suo capo il moro alzò il telefono e compose un numero. Dopo cinque minuti lei apparì dalla porta d'ingresso, ordinò a muso duro qualcosa al coglione e sorridendomi mi domandò se ero pronto, le risposi che ero tutto per lei. Scendemmo in strada e montammo su una citroen. Dopo circa venti minuti e qualche chiacchiera parcheggiò l'auto su quello che sembrava un lungomare. La notte era calda, poggiati i piedi a terra sentivo tutto il calore del giorno che veniva rilasciato gradatamente dall'asfalto. Avevo la fronte sudata, lei mi guardò compiaciuta e mi dissse che dovevo farci l'abitudine. Scendemmo delle scale e ci ritrovammo in una specie di porticciolo minuscolo sulla cui banchina era allestito un bar. Prendemmo posto e davanti ad un paio di birre Cat, questo il suo nome, caterina per la precisione, iniziò a rullare un paio di siga a base di drum. Lei non aveva molto da raccontare, era nata e vissuta su quel cazzo di scoglio incantevole che è malta. La maggior parte del tempo ero io che raccontavo tutti i posti visti e frequentati, e ad ogni parola scendeva giù una pinta di lager. Cat era una donna sui 35 anni, bassina e snella dal colore di pelle olivastro e i capelli corti e neri. Nei suoi occhi dal taglio mediorentale ti ci potevi perdere, ma quegli stessi occhi ti facevano capire che la socia aveva un bel pelo sullo stomaco. Le ore passavano e con loro anche la lucidità. Eravamo al settimo o ottavo giro ed avevo la vescica enorme. Provai ad alzarmi e la testa mi diede com un vuoto sotto i piedi, persi l'equilibrio ma riusci a restare in piedi. Cat sorrise e mi domandò se era tutto ok, risposi con un occhiolino e cercando di mantenere una linea retta immaginaria entrai nel bar per andare a svuotare. Nel urinatorio dovetti stare qualcosa come cinque minuti pisciando senza tregua, quando lo cacciai fuori aprofittati per accendermi una paglia e con metà siga ancora da fumare ero li che continuavo a distillare lager. Finita l'operazione mi lavai le mani e passai una buona dose d'acqua sulla testa rasata. Ero sudato, l'aria rovente di quella notte toglieva quasi il respiro e tutto l'alcohol in circolo di certo non migliorava la situazione. Ritornato al tavolo cat mi domandò se avevo ancora voglia di restare, risposi con un no accennato con la testa e cosi mi diressi alla cassa per saldare il conto fregandomene di cat che voleva quanto meno dividere. Rimontammo in macchina. Ero sbronzo, ma cercavo di mantenere botta alla testa in vacca. Lei parlava e parlava, avevo difficoltà a capire il suo inglese in più iniziavo a mischiare parole di british con puro castellano. Dopo circa un quarto d'ora capi che ci fermammo, guradai fuori dal finestrino e vedevo solo un cielo stellato infrangersi con il mare. Scendemmo dall'auto e mi accorsi di camminare su sabbia. Mi poggiai sul cofano dell'auto, una leggera brezza ci investì ed era come acqua nel deserto. Cat mi era vicina, l'abbracciai e di seguito le nostre bocche si unirono . Notai come si allontanava , seguendola con lo sguardo vidi come tirava giù i sediolini dell'auto. Poi venne a prendermi e tirandomi per la mano mi fece stendere nel retro dell'auto dalla parte del portabagagli. Mi spogliò lentamente e una volta nudo iniziò a spogliarsi anche lei. Le sussurrai che non avevo preservativi ma lei mi zitti baciandomi e mentre mi mordicchiava l'orecchio mi sussurrò che non era un problema. Ero li in trans, eccittato e sbronzo, mi montò sopra e iniziò a muoversi ritmicamente. Facemmo sesso e più si andava avanti meno sentivo l'effetto dell'alcohol sul mio corpo. Per la testa mi passarono mille immagini, Yurani, Ana, Ale e poi cat con gli occhi tirati indietro per il paicere e le sue smorfie. Le diedi sempre più forte, ero li che cercavo di farle quanto più male possibilei, pensavo a quanto le donne m'avessero fatto soffrire e volevo scaricare tutta la mia rabbia su di lei in quel momento, ma l'unico effetto fu quello di sentirla gridare per il paicere fino a quando sfinito non svuotai il serbatoio e mi lasciai cadere sudato ed esamine sul retro dell'auto.

Cap LX

‎martedì ‎1 ‎febbraio ‎2011, ‏‎00:28:35 | brainiacVai all'articolo completo
La mano di Javi mi strattonò per i jeans. Aprì gli occhi d'immediato con ancora la testa in merda. Lo salutaì con un cenno del capo. Mi allungò una tazza di caffè che afferai con fatica. Al tatto la tazza bruciava. Javi mi disse di bere senza perdertempo che il caffè lungo freddo non valeva un cazzo. Seguì il suo consiglio, ma personalmente pensavo che anche caldo non valesse una merda. Ringraziai Javi per la disponibilità a lasciarmi dormire nel suo locale. Non è da tutti accogliere un mezzo sconosciuto, rasato in ben sherman, con tatuaggi che escono con rabbia da sotto le magliette e che sta quas isempre sbronzo. Disse di non ringraziarlo, mi strinse la mano e mi augurò buona fortuna. Finì il mio caffè, mi detti una lavata di faccia e salutai Javi con la promesssa che prima o poi ci saremmo rivisti. Andari dritto alla metro. Ragiunta BCN el sants presi la navetta per l'aeroporto. Dopo un ora eccomi nuovamente sul uscio dell'ennesimo cambiamento. Mi recai ad un punto informazioni e domandai quale fosse il primo volo per la valletta. Ero fortunato, nel pomeriggio sarebbe partito un volo diretto per malta. Acquistai il biglietto ed aspettai l'imbarco gironzolando per quel posto che tanto m'incantò la prima volta che misi piede sul suolo iberico. Arrivò il mio turno. Una voce calda dal marcato accento catalano chiamava il mio imbarco. Mi misi in fila, salì sull'apparecchio e con qualche lacrima lasciai alle spalle quella città che tanto avevo vissuto. Mi feci coraggio, riiniziare tutto di nuovo non è mai facile ma è il corso della vita . Dopo circa tre ore di volo arrivai a Malta. Dall'oblo dell'aereo intravedevo il piccolo aeroporto dall'architettura più araba che occidentale. Una volta a terra fui colpito da una onda di calore asfissiante. Erano i primi di aprile e già la temperatura marcava i 30 gradi. Raccolsi il mio unico bagaglio e completamente perso e senza idee tanto chiare nella testa usci fuori per prendere un taxi. Notai che tutte le auto che facevano servizio taxi erano macchinoni truccati stile il film "taxi" di Luc Besson. Montai sul primo della fila ed un omaccione dai tratti mediorientali in un inglese stentato mi domandò dove volessi andare. Sorrisi e mi venne in mente di chiedere consiglio al tipo. Gli domandai dove c'era più casino e lo stronzo sorridendo rispose che l'unico posto con vita in tutta malta era Paceville, che a dir suo era il cuore del turismo tra ragazzi che andavano li per studiare l'inglese, locali e spiagge. Afferai la proposta del socio e gli dissi di portarmi li. Dopo circa trenta minuti arrivammo sull'ingresso di un cazzutissimo lungomare. Il taxi si fermò e lo stronzo mi disse che la corsa erano venti euro. Scesi e con il mio sacco in spalla iniziai a camminare. Il mare era una tavola, il sole picchiava di brutto. Mentre camminavo vedevo innumerevoli pub stile inglese all'interno di palazzi tipicamente dalla struttura araba. L'accostamento mi spiazzò di brutto. Entrai nel primo pub che ebbi a tiro, mi sedetti sullo sgabello vicino al banco ed un tizio sui trenta mi domandò cosa cazzo volessi. Presi una pinta di lager, tirai fuori una paglia e iniziai le mie personali indagini per capire un po' come girava la zolfa in quel posto. Chiesi allo stronzo se conosceva qualche posto a buon prezzo dove dormire, il coglione mi guardava come se non capisse le mie parole cosi, ripetetti la frase e la merda continuava nel fingere di non capire. Lo mandai a fare in culo in italiano e lo stronzo solo allora sembrò intendere qualcosa. Mi domandò se fossi inglese, negai con un cenno del capo e buttando giù della birra ringhiai che non avevo nazione. La ben sherman che indossavo iniziava a pezzarsi di brutto. LA birra, il calore e il nervosismo mi facevano pisciare sudore da per tutto. Pagai la pinta e senza manco salutare usci fuori. Mentre facevo un giro per trovare un ostello o una pensione mi fermai a fumare un paglia all'ombra di una pensilina. Gli autobus che passavano erano stile scuolabus americani anni settanta. Ero completamente sfasato dall'ambiente. Finita la paglia mi rimisi al trotto. Entrai in un bar costruito su una scogliera e mi sedetti ad un tavolo. La pensilina in paglia aiutava a proteggermi dal sole, in più finalmente una leggera brezza si alzò. Ordinai un'altra pinta di lager locale, piscio di cane più assoluto. Alla cassa c'era un vecchio dai colori marcatamente made in U.K.. Barba incolta bianca, pelata e occhi color ghiaccio. Quello che notai oltre allo strano mix dell'architettura era la gente di malta. Le vecchie generazioni erano palesemente anglosassoni, mentre i giovani erano un mix tra sud europa e nord africa. c'era proprio un netto taglio generazionale che mi lasciava spiazzato. LA ragazza che serviva ai tavoli era piccolina,esile e da una lunga capigliatura nera tirata su con due matite. Non era male. LE domadai se conoscesse qualche posto dove dormire e fu immediata nella risposta. Mi raccomandò un piccolo albergo nella zona delle discoteche, disse che lo dirigeva la sorella e che se volevo s'incaricava stesso lei di chiamare per fermare una stanza. Acconsetii con un gesto della testa e cosi la tipa scomparve dietro al banco. dopo circa dieci minuti ritornò con un foglio di carta con su un indirizzo e un nome e mi disse di mostrare quel bigliettino alla reception. La ringraziai, mi asciugai il sudore con un tovagliolino di carta e ritronai in strada dove fermai un taxi. Mostri al tipo il foglio di carta e dopo cinque minuti di curve a quasi 120 orari e la paura tremenda di finire direttamente a mare con l'auto, mi fermò davanti all'albergo. Pagai altri venti euro e capii che sti cazzo di tassisti ci marciavano di brutto. Entrai in questa pensione a due stelle e come indicatomi dalla cameriera mostrai alla reception il foglio di carta. La tipa al banco era una copia più grande della cameriera. LE domandai se era la sorella della ragazza che lavorava al bar sulla scogliera e la troia mi rispose con un lieve cenno del capo e un sorriso di conseguenza. Quando mi chiese i documenti e vide il passaporto italiano rimase sorpresa e mi disse che era certa che fossi inglese. Iniziò ad essere più rilassata ed amichevole e capii che forse tanti anni di colonizzazione britannica avevano lasciato il segno su questa gente. Mi diede le chiavi della camera, insistetti per pagare i primi quattro giorni in anticipo, cosi la tipa mi accompagnò personalmente in camera e una volta dentro mi invitò a chiederle qualsiasi cosa di cui avessi avuto bisogno. LA ringraziai e le feci presente che al momento volevo solo farmi una doccia fredda e riposare. Mi sorrise e scomparve. Chiusi la porta, apri l'acqua della doccia, la camera non era male, una tv vecchiotta, due comodini un letto senza testata e una pala in legno ce girava per smuovere l'aria. L'acqua che usciva dalla doccia era giallognola, ma era una di quelle cose a cui mi sarei abituato presto. Mi cambiai e mi misi più leggero. Optai per dei combat a bermuda e per una maglietta di cotone. Il caldo era opprimente. Scesi in reception e mi catapultai tra le stradine di Paceville. Lo stile era del tipico posto frequentato dalla gioventu. Tantissimi bar e take a way, un botto di pub e tante discoteche con piccoli bazar. Mi fermai a mangiare qualcosa. Presi un kebab che buttai giu con un paio di pinte di lager. Il caldo non mi dava pace, dovevano essere le quattro del pomeriggio. Mi rimisi a trotterellare fino a quando non vidi un cartello fuori un pub che si chiamava Scruples . Il cartello indicava che erano alla ricerca di un ragazzo per il banco. Entrai. L'ambiente era tipicamente cupo e un po lurido da classico pub inglese. Un omone rasato e tatuato dai tratti tipicamente hooligan mi diede il buona sera. Mi avvicinai e gli chiesi del cartello. Mi guardò dalla testa ai piedi e mi domando di dove fossi. Gli spiegai che ero napoletano ma che avevo vissuto tra londra, scozia e barcellona. Mi fece i complimenti per l'inglese e mi domandò se sapevo spillare birra. Gli risposi che ero bravo e che avevo lavorato già in diversi pub, cosi mi disse di ripassare per il fine settimana dove avrebbe testato il mio livello. Sorrisi e gli diedi la mano, prima che però me ne andassi mi domando se ero a posto, non capii li per li cosa cazzo intendesse e vedendo la mia espressione confusa mi domandò se ero uno pulito, se ero impicciato con casini. Risposi che al momento ero fuori dai casini e che non erano trascorse nenache 24 ore dal mio arrivo a malta. rise di gusto e mi salutò. Trascorsi quella giornata bighellonando per le strade, poi entrai in un bazar dove comprai un cazzo di costume e un telo da spiaggia, mi avviai presso una baia piccolina e mi buttai in acqua. Stetti fino a sera inoltrata a godermi quella giornata, sempre tenendo su la maglietta per evitare di bruciare le mie spalle. Al ritorno in albergo fui accolto da un sorriso ragiante della tipa che madava avanti il posto. La salutai e le dissi che quel po' che avevo visto di malta era grandioso. Il complimento le fece piacere e mi invitò a prendere qualcosa da bere . Accettati e ci demmo appuntamento da li a un'ora. Neanche 24 ore e avevo trovato un lavoro e un appuntamento, come inizio non c'era male...

Cap LIX

‎domenica ‎23 ‎gennaio ‎2011, ‏‎01:59:40 | brainiacVai all'articolo completo
Uscito dall'aeroporto mi fiondai nella metro. In circa un'ora mi ritrovai in casa di yurani. Avrei passato la notte li. Con calma radunai tutte le mie poche cose. Mi gettai sotto la doccia e preso dallo sconforto decisi di continuare a fottermi la testa buttando giù alcohol. Ogni cosa in quella casa mi ricordava lei e i momenti vissuti insieme. Ogni centimentro di quell'appartamento trasudava yurani e la cosa mi mandava fuori di testa. Mi asciugai, tirai su dei jenas misi la prima felpa che trovai e scesci spedito al bar notturno più vicino. In tasca avevo qualcosa come centocinquanta euro ed ero deciso a spendermili tutti in alcohol la stessa notte. Mi sbronzai di brutto, le lancette dell'orologio volavano. Ricordo solo che mi sveglio' il tizio del banco dicendomi che erano le sei del mattino. Mi chiese se mi andava un caffe e disse che erano anni che non vedeva una persona bere cosi tanto da accasciarsi sul banco a dormire. Mi scusai e mi accesi una paglia. Il tipo mise su del caffe lungo e me ne allungo una tazza. Lo ringraziai e saldai il conto. Ero ancora mezzo sbronzo ma avevo trascorso un'altra notte senza pensare a lei. Tornai in casa di Yurani e mi gettai sul letto a dormire. Quando aprii gli occhi sistemai la camera andai in soggiorno e mi sedetti a scrivere una lettera. Il passato si ripeteva ancora. Scrissi tutto quello che provavo per lei. Una confessione d'amore incondizionato. Lasciai la carta sul tavolo del soggiorno, ci misi sopra la copia della chiave d'ingresso e presi le mie cose. Prima di chiudere la porta mi guardai indietro e sentì il cuore rompersi. Scesi in strada e chiamai un taxi. Mi feci portare al bar di Javi. Erano mesi che non ci andavo. Quando il socio mi vide sorrise e disse che era felice di rivedermi. Ricambiai il sorriso e presi da bere. Mi confessai con quell'uomo che non conoscevo ma che sentivo la persona più vicina in quel momento. Dopo che spiegai per filo e per segno il tutto, javi mi diede una pacca sulla spalla e mi invitò ad un ennesimo giro. La testa iniziava a girare, la lingua a sbaiscicare. Era notte, non avevo un posto dove andare e mi stavo sbronzando di brutto. Quando mi domandò dove sarei andato a dormire gli risposi che non ne avevo la più pallida idea. Mentre buttavo giù l'ennesimo giro javi mi confidò che tempo fa uno skin con altri tipi entrarono nel suo bar chiedendo di me. Aitor mi cercava e voleva rendermi il naso che gli avevo rotto. Spiegai come erano andate le cose e javi mi raccomandò di stare attento, che lo stronzo con i suoi soci da come parlavano avrebbero voluto farmi la pelle. In quel momento sorrisi alle parole di Javi, il che provocò in lui uno sguardo spiazzato. Gli dissi che non mi fregava un cazzo se quel coglione voleva farmi la pelle, anzi ero disposto anche a farmela fare ma non prima di riprendere quel suo culo a calci. Javi mollò un sorriso e riempì un altro bicchiere. Mi disse che per quella notte potevo dormire nel suo bar, accettai e lo ringraziai, poi, mentre ero ancora in grado di capire quello che mi si diceva, mi consigliò di togliermi per un po' dai coglioni perchè lo stronzo che mi cercava aveva agganci pesanti. Lo ringraziai e risposi che avrei seguito il suo consiglio. Nel bar c'eravamo io lui e un etilico anziano stravaccato davanti un video poker. Javi mollo un urlo al vecchio per fargli capire che era ora di togliersi dale palle. Lo stronzo sputò fuori qualcosa e si alzò per togliersi dai coglioni. Javi calò la persiana in ferro e chiuse la porta, mi indicò il divanetto e mi spiegò che non era male dormirci su. Lo ringraziai, lui sali per dele scale sul retro che portavano direttamente a casa sua, io mi stesi con la testa che girava sul divanetto che mi aveva indicato e mentre chiudevo gli occhi guardando sul soffitto vidi disegnata una croce di San Giovanni bianca su sfondo rosso... Avevo deciso, fanculo yurani, fanculo aitor, fanculo tutti, Malta mi aspettava.

Cap LVIII

‎sabato ‎22 ‎gennaio ‎2011, ‏‎01:21:27 | brainiacVai all'articolo completo
Stavo prorio bene. Raramente nella mia vita ho potuto pensare questo. Mi trovavo in un paese meraviglioso, con al fianco una ragazza stupenda, che mi prendeva tanto. In più spiagge tropicali, panorami mozzafiato e tanti chupitos per alleggerire la testa. Le serate le trascorrevamo tra le note di una canzone di salsa o i ritmi più agressivi del reggaeton, melodie lontane dai miei gusti anni luce, ma che in quel posto iniziavano a piacermi, ma come spesso mi è accaduto, le cose belle, finiscono sempre subito. Era una domenica e dal nostro arrivo erano passate circa quattro settimane. Il padre di Yurani ci invitò ad andare nella tenuta di questo suo famoso fratello. Lei non era molto covinta e felice di fare quella "escursione" ma per non dire di no al padre che vedeva ogni morte di papa acconsenti. Montammo nel 4x4 del padre yurani, la "matrigna", una sorella di secondo letto ed io. Il viaggio durò quasi quattro ore e la maggior parte delle strade attraversate erano sterrate nel bel mezzo della natura della foresta pluviale. Il panorama era mozzafiato. Sembrava di rivivere uno di quei fottutissimi documentari del N. G. Personalmente in quei momenti provavo ad immaginare cosa fosse passato per la testa di C. Colombo quando scopri quelle terre misteriose ed incantevoli. Ogni tanto ci si imbatteva in qualche piccolo aglomerato di case, più che case parevano ricoveri per animali, ma ci vedevi vivere dentro intere famiglie. Come a Medellin la cosa che m'impressionò fu il sorriso di quelle persone. L'unico loro tesoro. Dopo circa quttro ore arivammo nella tenuta del fratello del padre. All'ingeresso c'era come un posto di blocco con dei vigilantes armati di tutto punto. Dall'ingresso ci voleva circa mezz'ora d'auto prima di arrivare a casa di questo personaggio. La giornata trascorse senza patemi ma nell'aria si respirava sempre un senso di precarietà. Ti sembrava che da li a poco poteva succedere di tutto, come l'irruzione di banditi armati o cose simili. Visitammo le proprietà con i cavalli e le mandrie di vacche che allevava. Dopo un pranzo largo e robusto ci congedammo dallo zio e in auto mi abbandonai ad un profondo sonno per risvegliarmi solo una volta arrivati. Scesi dall'auto salimmo in camera, feci una doccia e mentre ero sotto l'acqua bollente senti che in stanza qualcuno chiacchierava con Yurani. Era la sorella.Chiusi l'acqua mi infilai in un accappatoio e entrai in camera. La sorella di yurani aveva in mano un portatile e quando mi vide entrare strizzo l'occhio con un ghigno che non prometteva nulla di buono. Mi avvicinai per vedere cosa stesse facendo e porco cazzo la stronza aveva scaricato da internet alcuni spezzoni di produzione di film in cui c'ero anche io. Mi si gelò il sangue. Non avevo mai parlato con nessuno, a parte Viviana, di quel mio periodo dove per arrotondare avevo girato parti secondarie in produzioni hard. Sullo schermo comparvero le immagini del mi culo che spingeva. Yurani spalanco gli occhi e si porto le mani sulla bocca. La sorella iniziò a ridere in modo sguaiato, da vera troia e vedendo la rabbia sul mio volto aggiunse che non era l'unico che aveva trovato. In quel momento mi domandavo come cazzo poteva succedere una cosa simile. Erano passati circa tre anni, mai nessuno di mia conoscenza aveva visto quelle cose e qui, dall'altra parte del mondo, una cagna in calore, era li che sbatteva tutto sotto il muso di sua sorella che era anche la mia ragazza. Di istinto mi avvicinai alle due e chiusi lo schermo del portatile. La puttana mi gridò contro di lasciar stare il suo pc. Yurani alzò lo sguardo e con gli occhi gonfi mi domandò il perchè. Subito dopo chiese alla sorella di uscire dalla stanza, riluttante la puttana accettò e cosi dovetti affrontare la rabbia di yurani. LA prima cosa che mi gridò fu che tutto era finito. Le suggerii di calmarsi ma in tutta risposta ebbi uno schiaffo che mi colpi al volto. Mi chiese di prendere le mie cose e di levarmi dai coglioni, non voleva sentire ragioni e anche se tutto era successo prima che la conoscessi lei non voleva nenache più parlarmi. Mi rivestii, mi trovavo lontano migliaia di chilometri lontano da casa, anche se una casa non l'avevo più dato che convivevo con yurani. Mi tirai su le braghe raccolsi il mio zaino e uscii dalla stanza. Appena fuori senti la porta sbattere e le mandate della serratura mettere il sigillo finale alla chiusura della nostra relazione. Avevo il cuore affranto. Mentre uscivo dalla casa incrociai quella troai della sorella che sorridente mi fece ciao con la mano e mi disse che se non avevo un posto dove andare, lei in camera aveva un letto abbastanza grande. Non le risposi. Una volta fuori iniziai a camminare sul lungomare. La musica inondava l'aria. Girovagavo da quasi un ora quando vidi un albergo a tre stelle. Entrai e presi una camera. Salito in stanza mi sedetti sul ciglio del letto e mi domandavo cosa cazzo avrei fatto. Scesi al bar del hotel e iniziai a buttare giù, uno dopo l'altro, bicchieri di rum fino a cadere col culo a terra nel tentativo di tornare in camera. Un cameriere mi diede una mano a raggiungere la mia stanza. Una volta dentro mi lasciai cadere sulla moquette del pavimento. Mi risvegliai l'indomani con la testa che pulsava di brutto. Solo aprendo gli occhi e non vedendo lei al mio finaco capii che l'avevo persa per sempre. Il pensiero mi mise una fottuttissima tristezza addosso. Mi alzai e andai al cesso dove mi buttai sotto la doccia. L'orologgio segnava le dodici e dieci. Sotto l'acqua bollente rivivevo i flash back della mia stroia con yurani e della sventurata sera precedente. Diedi una scorsa al cellulare, non trovai ne un messaggio ne una chiamata persa da parte sua. Cercai il suo numero in rubrica e provai a chiamarla ma il suo telefono squillava a vuoto. Mi vestii e scesi in reception dove chiesi l'agenzia di viaggi più vicina. L'operatore fu gentilissimo e mi disse che se avessi avuto bisogno di un biglietto aereo o d ifittare una macchina avrebbe provveduto stesso lui. Ringraziai e dissi che ci avrei pensato un poco su. Il sole era forte, la spiaggia piena di persona. Mi sedetti su una panchina fronte mare e osservavo tutta quella gente li a prendere il sole e a divertirsi. Notavo ragazze stupende color ebano accompagnate da obesi americani del cazzo, ragazzini tirare calci ad un pallone, venditori di bibite attraversare la sabbia infuocata. Stetti li un paio d'ore. Il sole batteva forte cosi preferi inbucarmi nel primo bar che incontrai sulla mia strada. Mi sedetti e iniziai a farmi fuori una serie di becks ghiacciate. Mentre ero li che mi sbronzavo fui avvicinato da una splendida tipa che iniziò ad attaccare bottone. Capi subito che era una prostituta alla ricerca di un facoltoso europeo. LE sorrisi e glissai alle sue avanze ma prima che se ne andassse le domandai dove si poteva trovare un po di coca. Si guardò furtivamente intorno e subito dopo mi disse di aspettarla in quel posto per una mezzora. Dopo quarantacinque minuti e l'alcohol che aveva fatto breccia nel mio cervello rividi la tipa. Mi diede un pacchetto di sigarette e mi chiese a cambio cento euro. Apri il pacchetto e accertandomi che era quello che avevo chiesto misi mano al portafoglio e le allungai un verdone. Cinque secondi dopo la tipa scomparve come un fottutissimo fantasma ed io a fatica mi misi su due piedi e andai al cesso, dove chiusomi dentro allungai un paio di strisce sulla ceramica del lavandino e con una banconota da venti tirai tutto su. LA botta fu immediata. Era un casino di tempo che ero pulito, ma la situazione m'aveva reso debole. LA roba era fottutamente buona, il cervello si resetto e baldanzoso usci fuori e ritornai in albergo dove chiesi al tipo di prendermi un biglietto aereo per Bcn e di fittarmi un auto per poter arrivare all'areoporto di medellin. Sali in stanza, alzai la cornetta del telefono e chiamai il servizio in camera. Dopo cinque minuti avevo due bottiglie di pampero ghiacciate. Mi sedetti su una sedia fuori al balconcino che dava su una strada secondaria e poco alla volta tra uan paglia e una riga mi sbattetti tutta la prima bottiglia di rom. Mentre ero li che mi sfondavo il fegato e le narici piangevo come un coglione. Yurani m'aveva lasciato e la colpa era tutta di quella cagna della sorella e forse anche mia. Il mio passato è sempre tornato nei momenti migliori della mia vita per rompermi il cazzo, per negarmi la felicità, quasi come a ricordarmi che uno spurgo che viene da una fottutissima corea non può avere una vita migliore, una vita serena. Ero devastato, il mix di biancaneve e alcohol mi teneva in uno stato alterato tra lo zombie e il morto non morto. Alternavo fasi euforiche a tristezza suicida. Buttata giù anche la seconda bottiglia di rom caddi a terra sfinito. Mi risvegliai il giorno dopo, giusto ventiquattrore dopo. A svegliarmi fu il telefono della camera dove un operatore mi informava che aveva prenotato il volo e l'auto per raggiungere medellin. Mi restavano solo deu giorni prima di ritornare nel vecchio contiente e speravo con tutto il cuore che in quei due giorni Yurani si fosse fata sentire, ma cosi non fu. LA mattina del terzo giorno montai in auto e dopo svariate ore di guida a tavoletta e grazie all'aiuto di bianca arrivai in aeroporto. Di yurani nessun segnale, cosi le scrissi un sms dove le spiegavo che ero in procinto di partire per bcn e che una volta li avrei preso le mie cose da casa sua e le avrei lasciato le chiavi sul tavolo della cucina. Mentre ero in attesa per imbarcarmi il telefono squillo. Il lacrime yurani singhiozzava che le dispiaceva ma che non poteva sopportare l'idea di stare con una persona come me. Non capivo il suo ragionamento, le dissi che una volta a bcn se avesse voluto chiarire io non mi sarei tirato indietro e prima di mettere giù le sussurrai che l'amavo. Senti i suoi signhiozzi poi la chiamata fini. Entrato in aereo mi sedetti chiusi gli occhi e mi abbandonai al sonno.

Cap LVII

‎martedì ‎18 ‎gennaio ‎2011, ‏‎01:50:24 | brainiacVai all'articolo completo
Erano trascorsi pochi giorni dal nostro arrivo a Cartagena, trascorrevamo le giornate passeggiando in spiaggia e fermandoci sotto le palme di qualche chiringuito dove godendo del panorama bevevamo bacardi o acqua tonica e mangiavamo alette di pollo fritte. Stavo proprio bene. In spiaggia raramente toglievo la maglietta, da viso pallido avevo una paura boia di scottarmi e mettermi su litri e litri di crema protettiva mi faceva sentir male. La sera, solitamente, cenavamo tutti insieme, Yurani, il padre, le due sorelle e la compagna del padre. Cercavo sempre di dare una mano, fare l'ospite non mi è mai riuscito bene. Qualche volta ci trattenevamo col padre a parlare del più e del meno bevendo qualche bicchiere in più di rum. Una sera fu proprio il padre di Yurani a propormi una escursione presso la tenuta di un suo fratello che si trovava all'interno di non so quale foresta. Domandai se c'era pericolo di essere fottuti dai paramilitari ma la risposta fu solo una grossa risata. Poi una volta in camera Yurani mi spiegò che lo zio era un pezzo grosso, molto ben ammanigliato anche con persone non del tutto pulite. Ci cambiammo e andammo a fare un giro per locali dove ci beccammo con tutta una serie di conoscenti suoi e della sorella. Entrammo in un locale dove a palla veniva sparata salsa colombiana. Era gradevole d'ascotare per i primi cinque minuti, poi dopo preferivo stordirmi con qualche buon bicchiere di rum o birra. Fui avvicinato da Sandra, la sorella di yurani, che a tutti i costi vollè farmi ballare una di quelle cose. Provai a desistere, ma la tipa mi prese con la forza e mi spinse in mezzo alla folla. Quando fummo tra la gente che si dimenava mi spiegò che li queste canzoni si ballavano con passione, non capi cosa intendesse al momento ma tutto mi fu chiaro quando con una certa veemenza sandra iniziò a strusciarsi contro le mie zone intime a ritmo di musica. Ero rigido come un palo della luce. Provai a divincolarmi, ma lei con le mani mi strinse per le natiche e continuava a strusciarsi come una fottuttissima gatta in calore. Ero disorientato. Non volevo che yurani pensasse che volevo scoparmi la sorella, e mentre ero li imbarazzato vidi arrivare proprio lei che disse alla sorella di piantarla. Quando poi mi prese per mano, mi portò fuori dalla mischia. LE spiegai che non centravo un cazzo e lei fulminandomi con gli occhi ribattè che se proprio non c'entravo un cazzo non restavo li a fare da palo da danzatrice di lap dance. Poi con un certo nervosismo mi disse che voleva tornare a casa ed io senza dire una sola parola la seguì. Mentre eravamo per strada camminando verso casa le dissi che mi dispiaceva, lei mi guardò, poi mi sorrise e rispose che lo sapeva e che comunque era certa che io non c'entrassi un cazzo. Mi spiegò che la sorella era fatta cosi, un po' impulsiva e mi disse di non darle troppo spago perche già in passato le era capitato che sandra le avesse scopato il tipo. Rimasi quasi scioccato da quelle parole e le comunicai che io non ero il tipo e lei con tutta calma liquido la discussione con un semplice ok, ma sottolineando il fatto che me lo aveva detto. Mentre eravamo sul cancello di casa notai uno strano movimento di persone, mi misi subito sulla difensiva e mentre cercavo di rendermi conto Yurani mi raccomandò di stare calmo, che quella gente che vedevo e non vedevo erano semplicemente dei vigilantes locali che l'amministrazione del posto aveva messo a presidiare la zona per evitare che gente come noi avesse dei fottuti problemi. Entrammo in casa e andammo dritti verso la camera da letto. Le luci erano spente ma dalla finestra entrava una pallida luce lunare. Nella penombra Yurani iniziò a spogliarsi, mi avvicinai a lei e l'aiutai a togliersi la maglietta prima e poi i jeans, mentre la spogliavo sentivo che avevo una gran voglia di lei. Per me Yurani era come l'acqua per un tuareg del sahara. La strinsi forte e la presi in braccio. Con molta delicatezza lo poggiai sul letto e la baciai come se fosse la prima volta.

Cap LVI

‎lunedì ‎17 ‎gennaio ‎2011, ‏‎02:08:18 | brainiacVai all'articolo completo
Il tempo di sistemare il passaporto ed avere un visto turistico e ci ritrovammo yurani ed io sul volo Iberia Barcelona - Bogotà , Bogotà - Medellin. Il viaggio fu devastante, ore ed ore seduto in una scatola di sardine. Ingannai il tempo chiacchierando con lei, dormendo e bevendo qualcosa, ma le ore sembravano eterne. Ero molto eccitato all'idea di metter piede nel nuovo mondo. Era un sogno che forse covavo fin da bambino che si stava trasformando in realtà. Yurani s'era presa un mese e passa di vacanza, aveva un lavoro dove poteva permettersi di starsene fuori dai coglioni per un bel tot di tempo e nessuno le rompeva le palle. Io mi licenziai direttamente, per avere tutto il cazzo del tempo che volevo. Arrivati a bogotà dovettimo aspettare un casino di tempo prima di poter prendere l'aereo per medellin. Essendo europeo fui ricevuto dal comitato d'accoglienza colombiano. Militari in mimetica mi invitarono a seguire un linea gialla che portava direttamente in un ufficio dove fui perquisito e furono controllati i mieie bagagli. Yurani, avendo la doppia nazionalità, non ebbe problemi. Mi trattennero una mezz'ora. Mi domandarono una serie di cose tra cui le motivazioni del mio viaggio in colombia. Risposi semplicemente ad ogni domanda facendo presente che ero li esclusivamente per turismo. Una volta che mi lasciarono andare ci incamminammo verso il gate dove sarebbe poi partito il volo per medellin. Da li avremmo dovuto fittare un auto per raggiungere cartagena. La prima impressione che ebbi all'interno dell'aeroporto fu di trovarmi in uno stato militarizzato. Era una sensazione molto strana, i colori morti delle divise del personale si intonava perfettamente con quel cielo cupo e grigio che sovrastava la capitale Colombiana. Non misi al corrente Yurani delle mie sensazioni, per rispetto. Erano considerazioni che tenevo per me stesso. Quando giungemmo a medellin le mie sensazioni non cambiarono di molto. Arrivati in quella città Yurani mi disse di stare molto attento, che da quelle parti la vita di un uomo non valeva un cazzo e che sarebbe stata lei a condurre il gioco dato che io, un europeo dai colori chiari, in quel luogo ero più un bersaglio che un turista. Mi tranquillizzò spiegandomi che una volta a cartagena tutto sarebbe cambiato dato che era una località turistica frequentata da facoltosi sudamericani e nordamericani. Prendemmo in fitto un auto, arrivati al parking del rentcar, un impiegato dai tratti marcatamente indios e con indosso un completo di giacca e cravatta che stonava con il suo essere ci indicò il veicolo preso. Yurani montò al posto di guida, io su quello passeggeri. Chiuse le sicure e sgommammo in fretta e furia. Attraversammo un po' di città, il degrado e la decadenza era veramente disarmante. Grossi palazzi ultramoderni si alternavano a favelas dove ragazzini seminudi tiravano calci ad un pallone di cuoio scucito. Guardavo dal finestrino ogni cosa con grande avidità, volevo che nella mia mente si masterizzassero quante più immagini possibili. Una cosa mi rimase impressa, il sorriso di quei ragazzini nel fango che giocavano a calcio. Prima d'uscire dal centro abitato e prendere l'autostrada, attraversammo chilometri e chilometri di coaguli urbani. Lottizazioni selvagge senza un senso dove vi erano stipate migliaia di famiglie. Una volta fuori si apri davanti ai miei occhi la bellezza della natura. L'autostrada era una via dritta a quattro corsie che si perdeva nell'orizonte verde. Il cielo aveva un colore diverso, enormi nuvole colorate attraversavano il nostro spazio aereo quasi come a volerci indicare la via. Ci fermammo qualche ora in una area di servizio dove provai il caffe colombiano. Era disgustoso. Bevvi tutto di un fiato quel tazzone di liquido amaro. Rimotammo in auto e ripartimmo direzione Cartagena. Entrammo in città che era notte inoltrata. Le luci e le strade gia dipingevano un ambiente ed un clima lontano anni luce da medellin o bogotà. Alberghi di lusso, ristoranti e bar fusion si alternavano lungo le vie che percorrevamo. Decidemmo di fermarci a dormire presso un albergo a tre stelle fronte mare. Prendemmo una stanza che dava direttamente sulla spiaggia. Ero eccitato. Ci facemmo una doccia e ci catapultammo per le strade brulicanti di vita. Passeggiamo lungo un bulevard fronte spiaggia. Ci fermammo ad un ristorante dove mangiammo squisiti piatti a base di pesce. Finimmo per fare due passi lungo la spiaggia dove aprimmo delle sedie messe vicino ad un ombrellone e abbracciati guardavamo in silenzio il mare. Lei mi disse che era al settimo cileo,che stare li, con me, era tutto. Ci alzammo dalle sedie che ripiegammo con cura e trovammo un angolo appartato tra delle palme e delle siepi. Facemmo l'amore con il rumore del mare come sottofondo musicale. Sembrò un attimo, ma il sole già iniziava a fare capolino. Rientrammo che era l'aba in albergo. Ci scrollammo la sabbia di dosso e entrammo nella vasca per toglierci la salsedine dalla pelle. Ci stendemmo tra le lenzuola di lino del letto. Rifacemmo ancora l'amore fino a cadere sfiniti in un sonno profondo. Quadno ci risvegliammo riordinammo i nostri bagagli, scendemmo alla reception e saldammo il conto. Rimontammo in auto e dopo circa venti minuti arivammo a casa del padre di Yurani. Una villa su tre livelli, con un giardino enorme, fronte spiaggia. Il padre viveva con una compagna e due figlie, una delle quali era sorella diretta di Yurani. Fummo accolti calorosamente. Il padre era un uomo sulla cinquantina dalla pelle scura molto affabile. Cenammo sotto un gazebo a bordo piscina, e tra un bicchiere di rum e qualche sigaro ,pareva di essere il personaggio del film Blow. A fine serata mi mostrarono la stanza che avrei condiviso con Yurani, era molto più bella e grande di quella del hotel della sera prima. Appena stesomi sul letto non ebbi manco tempo di dire due parole che, sfinito e in sovracarico d' emozioni, mi addormentai profondamente.

Cap LV

‎domenica ‎16 ‎gennaio ‎2011, ‏‎01:53:17 | brainiacVai all'articolo completo
Yurani mi propose di trasferirmi da lei. Riteneva stupido che io andassi a vivere in qualche buco squallido quando potevamo condividere il suo appartamento. Fu convincente e cosi mi ritrovai ad affrontare una ennesima convivenza con una ragazza. Premetto subito che con yurani pensavo fosse una storia seria. Con lei ho convissuto un anno e passa, mai un basso, solo alti nella nostra relazione. Stranamente eravamo come un atomo, lei il nucleo che dava spessore alla nostra storia ed io un elettrone che facevo da negativo ma che giravo sempre intorno a lei. Trovai lavoro presso un bar-ristorante, dove si facevano siprattutto menu per i lavoratori degli uffici circostanti in una delle vie più trafficate di BCN. La paga era discreta, in più avevo il fine settimana libero. Con Yurani era passione e amore, non ci stancavamo mai l'uno dell'altro. Se potevamo stare assieme 24 ore lo facevamo e non pesava a nessuno dei due. Arrivò un periodo in cui addirittura si fantasticava sui nomi di ipotetici figli, di come sarebbe potuta essere la vita da "famiglia". La cosa un po' mi spaventava, ma la lasciavo correre con la fantasia perchè tutto sommato, forse in fondo all'animo, lo volevo anche io. Un pomeriggio di sabato stavamo passeggiando. Accompagnarla a fare shopping era una tragedia. Era capace di girare tutti i negozi di Barcelona in un solo pomeriggio. Snervante. Mentre camminavamo lungo una strada del centro vidi in lontananza un gruppetto di tipi rasati con bomber con qualche tipa col chelsea. Li notò anche Yurani che tenendomi per mano mi disse che forse era meglio attraversare. Le risposi che non c'era bisogno e di stare tranquilla. Quando fummo a pochi passi da quei coglioni iniziai a notare che eravamo oggetto della loro curiosità. In uno degli stronzi riconobbi Aitor. Già odoravo guai. Lo stronzo quando si rese conto che ero io si avvicino baldanzoso e con una faccia da stronzo bulletto. Mi salutò e poi mi domando che cazzo ci facessi con una "sudaka" mano nella mano. Yurani si irrigidi. Per chi non lo sapesse la parola sudaka risulta essere un insulto per le comunita di sudamericani in spagna. Un po come dire negro ad un cioccolattino. Yurani si irrigidi e ripetette nuovamente di attraversare e di lasciar perdere. Loro erano in cinque, comprese due tipe che sorridevano ad ogni cazzata che lo stronzo diceva. Aitor rincarò la dose con una serie di troiate che mi fecero veramente girare i coglioni. Ero un ragazzo, l'istinto era il mio metodo, così senza pensare sulle conseguenze mollai, di sorpresa, un pugno in pieno volto ad aitor. Lo colpì forte e dritto sul naso. Il sangue schizzo sulla mia camicia ben sherman e la cosa mi stizzi di brutto. Yurani iniziò a urlare e mi pregava di toglierci dai coglioni. Nel frattempo aitor, con le mani al volto, piangeva di dolore e cercava di tamponarsi il noso che grondava sangue. Gridai allo stronzo di ripetere quello che aveva detto, in risposta ebbi solo dei lamenti. Nel frattempo un gruppetto di curiosi si fermò per vedere cosa cazzo stesse accadendo, mi rivolsi ai soci di aitor e ringhiai se qualcun'altro aveva voglia di fare la stessa fine. Tutti calarono lo sguardo, solo una troia mi disse che l'avrei pagata ma in tutta risposta la mandai a fare in culo. Yurani mi tirò per un braccio fino ad arrivare sul ciglio strada dove fermò un taxi e salimmo. Disse al conducente di portarci nei pressi di carrer Girona e cosi lasciammo Aitor ancora in ginocchio e i suoi soci impalati come stronzi. Nel taxi accarezzai il volto di yurani e le domandai se si sentisse bene. Mi rispose che non avrei dovuto reagire in quel modo, ma le ripetetti che con certi stronzi bisogna usare le giuste modalità di comunicazione. Le sorrisi e la baciai e le sussurrai che nessuno mai avrebbe dovuto permettersi di offenderla. Scendemmo dal Taxi e entrammo in un bar che si chiamava "linda colombia" Ci sedemmo ad un tavolo e ordinammo da bere. Io andai di lager, lei prese un bacardi lime. Disse che aveva bisogno di bere qualcosa e con me cascava da dio. Trascorremo gran parte del pomeriggio in quel posto, dove entrava a ripetizione gente che lei conosceva e tra una canzone di salsa e una cumbia si fece notte. Ero sbronzo di brutto, lei anche non scherzava a livello di alcohol nel sangue, cosi mentre si era seduti con alcuni suoi amici, anche loro di origine sudamericana, yurani mi domandò se avessi avuto voglia di andare per qualche mese in colombia, a Cartagena de indios, la città dove era nata e cresciuta. Non ci pensai due volte e le risposi che per me era ok. Cosi, senza manco ragionarci su, lei si alzò si sedette sulle mie gambe e iniziò a baciarmi con molta passione. Le sorrisi e dopo qualche istante si alzò e mi prese per mano portandomi sul retro dove c'erano delle postazioni di pc. Si sedette ad una entro nel web di iberia e comprò due biglietti BCN- Medellin di sola andata.

Cap LIV

‎giovedì ‎13 ‎gennaio ‎2011, ‏‎03:06:47 | brainiacVai all'articolo completo
Nel bordello di Madame Raquel durai solo tre notti. Tre notti insonne perchè o sentivo gli ansimi e i cigolii dei letti oppure mettevo nelle orecchie a palla la musica del mio lettore. Lasciai la camera congedadomi dalla menitrice. La stessa mattina cheandai via da quel luogo mi fermai a fare una rapida colazione nel bar dove incontrai Aitor e i suoi soci. Il barista vedendomi entrare con un faccia tirata e dalle occhiaie molto profonde mi domandò, quasi prendendomi per il culo, se in quei tre giorni che non mi ero fatto vedere avessi scopato no stop. Presi un latte macchiato con un panino ripieno di prosciutto cotto e pomodori. Mentre masticavo e ascoltavo le news che la tv mandava in onda, risposi al rinco del bar che avevo quella faccia di merda perchè non ero stato capace di dormire un cazzo, tra puttane e pervertiti che urlavano. Lo stronzo rise di gusto e tornò a ripulire dei cazzo di bicchieri che aveva sul banco. Domandai di Aitor ma il tipo disse che era da quando ero scomparso io che lo stronzo non si faceva vivo. Uscito dal bar chiamai Yurani nella speranza che almeno lei fosse capace di trovarmi un posto dove poter stare tranquillo. Rispose al telefono mezza addormentata, erano solo le sette e mezza del mattino, quando non dormi il tempo non ha senso e cosi non mi resi conto della cazzo d'ora che era. Mezza rincoglionita mi rispose molto amabilmente e mi invitò ad andare da lei. Non me lo feci ripetere due volte. Schizzai a razzo verso la prima stazione della metro per raggiungere casa sua. Arrivato sotto il portone del palazzo dove alloggiava premetti sul pulsante del suo interfono. Le mi aprì e quando salì mi accolse in pigiama. Era ancora più bella in quel completino rosa con su stampato a ripetizione il marchio di hello kitty. Mi invitò ad entrare e mi domandò se avevo voglia di un caffè. Lei era ancora in preda al sonno cosi le proposi di rimetterci a letto insieme e dormire fino a quando ne avevamo voglia. Lei ancora con gli occhi socchiusi mi sorrise e disse che era una ottima idea. Tornò in camera sua ed io la seguì. Il sole astento entrava tra le feritrie delle persiane, mi spogliai nella penombra e mi misi sotto le coperte al suo fianco. L'abbracciai e finalmente dopo tre giorni trascorsi a fissare il soffitto di una camera riuscii a chiudere gli occhi nella pace più assoluta. Una sensazione meravigliosa. Mi svegliaì, nel letto che ero solo, dai buchi delle persiane non entrava nessuna luce, diedi un'occhiata all'orologia che Yurani aveva in camera, era uno di quelli digitali con i numeri color rosso. Erano segnate le 23. Ero completamente sballato. Mi alzai e feci un giro per l'appartamento, ma di Yurani non c'era traccia, cosi andai in bagno, mi feci una doccia e rimisi tutto in ordine. Entrando in cucina per farmi del caffè notai che sul piano di lavoro mi aveva lasciato una nota. c'era scritto che era andata al lavoro e che sarebbe rientrata per le undici. Manco due secondi dopo che avevo posato il foglietto sul tavolo sentì la porta che si apriva. Le andai incontro, ero solo in boxer, lei sorrise ed esclamò che era tempo che non vedeva nel suo appartamento un uomo in boxer che l'aspettasse. Sorrisi e le domandai se voleva del caffè. Si ripropose la stessa scena della mattina in parte inverse,così, con un sorrisone stampato su quel viso meraviglioso, mi propose di andare a letto invece di bere del caffe, ma questa volta non fu per dormire...

Cap LIII

‎mercoledì ‎12 ‎gennaio ‎2011, ‏‎01:07:50 | brainiacVai all'articolo completo
Ognuno è nato per seguire una strada. C'è chi lo capisce subito qual'è il suo percorso, chi,invece, non riuscirà mai a trovare la giusta via. Ma se va bene perdersi, allora fanculo alla retta via. Avevo inziato una relazione con Yurani, ognuno, però, se ne stava a casa sua. Io ero stracotto di lei, lei per come parlava anche. Oramai giungeva l'estate, che con se portava un carico di novità. La più clamorosa fu la chiusura del risto dove lavoravo. I capi avevano avuto delle forti rogne in italia, uno dei soci fu arrestato per traffico di stupefacenti e di conseguenza dovette mettere da parte i suoi affari per salvarsi il culo. Di conseguenza oltre al posto di lavoro persi anche il posto dove alloggiavo. Un mattina fui chiamato da Joan, il portiere che mi consegnò una lettera della "fiscalia" della città di BCN, dove dichiaravano che il suddetto appartamento veniva preso sotto custodia dalle autorità giudiziarie come cauzine di non so che casino. Diedi la lettera a Joan che leggendola strabuzzo gli occhi domandandomi cosa stava accadendo. Gli spiegai per grosse linee i casini che c'erano sotto e lui incredulo commentò che mister x e amici gli diedero sempre l'impressione di essere dei gran signori. Diedi una pacca sulla spalla a Joan e avviandomi verso l'ascensore gli dissi che i gran signori sanno essere più figli di puttana di un pappone. Raccolsi le mie cose, feci una doccia e salutai quell'appartamento strafigo che era stata casa mia per molti mesi. Uscito dall'ascensore lasciai le chiavi a joan e lo salutai con una poderosa stretta di mano. Mi domandò dove sarei andato e gli risposi che Barcelona era enorme e che un posto per me sarebbe saltato fuori. Economicamente stavo in una botte di ferro. Il mio conto veramente era bello cicciotto, cazzo. Mai in vita mia avevo pensato che sarei stato capace di mettere da parte tanta grana. Ma la provvidenza mi fu vicina e grazie ad una serie di colpi di culo potevo definirmi una persona benestante anche con un lavoro bruciato. Andai alla metro mi inbucai per uscirne dopo circa trenta minuti in Plaza Catalunya, da li mi feci tutta la rambla a piedi, per poi entrare nel barrio gotico dove tra una traversa e l'altra rientrai nel bar di javi dopo un bel tot di tempo. Quando il coglione mi vide sputò un sorriso. Era la prima volta che lo vedevo sorridere. Gli diedi la mano e quando me la strinse mi domandò come si andava ed io gli risposi che tutto sommato c'era gente messa peggio di me. Disse che non avevo tutti i torti e poi commentò che aveva saputo della chiusura del ristorante. Mi feci una serie di birre in compagnia del socio javi, e tra una bottiglie a l'altra presi un po' d'informazioni su posti dignitosi dove prendere una camera in fitto. Javi era un tipo ok. Aveva un bel pelo sullo stomaco e da ex carcerato sapeva trattare molto bene con gli spurghi. Ma era un socio e di lui non dico che mi fidavo ma quasi. L'averlo aiutato quella notte a stendere i due magreb mi aveva dato molti punti ai suoi occhi, e tra gente come noi, che viene dal basso, la lealtà è un qualcosa che ha significato più di gesù cristo per il papà. Fu stesso lui a procurarmi un posto dove dormire. Fece una chiamata e parlò con una donna. Quadno fini la chiamata mi spiegò come arrivare e che non era molto lontano da li. Disse che era un posto pulito e abbastanza centrale, che la padrona di casa era una tipa ok e che essendo stato raccomandato da lui non avrei avuto rotture di cazzo. Lo ringraziai, ma lui non volle convenevoli cosi mi feci un altro paio di birre e mezzo sbronzo mi incamminai verso casa di questa Raquel Batran Gongalez. Mentre percorrevo le vie seguendo le indicazioni che m'aveva passato javi chiamai Yurani. Le spiegai un po' della faccenda e le dissi che stava andando a sistemarmi in un nuovo posto. Lei si preoccupo' e mi disse che se avessi avuto voglia lei avrebbe finito di lavorare verso le ventitre. LE dissi di non preocuparsi e che ci saremmo visti l'indomani. Mentre ero quasi arrivato passai davanti un bar. Non so come ma l'occhio mi cadde dentro e riconobbi in alcuni ragazzi i colori della mia tribù,il richiamo fu forte, senza curarmi del pericolo decisi di entrare dentro. Una volta entrato fui fulminato da una serie di sguardi. In queste situazioni puoi rimetterci il culo. Se sgarri in posti del genere puoi veramente finire all'ospedale su una sedia a rotelle. Mi avvicinai al banco e chiesi una birra. Fui affiancato da due ragazzoni, andavano con wrangler a sigaretta polo e adidas nere, come il sottoscritto. I miei tatuaggi visibili non portavano significati politci,quindi per loro ero solo una fottutissima incognita. Riconobbi sulle braccia di uno di loro delle rune cosi intesi chi avevo davanti. Iniziai a fischiettare una canzone degli skrewdrivers, il tizio che mi si sedette di fianco riconoscendo il motivetto sorrise e disse al barista che il giro lo avrebbe offerto lui. Lo guardai amichevolmente e gli dissi che accettavo solo se poi lui avrebbe accettato il mio di giro. La tensione svani in una cazzo di risata e pacche sulle spalle. -Mi presentai ai ragazzi e facemmo quattro chiacchiere. Mi dissero che erano una crew che avevano in quel bar uno dei pochi posti dove nessuno gli rompeva il cazzo, cosi ,commentai, che ora avevano un fegato rovinato in più con cui sbronzarsi. Il tipo con cui parlavo e che pareva essere il capoccia della brigata si chiamava Aitor. A differenza mia, loro erano dei fottutissimi nazisti. La politica mi ha sempre scoglionato, ma tutto sommato Aitor pareva un tipo ok e ovunque andassi sapevo che la mia tribù m'avrebbe ripreso. Passarono le ore, ed ero sempre più sbronzo. Domandai ad aitor dove cazzo si trovasse questa Raquel batran, domando' al barista che sorridendo mi disse che era a due portoni più avanti sullo stesso lato della strada. Sorrisi e gridai a tutta la brigata che per me era venuta l'ora di togliermi dai coglioni. Aitor mi strapppò la promessa di rivederci più spesso e che era intenzionato a portarmi a qualche concerto. gli strinsi la mano e salutai il resto della brigata. Uscito fuori mi resi conto che il sole aveva già salutato le strade. Arrivai al palazzo di questa raquel, bussai e una voce rauca da fumo domandò chi fossi. Risposi che ero stato mandato da Javi, la porta si aprì e la voce mi disse di salire al quinto piano. Arrivato alla pianta numero cinque fui accolto da una donna che aveva passato i quaranta. Fisico asciutto e lineamenti che lasciavano presuppore che da giovane doveva essere una bella figa. Si presentò con il nome di raquel, le strinsi la mano ed entrammo. Casa sua era come un insieme di case, mi spiego. Praticamente questa Raquel era proprietaria di due piani di questo palazzo che aveva unito e a sua volta suddiviso in una serie di camere con bagno. Mentre camminavamo per il corridoio notavo che in alcune stanze erano presenti delle ragazze di diversa nazionalità che si intrattenevano con uomini di diversa età. Ero finito in un fottutissimo casino. Domandai alla signora Raquel se mi trovavo in un bordello e lei guardandomi qusi con disprezzo disse che quello non era un bordello, ma una casa d'appuntamento di classe. Mi mostrò la camera, effettivamente era pulita e molto moderna, le chiesi quanto le dovevo cosi lei mi rispose che prendeva sempre l'intera settimana e che poi erano cazzi miei se la finivo o meno. Mi chiese solo 150euro in nome dell'amicizia che aveva con Javi. LA ringraziai e le passai le banconote. Quando mi sedetti sul ciglio del letto mi fermai a riflettere su quanto fosse strana la vita, m'ero svegliato in un letto da mille e passa euro in un appartamento nella zona dei riccaccioni catalani ed ora mi sarei addormentato in un fottuto bordello in una delle zone meno chic della città.
Dalla parete accanto sentivo il cigolio di un letto e gli sbafi di qualche grassone che si stava montando qualche ragazza sudamericana. Cacciai fuori il mio lettore portatile misi gli audicolari e sparai a palla i Motorhead :

[...]Hear the music coming, loud as you can stand,
You will never be the same again,
Let the beat into you, let it turn you 'round,
Let it be your best friend,
You are the future, it's your time,
You and you and you,
Stay together this is yours and mine,
What we're gonna do [...[


Intermedio 8

‎martedì ‎11 ‎gennaio ‎2011, ‏‎01:52:28 | brainiacVai all'articolo completo
E venne il giorno. Gelido vento, oscuro è il cammino come la notte più lunga dell'anno. Non ho voglia di camminare, lascio cadere le mie membra stance ai piedi di un cipresso. Una civetta loda la luna, il mio cuore smette di battere. Devo andare, la strada improvvisamente da piana diventa ripida e tortuosa. Mi ritrovo in groppa ad un nessuno in mezzo a un gruppo di nessuno. Iniziamo la passeggiata senza sapere il perchè, sappiamo solo che bisogna arrivare, dove non lo sa nessuno. La stessa civetta conta i nostri passi, ad ogni metro urla qualcosa al gelido vento. Scendo dalle spalle del mio nessuno, lo lascio riposare. Indosso uno cilindro sul capo, le gambe ricoperte sono da un pantalone nero in cotone e sul torace porto una camacia bianca con le maniche arrotolate fin su il gomito. Ripiombo in groppa al mio nessuno e con un bastone da passeggio picchio i suoi fianchi affinchè vada sempre più v eloce, perchè è tardi. Arriviamo in vetta. L'aria è sempre più fredda e il buio sempre più oscuro. Mi ritrovo in una sorta di piazzale. Il pavimento è fatto da sanpietrini, tra l'uno e l'altro dell'erba vien fuori come a voler divorare quel pavimento. Al centro del piazzale c'è un ufficiale di brigata di spalle. Pronto con una spada ad eseguire l'ordine di legge. Il mio nessuno scompare nella notte. Mi avvicino all'uficiale e senza che lo voglia sento la mia voce che dice che son pronto. Lui si volta, il suo viso è solo scheletro, mi toglie il cilindro mi arrotola il collo della camicia bianca, fa cenno a due soldati in divisa bianca di avvicinarsi. Uno di loro mi lega una corda al collo l'altro mi ordina di correre in cerchio. Sento le suola delle scarpe consumarsi ad ogni passo sfregando sui sanpietrini. Il mio fiatone si nebulizza in vapore nella gelida notte. Continuo a correre finchè posso, alla fine l'ufficilae mi prende per mano, mi fa inginocchiare su di una grossa pietra al centro del piazzale e infila la sua sciabola nella mia gola. Il freddo della lama si fonde col caldo sangue del mio corpo. E dopo fu solo buio

Cap LII

‎lunedì ‎10 ‎gennaio ‎2011, ‏‎01:29:56 | brainiacVai all'articolo completo
I nostri incontri si tradussero in storia una piacevole sera di un lunedi. Erano ormai settimane che appena potevo cercavo di "estorcerle" un appuntamento e il più delle volte ci riuscivo. Quel lunedi andai a prenderla sotto casa. Non vivevamo molto lontani, una passeggiata di trenta minuti era tutto quello che ci separava. Bussai al suo interfono e lei mi chiese di aspettare cinque minuti. I cinque minuti di una donna sono sempre moltiplicati per almeno altri cinque, ma quando sei preso non ci pensi. La vidi scendere dalle scale,all'epoca capii l'effetto che puo' fare un bellisimo volto e non solo ad un uomo. Ero completamente perso di lei. La necessitavo come l'aria, era puro ossigeno per la mia anima, ristoro per la mia mente. Fino ad allora ci vedevamo solamente sotto mentite spoglie d'amici. Mentre passeggiavamo per la diagonal le presi la mano, lei strinse forte e continuavamo a parlare di tutto. Ci fermammo in un bar per bere qualcosa. L'aria primaverile era piacevole. Le strade profumavano di vita e il mio cuore era stretto nelle sue mani. Lei prendeva sempre un cappuccino senza cacao sulla spuma, conoscevo ogni sua piccola abitudine. Prima di bere metteva sempre due bustine di zucchero che apriva sovraponendole. Poi con il cucchiaino girava per qualche secondo, prendeva la tazza con le due mani e dava sempre un primo lungo sorso. Quel giorno vide per la prima volta le mie braccia scoperte, prese tra le sue mani il mio braccio destro e sorpresa osservava incuriosita i miei tatuaggi. Mi domandò del perchè e le risposi che era buona norma non fare mai tale domanda ad una persona che porta sulla pelle delle emozioni marchiate per la vita. Mi guardò sorpresa e la rincuorai promettendole che prima della fine del nostro incontro le avrei raccontato del perchè di quei ricordi. Mi sorrise, il mio cuore si illumino. Io ero la luna, lei il sole, in quel periodo brillavo di luce sua. Ci incamminammo verso la metro. Decidemmo di andare a passeggiare nel parco Guell. Arrivati al parco ci incamminammo per delle scale, che in una esplosione di colori ci portarono fino ad uno spiazzale panoramico. Da li avevamo Barcelona ai nostri piedi. Il tiepido sole accarezzava la nostra pelle. L'abbracciai da dietro e la strinsi contro di me. Lei gettò la testa all'indietro e sollevò il mento, mi chinai su quel viso che mi faceva viaggiare per posti ignoti ma stupendi, per spiagge dalla sabbia bianca ed acqua cristallina, la baciai per la prima volta con dolcezza. Senti una sensazione indescrivibile, era come se avessi baciato la vita. Lei si girò verso di me, strinse il mio collo tra le sue braccia e mi portò a se. Restammo li per qualche minuto, volevo che il tempo si fermasse. La stessa sera finimmò per cenare a casa mia. Le preparai un semplice piatto di bucatini alla puttanseca. Il nome la incuriosi e le spiegai che a napoli si racconta che era il piatto favorito dalle donne di strada, perchè rapido e buono. Sorrise e mangiò di gusto. Dopo cena ci accomodammò nella living room, ci sedemmo sul divano e lei si raccolse vicino a me. Mi disse che era venuta l'ora di spiegarle di quei disegni, cosi sollevai la manica della maglietta fin sulla spalla e provai a esprimerle le emozioni che ognuna di quella linea raccontava. Mi domandò se avessi sofferto e le risposi che nella vita per avere qualcosa di bello devi sempre soffrire. In quel momento la baciai e le nostre labbra non si staccarono più. Facemmo l'amore per tutta la notte, fino a cadere sfiniti in un sonno instabile. Alle prime luci dell'alba che facevano capolino sulle strade di Barcelona, aprii gli occhi, lei era distesa sul divano seminuda, avvolta nella mia maglietta. Gettai lo sguardo alla finestra e quello stato di quasi giorno mi trasime l'impulso di stringere ancora più forte tra le mie braccia Yurani. Lei si svegliò col sorriso, le dissi che era tutto ok, che era presto, troppo presto perchè tutto finisse...

Cap LI

‎domenica ‎9 ‎gennaio ‎2011, ‏‎01:07:44 | brainiacVai all'articolo completo
Il giorno dopo la chiamai. Ci dammo appuntamento fuori l'uscita della metro della Sagrada Familia. Arrivai in netto anticipo. Mi sedetti su una panchina davanti ad un chiringuito che friggeva churros. Comprai una birra per ingannare il tempo. Nella testa mi ballavano mille pensieri. Era la tipa giusta? m'avrebbe dato buca? Una cosi che cazzo poteva trovarci in uno come me? Decisi di fottere tutte le domande con l'alcool, mi avrebbe tolto lucidità ma anche una buona parte di timidezza. Quando poi la vidi salire le scale della stazione il cuore mi balzò in gola. Aveva i capelli raccolti in una coda, indossava un jeans aderente con un felpa grigia con capuccio, delle adidas smith nere e degli occhiali da sole. Era ancora più bella del giorno prima. Mi alzai dalla panca e le andai incontro. Quando mi vide il suo volto s'illumino con un sorriso meraviglioso. LA differenza d'altezza era notevole, mi piegai verso di lei per salutarla e quando sentii le sue labbra carnose sulla mia pelle il cervello fece tilt. Sbofocchiai un saluto, ero nervoso, la sua bellezza m'imbarazzava. Lei notò il mio stato d'animo, e ad ogni mia caduta linguistica rispondeva con un solare sorriso. Decidemmo di fare due chiacchiere passeggiando per le strade di questa città meravigliosa. Il suo nome completo era Belen Yurani, ma preferiva che con lei si usasse solo il secondo nome, forse perchè le dava ancor più quel tocco esotico che meravigliosamente era visibile nei suoi lineamenti. Era una ragazza nata in spagna da genitori colombiani. I suoi erano divorziati e cosi il padre, facoltoso proprietario terriero, era tornato nel suo paese natale dove aveva venduto parecchi possedimenti per aprire una serie di supermercati. La madre, invece, era rimasta a vivere in spagna e s'era rifatta una vita con un'altra persona. Lei, cresciuta e innamorata di BCN, mi spiegò che spesso andava in Colombia, perchè con il padre aveva una relazione molto forte, meno con la madre. Lavorava nel ramo della pianificazione d'eventi da qualche anno, la cosa le piaceva e le aveva permesso di conoscere parecchi personaggi e personaggetti del jet set. Mentre parlava il suo spagnolo con un accento volutamente sudamericano, ma cosi incantevole, pensai che questa ragazza non era fatta per me. Nel senso che avevo maledettamente paura di ritrovarmi in una situazione stile quella con Alessandra, ovvero estrazione di classe differente e differente maniera di guardare la vita. In quel momento cercai però di scacciare quel pensiero e di prendermi quella storia cosi come sarebbe venuta. Arrivammo nei pressi di rambla girona, molto meno conosciuta della più turisticizzata Ramblas che va da plaza Colon a Plaza catalunya, ma molto più bella ed intima. Ci sedemmo ad un tavolino di un bar e ordinammo da bere. Lei prese un capuccino accompagnato da un cornetto, io, non volendo subito dare l'impressione del beone, ordinai un irish coffè. Dopo che lei parlò ininterrottamente per tutta la "passeggiata", venne il mio turno. Le raccontai del mio girovagare da un posto all'altro, dei vari lavori fatti, omettendo la parte piccante olandese, e di come mi ero ritrovato a lavorare a Barcelona fortuitamente. Lei la vedevo molto presa dalle mie parole, quasi sorpresa. Quando finii di raccontare per grosse linee la mia di vita lei mi confidò che non s'aspettava che un ragazzo di soli 26 anni avrebbe potuto fare tutto cio', ed io in tutta sincerità le confidai che una persona a 26 anni potrebbe fare anche il doppio di quello che feci io, il tutto sta nel volerlo. Lei mi sorrise ancora una volta e disse che forse avevo ragione. Iniziammo cosi a parlare di cose meno impegnative, lei adorava assaggiare la cucina italiana e cominciò col bombardarmi di domande, colsi la palla al balzo e le dissi che una sera potevamo cenare a casa mia. Notai sul suo volto un sorriso arguto e mi fece notare che non perdevo tempo. Le risposi che perdere tempo era un vizio che mi concedevo rare volte. L'irish coffè mi infuse quel po' di spavalderia che cercavo nel quantitativo di alcool nascosto tra panna e caffè, e mentre lei sorseggiava il suo cappuccino le domandai come facesse, lei curiosa mi domandò cosa ed io le risposi che non riuscivo a capire come facesse ad essere cosi bella. Dopo questa mia affermazione segui un lungo momento di silenzio, imbarazzante, che finì grazie al cameriere che portò il conto. Pagai e quando ci alzammo per rimetterci a camminare lei mi si avvicinò e mi prese per mano. La strinsi forte e mentre camminavamo mi sussurrò che anche io non ero male, che avevo degli occhi stupendi. Ai suoi complimenti arrossì e lei sorridendo me lo fece notare. Ridetti nervosamente e sempre mano nella mano ci incamminamo verso una fermata della metro.

Cap L

‎sabato ‎8 ‎gennaio ‎2011, ‏‎01:43:38 | brainiacVai all'articolo completo
La primavera era ormai quasi la stagione corrente. Le giornate si allungarono e con esse la voglia della gente di trascorrere del tempo per strada. Ogni volta dopo il lavoro passavo lungo carrer valencia per poi entrare nel mercato rionale della zona. Ci trovavi sempre cose fresche e provenienti da ogni cazzo d'angolo del pianeta. I prezzi poi erano ottimi e cosi non mi dispiaceva farmi un oretta a piedi per raggiungere la zona. I mercati a barcelona li organizzano in delle strutture in ferro e vetro. Degli enormi capannoni incastrati tra palazzi d'epoca, al di sotto dei quali ci trovi fruttivendoli, pescherie, macellerie e quant'altro si possa mangiare. Ero solito comprare in quel posto. Facevo sempre il mio giro pellustrativo per poi fiondarmi sulla merce che più attirava la mia attenzione. Un pomeriggio ero li che sceglievo della frutta e sulla mia destra notai con la coda dell'occhio una ragazza stupenda. Continuai con no chalance a visionare la merce sul banco ma ero attentissimo ad ogni movimento della dama. Era alta sull'uno e sessanta, capelli lisci e neri, un colore della pelle esotico e un viso cosi stupendo che non smetteresti mai di guardare. Incrociai il suo sguardo, lei sorrise per un istante e tornò alle sue scelte. Ero li come un deficiente che riempivo la mia busta di pomodori, come un automa mettevo e mettevo dentro, con l'attenzione rivolta sempre ai movimenti di questo splendore di ragazza. Non ebbi palle per rivolgerle la parola, cosi dopo che lei pagò la sua spesa scomparve tra le varie bancarelle ed io mi ritrovai solo e con una busta piena di pomodori. Tornai più di una volta in quel mercato, nella speranza di rivederla e cacciare fuori i coglioni per dirle almeno un " ciao Come va", ma invano. Mi rassegnai a non vederla mai più. Dopo circa un paio settimana il nostro ristorante fu scelto da una coppia di futuri sposi per il pranzo nuziale. Di queste cose se ne occupava sempre Robert, avevamo già dei menu preassemblati da mostrare ai clienti. La coppia chiese se era possibile contrattare una agenzia di eventi per poter organizzare qualcosa di divertente durante il pranzo. Robert rispose che era cosa normale e domandò ai signori se avevano qualche nome in concreto. La ragazza ci pensò un po' su e poi fece un nome. vidi Robert assentire con la testa e dire ai due che si sarebbe occupato lui di prendere contatti con tale agenzia. Dopodicchè i due passarono nell'ufficio del contabile per versare l'anticipo .Un paio di giorni dopo Robert prese appuntamento con questa agenzia e quando questi organizzatori vennerò all'appuntamento per discutere di un po di cose rimasi a bocca aperta. Tra i responsabili c'era anche lei, la misteriosa ragazza che mi aveva praticamente fulminato qualche settimana addietro. Quando la vidi entrare con altre persone accennai ad un saluto da lontano, la tipa si fermò a fissarmi e con un sorriso della serie " non so chi cazzo sei ma ti saluto per cortesia" fece un cenno del capo e segui la fila di persone nell'ufficio per discutere di chissà quali cazzi. Al mio fianco c'era uno dei miei collaboratori, che essendo molto curioso, mi domandò se conoscessi quella ragazza che avevo salutato. Per fare un poco il figo dissi al tipo che si che la conoscevo, che si andava a fare spesa assieme e che di tanto in tanto ci si scambiava due chiacchiere. Quando la combriccola uscì dall'ufficio risalutai la tipa nuovamente con un sorriso al che lei si avvicinò e guardandomi con un certo interesse mi domandò se noi due ci conoscessimo. Sentì scappare una risata al ragazzo che avevo al fianco. La situazione era un po' imbarazzante ma era la mia occasione per poterle rivolgere la parola cosi come fantasticavo ogni volta che mi recavo al mercato nella speranza che lei cifosse. Le risposi che non ci conoscevamo, ma che compravamo nello stesso mercato, poi sorridendo le proposi di andare insieme un giorno a fare la spesa, cosi da poterle consigliare sui prodotti migliori. I suoi occhi mi stavano mandando in tilt, avevo la bocca che sputava parole senza senso ed ero cosciente che stavo facendo la figura dell'idiota. Dopo aver detto una serie di stronzate la tipa mi sorrise e mi chiese di dove fossi, le risposi che potevo soddisfare la sua curiosità davanti una buona tazza di cioccolatto uno di questi pomeriggi. Mi sorrise e dalla sua borsetta tirò fuori un biglietto da visita ed una penna con la quale sottolineò un numero al fianco del quale scrisse il suo nome. Mi passò il bigliettino e mi salutò. Ero paralizzato. Cosciente di aver fatto la figura dell'idiota ero però risuscito a strapparle il suo numero di telefono. Lo stronzo al mio fianco rimase senza parole, peggio di me, cosi mi girai verso di lui, strizzai l'occhio e gli dissi che noi italiani " Do it better" queste cazzate. Riposi il biglietto con cura nel mio portafogli non prima di aver letto il suo nome, yurani. Sicuramente non doveva avere origini spagnole Yurani, ma non vedevo l'ora di chiamarla e sperare che accettasse un mio invito.

Cap XLIX

‎venerdì ‎7 ‎gennaio ‎2011, ‏‎02:27:02 | brainiacVai all'articolo completo
La padronanza della lingua mi aiutava anche a inserirmi meglio nella vita di tutti i giorni. In quasi due mesi dominavo abbastanza bene lo Spagnolo standard, in più potevo anche incamerare una chiacchierata sul cazzo in Catalano. Il lavoro andava da dio, il conto in banca si gonfiava e le sbronze nel bar di Javi mi davano quel brivido in più un paio di volte la settimana. Le piccole novità che avevo inserito nella mia sezione avevano riscontrato un certo successo, spesso la sala era piena solo per provare i primi piatti che io e la mia squadra di due ragazzi mettevamo su. Questo provocò qualche attrito con un certo Juan Camilo, un coglione sudamericano che lavorava nelle cucine da quando avevano aperto il locale e che era addetto ai piatti a base di carne. Più di una volta ci eravamo scontrati verbalmente su alcune faccende e lo stronzo, anche se più vecchio di me di almeno 15 anni, fu spesso sul punto di prendersi una bella paga dal sottoscritto. La sua reazione era autentica gelosia. Una sera, in pieno lavoro con comande che arrivavano da tutte le parti, lo stronzo decise di farmi veramente incazzare. Dovevamo spiattare un casino di primi nell'arco di cinque minuti. Cosi mentre organizzavo il tutto con i miei ragazzi il pezzo di merda inizia a gridarmi contro. Facevo finta di non ascoltarlo, era li che la menava sul fatto che qualcuno avesse toccato dei composti nel suo frigo. Io non ne sapevo un cazzo, ma dato che lui era li a rigirarsi i pollici perchè ora la gente veniva per assaggiare i miei primi piatti, decise di ricevere un bel calcio in culo. Praticamente ero li a fare la messa in piatto e lo stronzo mi strattona per un braccio facendomi sporcare un cazzo di piatto pronto per uscire. Avevo tra le mani un mestolo piano in acciao. Senti la rabbia salire nel cervello e farmi scoppiare i neuroni. Il mio impulso fu quello di colpire lo stronzo con l'arnese che avevo in mano in pieno volto. E così feci. Il colpo fu bello tosto e il coglione cadde a terra sulle ginocchia urlando come un maiale nel mattatoio. Tutti si bloccarono, urlai di riprendere a lavorare e ringhiai a tutti di farsi i cazzi loro e continuare con la catena. Continuai senza scompormi a servire le prenotazioni. Nel frattempo lo stronzo sudamericano si tolse dai coglioni e si chiuse nel cesso. Uscì solo a fine lavoro. Dovevano essere quasi l'una di notte. Io ero rimasto con un paio di persone a controllare la pulizia della cucina, vidi la merda aprire la porta del cesso di servizio e venire sparato contro di me. Avevo sul viso la forma del manico del mestolo rosso vivo. Mentre si avvicinava iniziò nuovmaente ad urlarmi contro, e mentre sbraitava prese un coltello per sfilettare il pesce e me lo puntò contro. Ero sicuro che il colgione non avrebbe avuto le palle per fare nulla ma io volevo chiudere i conti con lo stronzo. Presi una padella antiaderente dall'armadietto delle stoviglie e intimai al coglione di posare il coltello e andarsene a fare in culo a casa prima che gli avessi rotto veramente la testa. Lo stronzo in tutta risposta continuava a gridarmi contro e si avvicinava con sto cazzo di coltello in mano. Così, senza manco più dire nulla, impugnai la padella come fosse una racchetta da tennis e colpi con uno smash la mano dello stronzo che impugnava la lama. L'impatto fu tremendamente violento. Ero sicuro d'avergli rotto le ossa della fottuta mano. Camilo si piegò in due dal dolore e lasciò cadere l'arnese a terra. Accorsero il capo camerieri e il contabile del ristorante che vollerò subito sincerarsi delle condizioni del coglione. Mi avvicinai anche io, lo stronzo era li che si stringeva la mano gonfia da fare schifo e che piangeva come una merda. Quando fui vicino a quel sacco di merda, notai una puzza schifosa di alcol. Lo feci notare anche agli altri presenti che confermarono la mia impressione. Andai nel bagno dove era rimasto chiuso tutto il tempo e sul pavimento erano riverse un paio di bottiglie di rum da invecchiamento che erano parte della cantina del ristorante. PResi i vuoti di bottiglia e li portai in cucina. Quando il capo dei camerieri vide le bottiglie vuote si mise le mani nei capelli e commentò che quelle cazzo di bottiglie erano delle rarità fatte venire appositamente dal Venezuela. Mi informò che erano costate sui 150 euro l'una e che per riprenotarle sarebbe passato un casino di tempo. Lo stronzo era li che continuava a piangere così dissi ai due ragazzi che pulivano di rivestirsi, accompagnare la merda in ospedale e dire che era caduto a terra perchè sbronzo. Il contabile, Artur, si offrì di andare anche lui e cosi i quattro si tolsero dai coglioni. Rimasi solo con Robert, e chiacchierando gli spifferai che quel camillo doveva essere fatto fuori. Robert storse il naso e mi disse che era difficile togliersi quel beone dalle palle perchè era uno dei più anziani e per farlo fuori si sarebbe dovuto metter mano al portafoglio con una buona indennizazione. Li eravamo tutti assunti in regola, quindi lo stronzo avrebbe potuto piantare un bel casino, ma il fatto che fosse stato preso ubriaco con bottiglie di valore del ristorante, sicuramente avrebbero deposto più a favore mio che suo. Robert convenne che effettivamente avevo ragione, ma mi invitò a pensarci bene sopra confidandomi che il coglione in casa era l'unico che lavorava e che aveva una famiglia abbastanza numerosa. Rimasi in silenzio qualche secondo e mi congedai da Robert con la promessa che ci avrei pensato sopra. Uscito dal ristorante chiamai un taxi, e mentre ero li nei sedili posteriori partorii l'idea che forse era meglio sorvolare e spiegare bene allo stronzo che da quel giorno in poi non avrei più tollerato le sue cacciate da stronzo etilico. L'indomani appena entrato in ristorante mi diressi spedito nella cucina. Trovai Camillo con la mano fasciata che, messa in un guanto, provava a lavorare. Quando entrai lo chiamai e lo invitai ad uscire nel retro per fare due chiacchiere. Gli dissi che per me la storia era finita li, ma che se avesse rifatto una sola cazzata avrei fatto di tutto per farlo mettere col culo per strada. In tutta risposta, quella botte di merda mi urlò in faccia che ero uno sporco razzista. Incrociai le braccia, poggiai la mia schiena contro la parete e guardandolo dritto negli occhi gli domandai se stesse già ubriaco a quell'ora della mattina. Rispose che questi erano solo cazzi suoi, cosi chiamai Robert che era appena arrivato e lo feci venire fuori nel retro insieme anche al contabile. Esposto l'accaduto domandai ai due che cazzo fare. Lo stronzo non era disposto a collaborare. Robert provò a far ragionare il coglione, ma non ci fu verso. La scimmia continuava a saltellare e a ripetere come un disco graffiato sempre la stessa cosa, ovvero che io ero un razzista e che uno di 26 anni non lo avrebbe mai comandato. Andai nell'ufficio del contabile, presi il telefono e chiamai al mio benefattore. Dopo le prime chiacchiere del cazzo sul tempo e la salute gli spiegai il casino che era successo, mi disse che la decisone ero libero di prenderla in totale autonomia e che lui confidava nel mio buon senso, e detto da un coglione che era stato ripreso dall' aldila per i capelli, non era certo un complimento. Per darmi pieni poteri davanti gli occhi di tutti inviò un fax, dove metteva nero su bainco che quella decisone sarebbe stata presa da me e da lui eseguita. Presi il foglio e lo portai fuori dove Robert e l'altro ancora provavano a far ragionare lo stronzo. Passai il foglio ai due e senza manco dire una parola chiesi a camillo se era disposto a calmarsi o no. Robert passò il documento allo stesso camillo, che una volta letto strinse i pugni per la rabbia. gli domandai ancora una volta cosa cazzo volesse fare e il coglione mi rispose che tutto sommato anche per lui la faccenda poteva essere chiusa li. Così rientrammo tutti in cucina, io mi andai a cambiare e rientrato alla mia postazione cominciai a lavorare. Da quel giorno Camillo non diede più nessun problema, nè a me nè a nessun'altro...
Dal momento che l'amore e la paura possono difficilmente coesistere, se dobbiamo scegliere fra uno dei due, è molto più sicuro essere temuti che amati

XLVIII

‎giovedì ‎6 ‎gennaio ‎2011, ‏‎01:22:14 | brainiacVai all'articolo completo
Barcelona è una città stupenda. Fino a quando non c'avevo messo piede, per me, la Spagna poteva pure non esistere, troppo fissato con il nord europa. Ma da quel momento consideravo quel posto casa mia, e così è tutt'oggi. Il ristorante dove lavoravo era uno di quei posti tutti fusion. Arredamento dalle linee moderne, arredamento essenziale ma elegante, servizio medio alto. Ho lavorato in parecchi posti abbastanza importanti in italia, quel ristorante doveva essere il mio definitivo trampolino di lancio o almeno questo pensavo. I primi tempi fu duro. Il personale mi vedeva come un intruso e avendo un certo ruolo di comando non ero visto di buon occhio perchè tutti sapevano che ero li grazie al "padrone". Non tardai, però, a guadagnarmi la fiducia lavorativa di tutti. Essendo stato abituato a lavorare ai ritmi napoletani per me quelli degli altri posti sembravano più che altro pause pranzo. Cosi in poche settimane consolidai la mia posizione ed ero quasi diventato un punto di riferimento . Ero intenzionato a mettere la testa a posto. Era una occasione unica, caduta dal cielo, ma nella mia vita ci sono sempre, per l'appunto, dei "ma". La strada ha sempre avuto una inflenza magnetica su di me. Per quanto abbia provato a starci lontano non sono mai riuscito a mettere un punto di chiusura. Poi oltre il richiamo della foresta urbana un altro fattore che mi ha portato sempre a complicarmi la vita sono state le donne. Durante le ore lavorative ero impeccabile. Nel tempo libero facevo quello che cazzo mi passava per la testa. Ovviamente nella zona in cui vivevo non si trovavano posti beceri dove sbronzarsi, ma fortunatamente nei pressi del mio sito di lavoro di luoghi del genere c'è ne stavano ogni tre passi. La zona del risto era proprio nel cuore del turismo di Barcelona. A pochi metri c'era la Rambla, da li era una cazzata raggiungere el barrio gotico. Come in ogni metropoli, i centri storici, sono poi circondati da vie e viuzze malfamate, dove puoi trovarci la vera gente del posto. Cosi, forte e cosciente di questa teoria, trovai proprio in una traversa del barrio, un bar becero, frequentato sempre dagli stessi etilici e dove spesso mi fermavo per prendermi una sbronza con i controcazzi. Il locale era un buco. c'era un bancone, completamente rivestito in piastrelle di ceramica che un tempo dovevano essere di colore bianco, ma che andavano sul giallognolo, degli sgabelli lungo la barra, un televisore e qualche tavolino con l'immancabile Tragaperra, ovvero una di ste cazzo di macchinette per il gioco d'azzardo. Spesso nel bar facevano capolino delle prostitute per prendere qualcosa da bere e cercare qualcuno a cui vendere merce non più fresca. Io passavo sempre educatamente la mano, dato che non facevano per me. In questo posto ci andavo solo due sere a settimana, quando poi avevo il giorno seguente libero, in modo tale da poterci restare fino allo spuntare del sole e la riapertura della metro. Anche se non ero stato molte volte in quel cesso di bevitoio, già ero diventato un ottimo conoscente del gestore, javi, uno che pareva essere più uno spacciatore di coca stile Escobar anni 80 che un semplice barista. Puntualmente quando c'erano degli incontri di futbol il televisore era sintonizzato sulla rete che mandava in onda il calcio. In quel posto erano tutti sostenitori del FC Barcelona, a me non dispiaceva come squadra, ma sinceramente non me ne poteva strafottere un cazzo di quello che facesse. Spesso, con le bottiglie di Estrella che si accumulavano, prendevo delle patatine chips in busta o cose simili per attutire i colpi dell'alcol. Era cosa frequente che, in alcune serate finivo quasi con l'addormentarmi sul banco per il troppo alcol buttato giù, ma questo a Javi non importava. Io pagavo tutto, non rompevo il cazzo e per lui ero un socio ok. Una notte, staccato dal lavoro, come da abitudine non avendo da lavorare il giorno dopo, andai da Javi. La zona dove si trovava il bar non era delle migliori. Infatti era battuta da puttane, piccoli spacciatori e delinquentucci da quattro soldi, ma io in questa merda ci sono nato e sinceramente non avevo nessunissima paura. Mentre ero a pochi passi dal bar notai qualcosa di strano. Due tipi, che a prima vista parevano essere magrebini, entrarono in un modo molto rapido nel bar di Javi. Era già un tot di tempo che frequentavo quel posto e non avevo mai visto entrare un cazzo di arabo. Quando fui a pochi metri dall'entrata notai la figura a mezzo busto di javi ferma, quasi paralizzata come se stesse sotto minaccia. Capii che c'era qualche cazzo di problema con quei tipi appena entrati, cosi mi misi contro la parete esterna e raccolsi da terra due bottiglie vuote di birra. Senza fare casino mi affacciai sulla porta e vidi che il povero coglione di Javi era sotto minaccia dei due magreb che gli puntavano contro una cazzo di pistola. In quel momento il primo istinto fu quello di telare velocemente, ma un istante dopo scacciai tale pensiero e ragionai un momento su cosa sarebbe stato meglio fare. Mentre ero li che me la menavo notai che con gli occhi javi mi vide. Gli feci un occhiolino e lui sembrò rispondere di levarmi dai coglioni. Portai l'indice al naso per fargli capire di stare tranquillo e proprio in quel momento mi venne una idea. La porta in vetro e ferro del bar era aperta, cosi mentre javi passava i biglietti al compare del marocchino con la pistola in mano, aprofittai per mettermi davanti l'ingresso senza fare casino, presi la mira e scagliai la bottiglia di vetro contro la nuca dello stronzo con la pistola. L'impatto fu bello violento. La bottiglia si ruppe in mille pezzi al contatto con la testa dello stronzo che subito si portò le mani alla nuca e si inginocchio mollando la presa della pistola. Il compare si girò a guardarlo e proprio in quel frangente Javi saltò dal bancone e gli mollo una serie di colpi con il manico in legno di quello che era un cavatappi. Un'altro socio che era li a sbronzarsi ebbe il riflesso di tirare un calcio alla pistola per allontanarla dal magreb dolorante dalla cui testa scorreva copiosamente del sangue, io entrai nel bar e scagliai un calcio ,con la punta dei miei scarponi, in mezzo alle scapole della merda. I due erano fuori uso, Javi riprese le banconote da terra e mentre lo faceva mollo un calcio sul volto di uno degli stronzi che fece uscire da quella bocca di merda un urlo di dolore. Domandai se era tutto ok e se si dovesse chiamare i pulotti per far ripulire il locale. Javi mi disse che non c'era bisogno di far scomodare i pulotti, che già aveva avuto situazioni simili e che avrebbe chiamato quella che lui nominava, la nettezza urbana degli spurghi. Compose un numero e disse velocemente delle cose che non afferrai. Dopo la chiamata mi disse d' aiutarlo a calare la saracinesca del locale, e di legare stile pecore i due pezzi di merda. Fatto questo aprì la porta del retrobottega, che dava ad una stradina ancora più buia e di merda di quella principale.In poco tempo arrivò un furgoncino bianco dal quale scesero due tipi che senza fare domande o casini caricarono i due coglioni. Javi allungo delle banconote, i due uscirono e sgommarono. Dopo cinque minuti javi risollevò la saracinesca ripuli con un moccio fetido il sangue sul pavimento e come se niente fosse accaduto mi disse che per quella notte avrebbe offerto lui il beveraggio...

XLVII

‎mercoledì ‎5 ‎gennaio ‎2011, ‏‎01:43:30 | brainiacVai all'articolo completo
Mi ritrovai nuovamente a ricominciare da zero. Catapultarsi in nuove situazioni mi ha sempre dato una scarica di adrenalina, ma all'inizio di ogni viaggio mi sento sempre strangolato dalla malinconia. Mettersi qualcosa alle spalle, se pure è un qualcosa di merda, comunque ti lascia scosso per un poco di tempo, se poi ti ritrovi sempre solo ad affrontare tutto, allora tutto resta nella tua fottuta testa e prima o poi ne paghi le conseguenze. Mister X si sentiva in debito, acconsenti con gioia a tutte le mie richieste. Dopo la chiacchierata per telefono fu lui in persona ad accompagnarmi all' aeroporto. Fece un giro di telefonate e disse a ogni persona con cui parlò che il sottoscritto era una persona a lui molto vicina e che quindi, come tale, doveva essere trattata con i controcazzi. Tornai al mio vecchio lavoro, quello di cuoco. Il mio nuovo sponsor mi collocò, sotto mia richiesta, nella cucina di un ristorante di Barceloneta di cui era socio maggioritario. A me bastava solo un lavoro e un cazzo di posto dove stare, ma mi ritrovai ad essere il responsabile dei primi piatti e antipasti del risto in questione e venni alloggiato in un appartamento enorme a un tot di fermate di metro dal ristorante. Prima d'imbarcarmi mi ripetette ancora una volta di quanto mi fosse grato e che se avessi avuto qualsiasi tipo di problema lui c'era. Quando portai lo stronzo in ospedale non pensavo che sarei poi arrivato a tanto. Quel pomeriggio tra l'attesa di un imbarco e un merdoso caffe lungo ragionai su quanto fosse vero il fatto che far del bene, alla fine dei conti, ripaga. Ma nel mio caso, penso, fu solo culo. Una volta passato il check-in spensi il telefonino, tolsi la batteria, la scheda sim e la gettai nella prima pattumiera a vista. Pensai, fanculo Viviana, fanculo anche Alessandra ma un po' mi dispiaceva per Davide. In fin dei conti era un socio ok ma avevo il suo numero segnato a penna su una banconota da 5 euro che tenevo sempre conservata in una fessura del portafoglio. All'epoca non esistevano voli diretti napoli - bcn el prat. Dovetti accontentarmi di fare uno scalo a Roma per poi da li essere catapultato nella città catalana. La spagna era sulla cresta dell'onda. L'effetto Aznar e po in seguito quello Zapatero, trasformarono quel paese in una terra piena di opportunità per i giovani. Atterrato a BCN rimasi senza parole. Sentivo nell'area qualcosa che non avevo mai provato fino ad allora. Non conoscevo un cazzo di spagnolo e fu proprio guardando le varie indicazioni che venni a conoscenza del fatto che in Catalunya non si parlasse il Castellano, ma al contrario, il Catalano. Era il 2006, avevo solo 26 anni e alle spalle una vita al di sopra delle righe. Affidandomi al mio senso d'orientamento mi incamminai verso la metro che dall'aeroporto m'avrebbe dovuto portare al centro di Barcelona. Mentre attraversavo l'aeroporto mi guardavo in giro ed era proprio un cazzo di belvedere. Le lingue mi sono sempre entrate in testa abbastanza velocemente. Ero li da pochi minuti e già cominciavo a capirci qualcosa. Arrivai alla stazione metro, feci un biglietto per la stazione centrale BCN el sants e salii sulla navetta. Il tragitto non fu largo. La cosa che m'impressiono osservando fuori, durante il viaggio, era la mole di opere pubbliche colossali e private che si stavano facendo. Palazzi dalle linee moderne, rimordernizzazione della rete ferroviaria e stradale, squadre di operai al lavoro che assomigliavano tanto a formiche impazzite. Arrivato in stazione mi resi subito conto che la città era un mix di culture e razze differenti. Ma ci ero abituato, tra Londra, Amsterdam e ora Barcelona in tal senso cambiava poco. Intuì subito che la comunita' sudamericana era veramente enorme, e per un napoletano la cosa non poteva che affascinare. I ricordi delle gesta di Maradona, Careca e Alemao segnarono una intera generazione napoletana, che associarono a quei nomi una fratellanza alle terre di provenienza degli eroi in maglia azzurra. Uscito fuori dalla stazione presi il foglio sul quale mi ero segnato l'indirizzo del mio nuovo appartamento. Domandai a una ragazza informazioni su dove si trovasse quella strada e la tipa, capendo la mia totale ignoranza della lingua, iniziò con ampii gesti a indicarmi la direzione. La ringraziai, ci capì poco e cosi fatti un paio di passi mi buttai dentro un negozio di gadget e comprai una mappa della città. Uscito dal negozio notai un bar-ristorante con dei bei tavolinetti fronte strada e mi ci fiondai dentro. Mi sedetti, e aprii la mappa sul cazzo del tavolino. Venne una ragazza a chiedermi cosa volessi, le chiesi che birre andassero per la maggiore, imparai anche in questo caso una parola fondamentale "Cerveza", e la tipa pronunciò il nome di quella che da li a molti anni fu la mia bionda favorita "Estrella Dam". Ordinai quindi una birra e una baguette con pomodoro e prosciutto che poi capii essere quasi la "comida" nazionale della Catalunya. Mentre ero li che bevevo e mordevo il panino domandai sempre alla ragazza dove cazzo fossimo posizionati sulla mappa. Lei era esile con la carnagione olivastra ed un taglio d'occhi stupendo. Dovetti risuttarle simpatico o forse non aveva un cazzo da lavorare, perchè si sedette al mio fianco e cominciò ad aiutarmi a capirci qualcosa. Cacciai fuori la carta con su l'indirizzo e la tipa mi disse che la strada che cercavo era proprio dietro l'angolo. Prese la penna che aveva nel taschino e segnò un cerchio per indicare dove stavamo, poi tracciò una linea lungo una strada che partiva dal cerchio fatto in precedenza e che terminava con una croce dove inizava sta cazzo di strada. La ringraziai e lei rispose che non c'era problema con un bel sorrisone. Stavo li da poche ore, non avevo ancora visto un cazzo della città ma già me ne ero innamorato. Pagaì e salutai la tipa e seguì le sue indicazioni. Giunsi facilmente alla strada. Orami era buio pesto ache se erano appena le sei del pomeriggio. Febbraio è un mese freddo ma le strade trafficate e brulicanti di gente mi infondevano un certo tepore. Arrivai al numero civico segnato ed entrai. Quello che doveva essere un portiere mi guardò quasi intimorito e mi disse cosa volessi. Gli feci il nome del mio sponsor, lo stronzo aprì gli occhi di scatto e mi guardò dal basso verso l'alto quasi incredulo. Mi revisai pure io, sorpreso per la reazione del coglione, pensai che chissà avevo qualcosa fuori posto, come la cerniera dei pantaloni abbassata, ma a prima vista era tutto ok. Il palazzo era in una zona centrale e solo in seguito capii che era una residenza di persone che stavano abbastanza bene a livello soldi. Cosi lo stronzo entrò nella sua guardiola prese delle chiavi e mi invitò a seguirlo. Gli chiesi a che piano stesse l'appartamento, cosi tanto per fare due chiacchiere, lo stronzo iniziò a rilassarsi e mi disse che la mia pianta era all'ottavo piano. Capivo quasi un cazzo di quello che mi diceva cosi gli chiesi gentilmente di parlare più lentamente che la lingua ancora non l'afferravo. Juan, il portiere, resosi conto della situazione , con tanta pazienza, iniziò a parlare e a getsicolare come si fa con i sordomuti. Arrivati a destinazione aprì la porta e quando vidi dove sarei stato quasi mi si drizzo il cazzo. Juan mi lasciò le chiavi e mi disse che per qualsiasi cosa lui era giù fino le venti. Lo ringrazai, presi le chiavi chiusi la porta e perlustrai la casa. Era composta da un bel salone arredato in stile essential ma figo, una cucina piccolina, un bel bagno dove potevo farci una corsa e due camere da letto. Ogni stanza aveva un fottuto tv al plasma e affacciavano sulla strada principale. Posai la mia sacca in una camera da letto e mi buttai sotto la doccia. Mi diedi una bella ripulita e rinfrescata e riscesi a fare due chiacchiere con juan. Chiesi al tipo dove fosse un supermercato e le prime informazioni di sopravvivenza quali la fermata della metro più vicina e tutta una serie di domande. Una volta capito più o meno le sue risposte mi buttai in strada, individuai una cabina telefonica e tirai fuori sette otto euro in monete. Chiamai prima mia madre per avvisarla che stavo ok, poi chiamai il mio benefattore. In quel momento fui io a ringraziare lui, ma il coglione mi disse che era ancora in debito con me e che per lui ero diventato come un fratello. Lo salutai con parole cariche di riconoscenza e andai in giro per iniziare ad ambientarmi nella mia nuova città...

Cap XLVI

‎martedì ‎4 ‎gennaio ‎2011, ‏‎03:54:13 | brainiacVai all'articolo completo
Sono sempre stato un cazzo di disastro nelle relazioni con le donne. Come scriveva Palahniuk "siamo una generazione cresciuta da donne e mi domando se un'altra donna sia la risposta". Oramai con ale ci scopavo solo. Per lei provavo solo attrazione fisica. Nei fine settimana usciva con quelle merde di palle mosce, io lavoravo e cercavo di fare anche quanti più extra possibili perchè ero consapevole che da li a poco avrei salutato anche l'ennesima relazione, per andare chissà dove. Ho sempre creduto nella provvidenza, e una cazzo di notte al lavoro ebbi la mia occasione per cambiare. Stavo li a fare da filtro all'ingresso di una discoteca abbastanza gettonata. Mentre ero a prendermi il cazzo del freddo del mese di gennaio fui chiamato da un coglione di PR che mi disse che c'era uno stronzo che voleva parlarmi. Quando mi recai nel retro c'era ad aspettarmi quel coglione a cui avevo dato una mano qualche mese addietro e il povero rinco che avevo portato in ospedale strafatto di chissà quale merda. Quando mi videro arrivare lo stronzo che mi prestò il suv sorrise e disse al compare che ero io quello che gli aveva salvato il culo. Il povero stronzo s'era ripreso bene, quando stetti a pochi passi corse a stringermi la mano e a dirmi non so quante volte grazie. L'altro era li compiaciuto, che mi sbatteva la mano sulla spalla come fosse un cazzo di padre benevolo. Mister X, quello a cui salvai il culo, mi disse che voleva sdebitarsi in qualche modo. Andammo tutti e tre in un prive del locale e ci sedemmo su dei divanetti in pelle. La luce era soffusa e la musica martellava le orecchie. Prendemmo da bere, io chiesi una semplice cazzo di birra. Si iniziò parlando di cazzate e quando si venne al punto la cosa si fece interessante. Mister X voleva ricompensarmi con dei soldi, ma non era nel mio stile e gli feci presente che non c'era bisogno di darmi un cazzo di assegno. Le mie parole fecero breccia nella testa del coglione che iniziò a spiegarmi che lui aveva una serie di ristoranti e alberghi sparpagliati tra Barcelona città e la costa brava, in dei cazzo di paesi costieri come Malgrat, platja d'aru e altri nomi che non mi suonavano per un cazzo. La cosa iniziò a farsi interessante. Commentai al tipo che ero abbastanza interessato a cambiare posto dove vivere e che c'avrei pensato su. In risposta il tipo mi disse che m'avrebbe messo dove cazzo avrei voluto e con la mansione che più mi andava a genio. Mi diede un suo bigliettino da visita e sul retro con una mont balnc scrisse un altro numero e sottolineandolo mi disse che su quel numero rispondeva 24h su 24. Cosi dopo una serie di pacche sulle spalle e strette di mano mi congedai dai due e ripresi a fare quello per cui venivo pagato, ovvero respingere qualche coglione e se era la notte giusta fargli anche un bel culo. A fine evento montai in macchina con davide e gli spiegai un po' la storia sul traggitto che portava verso casa. Quando arrivai nei pressi dell'abitazione di Ale dissi a davide di fermare la macchina e che avrei proseguito a piedi cosi per schiarirmi un po' le idee. Mi salutai con il mio socio e vedendolo scomparire tra le vie della città mi accesi una cazzo di paglia e iniziai a camminare verso casa. Erano circa le cinque e passa del mattino. Svoltai un angolo e mi ritrovai a qualche metro da casa. Mi accorsi immediatamente che all'altezza del portone era parcheggiata una fottuta macchina da riccaccione del cazzo. Strinsi gli occhi e notai sotto il palazzo una figura femminile che si accingeva ad entrare, misi a fuoco le immagini e riconobbi nella donna Ale e il conducente del land rover quel pezzo di merda con cui avevo fatto storie la sera del compleanno dell'amica di ale. L'occasione non mi si sarebbe ripresentata. Cercai di camminare accovacciato dietro le auto parcheggiate per avvicinarmi all'auto dello stronzo, quando fui a pochi metri da lui, nascosto dietro una nissan parcheggiata su delle strisce gialle mi misi ad aspettare solo il rumore del cancello chiudersi per sapere quando ale era fuori dai coglioni. Ero cosi vicino che potevo sentire l'odore della sua colonia. Il portone si chiuse con il solito rumore di ferro e vetro che sbattono, dopo un decimo di secondo balzai in piedi e con due falcate mi ritrovai con le mani poggiate sul finestrino abbassato del rover del coglione. Lo stronzo si girò di scatto e dalla sua bocca usci uno strilletto di paura da frocio debosciato. Quando vide che ero io si riempi di coraggio e disse un semplice " ah sei tu". Sorrisi allo stronzo, con una mano chiusi la sicura dello sportello e mentre lui seguiva con gli occhi i miei movimenti gli mollai prima una gomitata sulla guancia e poi, prendendogli i capelli sulla nuca, lo spinsi con una discreta forza con la faccia contro il volante. Il colpo fu bello forte e il coglione non ebbe manco il tempo di dire qualcosa che tirai su la sicura e subito dopo aprii la portiera e lo tirai fuori strattonandolo dal veicolo. La merda cadde a terra e piagnucolando come una merda iniziò a pregarmi di lasciarlo stare, che non aveva fatto nulla e che se l'avessi piantata li non avrebbe detto niente a nessuno ne sporto denuncia. Era li a terra tremante, mi accovacciai al manto stradale e ripresi la sua testa per i capelli pieni di gel. Gli dissi che era una merda, un frocio e che non valeva una merda di cane. Gli mollai uno schiaffo sulla nuca, lui si portò le mani dietro la testa come a protegersi da un eventuale ennesimo schiaffo che non arrivò mai. A pochi passi c'erano dei cassonetti dell'immondizia stracolmi. Mi diressi verso il più pieno e presi la prima busta a portata di mano. Il coglione nel frattempo si era messo in piedi e stava rientrando in auto. Accellerai il passo e proprio mentre chiudeva la portiera dell'auto gli scaraventai contro la busta piena di rifiuti che all'impatto con il telaio dello sportello si aprì. Parte del contenuto si riverso dento l'auto e lo stronzo iniziò a piangere e mi imploro nuovamente di lasciarlo stare. Rimise in moto l'auto e sotto i miei occhi sgommò e si tolse dal cazzo. Alzai la testa e vidi Ale affacciata al balcone che dava sulla strada che mi fissava in una espressione che avrei defnito di paura. Andai sopra, lei mi aprì la porta, la prima cosa che disse fu che solo l'aveva riaccompagnata a casa. Entrai nella camera da letto e aprii la cassoniera dove avevo la mia roba, tirai da sotto il letto la mia sacca e inizia a riempirla. Ale continuava a dire che non aveva fatto nulla, che solo l'aveva riaccompagnata a casa e mentre cercavo di fare il mio bagaglio lei mi tirava il braccio. Le dissi di piantarla e che nè lei nè nessun'altra poteva permettersi di farmi passare per il coglione di turno. Iniziò a piangere e a singhiozzare quello che pareva essere un mi dispiace. Mi sedetti sul bordo del letto con la testa presa tra le mani. Lei si avvicinò in ginocchio e incominciò ad accarezzrmi le gambe piangendo. Le ripetetti più volte di piantarla, ma lei continuava a dire che le dispiaceva e che mi amava. La feci alzare da terra e le dissi di sedersi al mio fianco. Le spiegai che non tolleravo più quella situazione, che eravamo troppo diversi. Si avvicinò con le sue labbra alle mie orecchie e mi sussurrò che non eravamo diversi, che eravamo fatti per stare insieme per molto altro tempo e dicendo questo prese il lobo del mio orecchio tra le labbra. Ancora una volta il mio corpo cedette alla mente e mi ritrovai sul suo corpo vestito. le abbassai le calze che aveva con furia e mente lei mi teneva stretto tra le sue braccia la penetrai con forza, quasi come a scaricare tutta la mia rabbia e delusione in quell'atto carnale che oramai aveva perso di ogni significato... Dovevano essere quasi le dieci del mattino, avevo dormito più o meno un'ora. Ale era in un sonno profondo. Mi alzai senza svegliarla e mi rivestii velocemente. Presi il mio sacco già riempito e accompagnando la porta usciì senza fare il minimo rumore. Mente ero in strada che andavo verso casa di mia madre tirai fuori il cellulare, il bigliettino di mister x e composi il numero...

Cap XLV

‎lunedì ‎3 ‎gennaio ‎2011, ‏‎01:48:00 | brainiacVai all'articolo completo
Da quella notte le cose con Ale iniziarono ad andare in merda. Ero incazzato con lei, pareva quasi che quel gruppo di cazzi-mosci e fighe-da-museo erano persone dalle quali lei non potesse prescindere. Parlava tanto di cambio di vita, di emancipazione dai luoghi comuni, ma continuava con il suo cordone ombellicale ad essere attaccata a quello stile di vita che tanto criticava quando era a sola con me. Dato che io con quel tipo di gente non volevo averci nulla a che fare decisi di riprendere a lavorare con continuita i fine settimana e tra impegni miei e suoi le ore che trascorrevamo insieme si erano ridotte all'osso. Ale era una donna stupenda sotto certi punti di vista. Non nascondo che la sua fisicità mi mandava in tilt e a parte quel suo ostinato voler frequentare gli amici di tutta una vita, caratterialmente la sentivo molto vicina. Una sera mentre eravamo in camera leggendo, lei posò il suo libro per terra, si girò verso di me e mi chiese cosa ci stesse accadendo. La guardai, erano soli pochi mesi che vivevamo insieme, le risposi che non stava succedendo niente, ma ero il primo a non crederci. Quella notte rifacemmo sesso dopo parecchio tempo. La mia fu più una reazione fisica al contatto con la sua pelle. Quando i nostri corpi si unirono, come flash ad intermittenza, mi si riproposero nella mente le immagini di Ale e i suoi viscidi amici. In quel momento mi estraneai dal mio corpo e la mia persona del presente fu sostituita da un "me" passato, da quell'Io che in olanda per quasi un'anno guadagnava tanti soldi stantuffando a pagamento attrici porno. Sentivo il suo corpo contrarsi ad ogni mia spinta. Il suo respiro affannoso mi metteva al corrente del suo stato. Ero li che mi muovevo meccanicamente, cosi come Rob mi aveva detto di fare. Stavo eseguendo un copione, dove una voce esterna mi diceva quando cambiare il ritmo e quando venire.Ale era li che sbuffava e affondava le sue dita nei miei fianchi. Il dolore che mi procuravano le sue mani distoglievano ancora di più l'attenzione dal piacere. Il suo viso era contratto in una smorfia di godimento, io la fissavo e la manovravo come fosse una bambola. Era completamente sottomessa da quello che le stavo facendo. Quando senti il suo corpo cedere improvvisamente ritrassi il mio pene dal suo grembo. Lei rimase nel letto immobile, con gli occhi chiusi e una espressione beata in volto. mi alzai per andare in bagno. Ero ancora in uno stato di eccitazione, andai al bagno e accovacciato nel bidet mi lavai i genitali. Il contatto ocn l'acqua fredda fecero svanire gli effetti. Ero sudato, cosi decisi di buttarmi sotto la doccia. Mentro ero li che mi rilassavo sotto il getto d'acqua bollente, entrò in bagno anche lei. Apri le porte del piatto della doccia e si introdusse sotto l'acqua bollente. Non mi disse nulla ma mi guardava con un ghigno beffardo . Mi chiese di insaponarla, e mentre la schiuma tra le mie mani l'abbracciava lei cominciò a fare lo stesso con me. In quel momento fui colto da un raptus, la presi con veemenza e la poggiai contro le piastrelle fredde della parete. La penetrai con forza e ad ogni colpo sentivo il suo corpo rimbalzare contro il mio. In quel momento non stavo facendo l'amore con lei, neanche sesso, la stavo semplicemente fottendo con rabbia. Dopo una serie di colpi sentii le ginocchia venire meno. La strinsi forte e svuotia il serbatoio dentro di lei. Da quel giorno la nostra relazione si basò solo sul sesso. Ero diventatoe il suo giocattolo, il suo capriccio cosi come dicevano i suoi amici...

Cap XLIV

‎domenica ‎2 ‎gennaio ‎2011, ‏‎02:24:12 | brainiacVai all'articolo completo
Frequentavo assiduamente Ale, insieme stavamo bene. Gli anni di differenza non si notavano e ancora oggi non so se perchè lei era troppo immatura o viceversa io più maturo, ma la risposta esatta sta nel mezzo, come del resto tutte le verità non dette. Una sera di novembre Ale mi propose di trasferirmi a vivere da lei. La gioventù ti spinge sempre a prendere decisioni affrettate. La stessa sera che me lo chiese andai a casa, riempii il mio compagno di viaggi sotto gli occhi di mia madre e le dissi che andavo a stare per cazzi miei e di non preoccuparsi. Lei non fece una piega ma sapevo che dentro era triste, ma la vita è mia e anche lei lo sapeva benissimo dato che fu sempre lei a darmi questa lezione di vita. Ale sapeva benissimo chi fossi. Durante il nostro frequentarci le raccontai di me. Con lei la convivenza andava benissimo, non dico che n'ero fortemente innamorato, ma mi prendeva molto. Sentivo di doverle stare vicino in questo momento della sua vita in cui stava facendo il salto. Ale ha sempre tirato fuori il mio lato protettivo, sinceramente non so il perchè dato che era una donna intelligente e attiva. La prima notte che trascorsi con lei come "convivente" parlammo fino all'alba. Eravamo distesi sul letto, dalle tende in doppio cotone, la luce dei lampioni illuminava le pareti . Lei era ranicchiata contro di me e mentre le accarezzavo i capelli le confidavo tutte le cose che fino a quel punto, della mia giovane vita, non mi erano chiare. Ho sempre pensato che una delle cose che ci legava era la somiglianza del rapporto che, reciprocamente, avevamo avuto con i nostri padri. Entrambi avevamo vissuto storie di padri dalle personalità forti, che in un certo senso volevano indirizzarci nelle scelte della nostra vita. La differenza tra me e lei è che io a mio padre lo mandai a fanculo a diciotto anni dopo una furibonda lite che terminò quasi con un rissone, lei solo a trentadue con modalità meno accese. Forse era proprio questa sua fase di traghettamento che scaturiva in me l'istinto protettivo. Sapevo quanto facesse male il fatto che un padre ti consideri uno zero, che pensi che tu sia solo un fallito. Ricordo solo che m'addormentai col rumore dei furgoni della netezza urbana che scaricavano il contenuto dei cassonetti nelle loro enormi pance di ferro. Ale lavorava per otto ore al giorno durante i fine settimana era, solitamente, libera, a differenza mia che spesso era proprio durante i week end che lavoravo come staff per la sicurezza. La cosa un po' mi pesava, dato che stare con lei mi faceva sentire bene, cosi spesso declinavo le proposte di lavoro nei fine settimana e potevo permetterlo benissimo. La convivenza, ribadisco, andava benissimo, però quando si usciva con i suoi amici le cose non andvano tanto ok, infatti i suoi conoscenti erano tutti tipi tra i trenta e i quaranta che appartenevano alla fascia medio alta della borghesia cittadina e da tali rappresentanti si comportavano da merde spocchiose, ovvero erano dei classisti di merda. Figli di papà che a trentacinque anni sono li a vivere ancora nella bambagia dei genitori professionisti. Stupidi viziati, che se pur avendo stipendi abbastanza alti, preferiscono svenarsi per pagare il suv dell'audi o della bmw. Belli nei loro abiti di marca, nei polsini tenuti stretti dai gemelli, superbi nelle loro "parlatine" corrette dalla r trasformata in v ... Quando ero tra di loro mi sentivo un corpo estraneo, loro non mi consideravano e la cosa mi stava bene. Uscivo con loro solo per fare un piacere ad Ale, dato che in quella pseudo-comitiva c'erano persone che lei conosceva da una vita e alle quali era legata. Per loro io ero l'oggetto di Ale, erano tutti convinti che fossi solo un capriccio della loro amica, un gesto di ribellione momentanea. A me non importava un cazzo delle loro opinioni, per me in quel momento Ale era tutto e il resto non contava nulla. In quelle serate aspettavo solo il momento di tornare a casa con lei, di stendermi al suo fianco e sentirla vicina. Parecchie volte, quando mi ritrovavo tra quella gente, avevo come l'impulso di distruggere tutto. Una voglia matta di prendere a calci quei loro culi riccaccioni di merda, di prendere le loro teste dai capelli perfetti e con una mossa da contorionista, ficcarcela in mezzo alle loro stesse natiche. Ale s'accorgeva di quei miei pensieri, sistematicamente mi domandava se volessi andare via, ma le rispondevo di no, che tutto era ok ed una sua carezza allontanava per qualche minuto quei miei pensieri da psicopatico assassino. Una sera era il compleanno di una sua amica, andammo a "festeggiare", lo metto tra vigolette perchè io non avevo da festeggiare un cazzo, in un "wine bar", del cazzo. Nel momento che entrammo Ale adocchiò subito la comitiva di cazzoni seduta ad un tavolo, ci avvicinammo e proprio mentre Ale salutava la sua amica sentii uno di queste merde commentare in maniera spinta le forme di quella che era la mia donna. Non sono mai stato uno di quelli che fa finta di non sentire per cuieto vivere, così fissai il coglione e lo invitai a ripetere cosa avesse detto. Ale, che non ascoltò l'aprezzamento, mi domandò cosa fosse successo ed io le risposi che il suo "amico" le avrebbe ripetuto quello che aveva detto qualche secondo prima. Il coglione, ovviamente, non ripetette un cazzo, ma con tono di sfida e arroganza mi invitò a stare zitto e a non fare scenate da ragazzino. Sorrisi, chiesi allo stronzo come stesse sua madre e se gli avesse messo la suppostina di valium prima d'uscire baciandolo sulla fronte come si conviene in una famiglia modello. La mia frase dovette pizzicare quel po' d'orgoglio presente nello stronzo, si alzò di scatto, ma i suoi amici lo presero per le braccia e lo invitarono a stare calmo ma il poveraccio, forse sotto effetto di qualche riga, pretese di essere lasciato libero e mi consigliò di stare zitto e di non parlare di sua madre. Ale mi strattonò e inmbarazzatissima, tirandomi per un braccio, mi diceva di andare. In un'altra occasione la merda già sarebbe stata distesa sul pavimento, ma non volevo fare casini e ricordando l'effetto Lex, stetti a sentire Ale e la segui fuori dal locale non prima però di aver mostrato al coglione il mio dito medio. Una volta fuori Ale mi baciò sulle labbra e mi sussurrò che andava tutto bene e che effettivamente non aveva voglia di stare li in mezzo. Sapevo che diceva questo solo per non farmi sentire in colpa e per tranquillizzarmi, ma dato che era tutta una settimana che parlava della sua amica e del suo compleanno le dissi che era meglio se lei fosse rientrata ed io tornato a casa. Dovetti insistere un tot di tempo e alla fine lei ritornò alla festa ed io a piedi mi allontanai dal locale. Presi il cellulare, chiamai Davide e gli chiesi se poteva venirmi a prendere. Dopo trentaminuti mi ritrovavo in un bar fetido, seduto su una sedia di plastica a bere Peroni con il mio socio e mi sentivo risollevato. Quella notte mi sbronzai di brutto. Ricordo solo che Davide mi riportò a casa di Ale verso le quattro del mattino e che sul cellulare messo in silenzio avevo una sfilza di chiamate perse da parte di Ale. Quando aprì la porta lei era seduta sul divano del piccolo soggiorno, ero sbronzo e arrabbiato con lei perchè avrei voluto che che fosse venuta via con me anche se io insistevo per il contrario. La salutaì e lei non rispose, le ringhiai cosa cazzo avesse e lei mi strillò che era preocupatissima, che le avevo detto che sarei tornato a casa e che non trovandomi e non rispondendole al telefono aveva dato di matto. Le domandai se avesse scopato con quel coglione, mi guardò scandalizzata mi si avvicinò e mi mollo due schiaffi in pieno volto. Dovette caricare bene il braccio, perchè, alcuni minuti dopo, nello specchio del cesso,vidi le cinque dita ben marcate sulla mia guancia, ma al momento, complice la birra, non senti' il minimo dolore. Dopo avermi mollato la doppietta si chiuse in camera da letto, andai in bagno e feci una lunga pisciata, mi buttai sotto la doccia e una volta fuori ripulii a fatica un poco e mi andai a stendere sul divano. Una volta solo, nella semioscurita del salotto, pensai che era stato inutile mantenermi dal dare la paga allo stronzo, visto che il finale non è che fosse stato molto diverso da quando feci il culo a Lex e Ana mi mollò. Chiusi gli occhi con la speranza che quelle poche ore di sonno risolvessero le cose per me e nella testa iniziò a rimbombare la canzone dei corvi "ragazzo di strada"...[ ] Io sono quel che sono, non faccio la vita che fai, io vivo ai margini della città, non vivo come te. Io sono un poco di buono. Lasciami in pace perché, sono un ragazzo di strada, e tu ti prendi gioco di me. Tu sei di un altro mondo. Hai tutto quello che vuoi. Conosco quel che vale, una ragazza come te, Io sono un poco di buono. Lasciami in pace perché ,sono un ragazzo di strada ,e tu ti prendi gioco di me ... [ ]

Intermedio 7

‎sabato ‎1 ‎gennaio ‎2011, ‏‎02:56:11 | brainiacVai all'articolo completo
La sciatica mi tormenta il lavoro pure... Fancul-anno a tutti!

Cap XLIII

‎venerdì ‎31 ‎dicembre ‎2010, ‏‎01:33:21 | brainiacVai all'articolo completo
La sera che incontrai Ale non la dimenticherò mai, come del resto parecchi altri episodi della mia vita. Ero ridotto uno straccio, colpa della lunga notte trascorsa a scarrellare uno spurgo in ospedale e a fare da mastino nella disco. Biancaneve, poi, mi aveva lasciato in uno stato pietoso. Prima di scendere mi buttai sotto la doccia, misi la leva su very hot e lasciai che litri di acqua bollente scacciassero via le tossine di una vita alla cazzo di cane. Uscito fuori da quel bagno trasformato in sauna, mi sentivo ancora peggio. Mi vestì e scesi. Arrivai in metro e mi sedetti ad aspettare. Non ero "automunito" e sinceramente di chiedere l'auto alla mia vecchia proprio non m'andava dopo tutti i casini piantati. Cosi raggiunsi casa di Ale con metro e piedi e trascorsa circa una oretta mi ritrovai sotto il portone di casa sua. La chiamai sul telefonino per avvisarla che ero sotto casa. Lei rispose con una voce su di giri, la mia doveva assomigliare ad un lontano eco. Mi invitò a salire e sinceramente non sapevo manco se vivesse da sola o con i suoi. Aprì il portone e si affaccio dalla tromba delle scale salutandomi con un favoloso sorriso. Il pensiero di dover scalare quattro livelli mi straziava. Camminare già mi pesava e il solo pensiero di dovermi fare quelle rampe mi faceva sudare. Mi agrappai al corrimano e iniziai la mia scalata. Giunto alla vetta ebbi il mio premio, un abbraccio da quella donna dai lunghi capelli scuri. Mi invitò ad entrare e varcata la soglia capii che abitava sola. Mi fece entrare in un salottino. La tipa aveva un certo stile svedese, infatti mi sembrò di entrare in Ikea. La cosa non mi dispiaceva, anzi, la visione di quello stile nordico mi catapultò con la memoria ai tempi british e orange. Mi accomodai su di un sofà Karlstad grigio scuro e una volta comodo Ale mi domandò cosa volessi da bere. Le sorrisi e le risposi che mi andava tutto bene, basta che fosse qualcosa che contenesse almeno il 10% d'alchool. Ricambiò il sorriso e m'invitò ad aspettare un attimo. Dopo circa cinque minuti si presentò con un vassoio su cui c'erano due bicchieri con calice stile normandia, una bottiglia di porto e una terrina con dentro degli arachidi. Poggiò il vassoio sul tavolino davanti il sofà, aprì la bottiglia e verso il vino nei due bicchieri. In quel momento il mio istinto da etilico prese il sopravvento e in un solo respiro svuotai il bicchiere. Presi la bottiglia e riempì il bicchiere nuovamente. Iniziammo a parlare, o meglio diedi ad Ale il là per farla iniziare a parlare e provai a concentrarmi anche se le condizioni della mia testa erano paragonabbili ad una gabbia messa sottosopra da scimmie assassine impazzite. Mi spiegò che lei era laureata in legge, che quello era un piccolo appartamento che i genitori le avevano comprato e che attualmente erano un paio d'anni che lavorava come agente municipale di un cazzo di comune poco distante da li. Iniziai a coglionarla un po' sul fatto che fosse una vigilessa, ma con stile, senza cadere nella grossezza. Le strappai dei sorrisi, la cosa mi fece riguadagnare dei punti dopo lo svuotamento automatico del primo bicchiere. Parlando un po' nello specifico delle nostre vite mi resi conto che Ale era di una categoria "sociale" completamente diversa dalla mia, nel senso che lei era di estrazione sociale medio-alta, padre notaio, madre dottoressa, studi presso scuole private e laurea con 110 e lode. Vacanze in costa smeraldo, viaggi in patagonia ecc ecc. Al contrario il mio Curriculum Vitae era constituito da esperienza in terre straniere, ma con modalità completamente diverse. Da quello che avevo capito stava in conflitto con i suoi, era frustrata dal fatto che qualsiasi cosa avesse raggiunto non era solo per merito suo, nel senso che se lei era quello che era in parte era grazie alle possibilità che i suoi vecchi le avevano messo a disposizione. Sinceramente capivo qual'era il suo tarlo e non sapevo che cazzo dirle, ma al suo ragionamento misi un freno perchè le dissi che se pure era vero che lei era quello che era grazie ai mezzi che le avevano dato i genitori era comunque solo merito suo aver raggiunto determinati traguardi perchè di riccaccioni figli di papà ne è pieno il mondo ma non tutti si prendono una laurea nei tempi prestabiliti e poi si fanno il culo a lavorare. Le mie parole le illuminarono gli occhi e continuò spiegandomi la sua vita mettendomi al corrente del fatto che i suoi non vedevano di buon occhio il fatto che fosse entrata nel corpo dei viglili urabani di non so dove, ma lei era fiera, perchè era il primo obiettivo che aveva raggiunto senza l'aiuto di nessuno. Arrivammo alla fine della bottiglia di porto, Ale si alzò e ne portò un'altra, le chiesi se si potesse fumare in casa e lei mi rispose cacciando fuori una paglia ed accendedosela per poi passarmela. In meno di un'ora mi spiegò tutta la sua vita. Ale aveva il dono della sintesi, infatti dopo circa un paio d'ore e tre bottiglie di porto ero stato messo al corrente della sua vita professionale e privata. Le domandai dove fosse il bagno, il porto cercava ora una via d'uscità. Avevo la vescica stracolma. Mi indicò la porta ma quando feci forza sulle gambe per alzarmi, un po' per la notte balorda un po' per l'achool già in circolo ricaddi sul sofà svedese. Ale rise di gusto, le spiegai che tornavo da una nottata di lavoro del cazzo e al secondo tentativo mi tirai su e andai in bagno. Tornai nel salotto, i riscaldamenti e l'achool iniziarono a farmi sudare, sfilai la felpa che avevo e mi risedetti accanto a lei. Ale prese la mia mano destra tra le sue ed iniziò ad osservare i miei tattoo sul braccio dx. Era concentrata ed assorta nel seguire con gli occhi e le dita i contorni e le sfumature dell'inchiostro sotto pelle. Il contatto delle sua dita con la mia carne era piacevole. Mi disse che quando mi vide per la prima volta dietro al banco del pub rimase colpita dalla mia espressione seria e da quel braccio tatuato da dove spiccava quella sirena legata ad una colonna, dall'espressione sofferente. Non ho quasi mai spiegato a nessuno i significati dei miei tattoo, ma quella sera vedendo il reale interesse di Ale e un certo stato d'animo simile tra lei e la mia sirena, non ne potetti fare a meno . Le accarezzai il volto e ad ogni parola avvicinavao sempre più il mio viso al suo. Arrivai ad una distanza minima, sentivo sulla punta del naso il calore della sua pelle. Lei era li che aspettava che la baciassi, ma volevo che fosse lei a desiderarmi cosi come in quel momento io desideravo lei. Non scostai il mio viso e aspettai che fosse lei a ricoprire gli ultimi millimetri che ci separavano. Sentivo il suo respiro, sentivo le sue mani stringere il mio polso, con la mano sinistra le accarezzai ancora una volta il viso. Aveva sette anni più di me, ma in quella circostanza sembrava essere cosi indifesa che le età parevano capovolgersi. Si avvicinò di più e le nostre labbra si toccarono. Al contatto con la sua bocca sentii tutta la stanchezza scivolare via dal mio corpo. La spogliai, lei spogliò me. Facemmo più volte l'amore. Le sue insicurezze, i suoi timori mi fecero tirar fuori nei suoi confronti un senso di protezione, così quando mi chiese di trascorrere la notte con lei e tenerla stretta contro di me non esitai a dirle di si...

Cap XLII

‎giovedì ‎30 ‎dicembre ‎2010, ‏‎01:54:59 | brainiacVai all'articolo completo
Ormai avevo solo tempo libero. L'unico impegno che avevo durante le settimane era quello di farmi il culo in palestra. Per il resto nulla. Il lavoro era ormai un ricordo, con Viviana avevo chiuso completamente. Ogni tanto davo una mano a tempo perso a Davide e Daniele in negozio e qualche volta, tramite Davide, guadagnavo qualcosa facendo servizio d'ordine in feste private o locali notturni. Il troppo tempo libero è sempre stato un problema. Ti da l'opportunità di pensare, spesso pensare fa male, almeno dal mio punto di vista. Si, mi fa proprio male, perchè mi porta in uno stato di depressione , poi questo stato di depressione mi porta a farmi quante più birre è possibile e da li parte tutta una catena di cazzate senza fine. Riiniziai a fare uso sporadico di coca. Quando davo una mano nello staff di buttafuori era quasi un'abitudine iniziare e terminare la "serata" con una riga. Quando poi si tornava a casa all'alba non avevo un cazzo di sonno e aspettavo fino ad ora di pranzo seduto sul mio divano con gli audicolari a palla e una serie di latte vuote sparpagliate per il pavimento. Ogni volta che mi incrociavo con mia madre erano storie. Lei non faceva molte domande, ma quando mi vedeva in quello stato iniziava a menarla di brutto ed io ricordavo del perchè avevo preferito levarmi dai coglioni appena finite le superiori. Ricordo che era una domenica mattina. Dovevo avere una faccia stravolta, la sera prima eravamo stati a lavorare in un locale nella zona dei laghi dove c'è un fottio di locali notturni. Eravamo presso una delle più grandi discoteche della zona dove era stato organizzato un party di quelli colossali. Erano presenti le radio più seguite della città e c'era un bel movimento di ragazzi e ragazze. In queste occasioni c'è sempre un giro di roba osceno e facendo parte dello staff avevo un pass personale per il banchetto. La serata filo' liscia a parte qualche povero coglione che avendo esagerato diede di matto e sistematicamente buttammo fuori, ma era routine. Dato che non succedeva un cazzo inizammo a goderci anche noi la serata, io e altri cinque ragazzi tra cui Davide fummo assegnati all'ingresso del privè dove potevano accedere solo quei coglioni che si definivano V.I.P. e coloro che avevano un cazzo di tesserino. Dato che io non avevo la più pallida idea di chi fossero i Vip, infatti pensavo che Vip fosse l'acronimo di very inutil people, lasciai a davide e ad un certo giorgio il compito di fare da filtro all'ingresso del privè ed io giravo per dare un occhio se ci fossero problemi all'interno dell'area. Il marciume era ovunque, si vedevano ragazze quasi nude strusciarsi a pezzi di merda che si muovevano e atteggiavano come rock star, i tipici coglioni tutti tirati a lucido che provavano a guadagnarsi le grazie di palloni pieni di merda del mondo delle emittenti private locali che avevano attegiamenti manco fossero i dirigenti della BBC o CNN. Un fottio di ragazze prese dalla sindrome "veline" che muovevano il culo sgraziatamente e in maniera volgare, cose che in olanda non vidi manco quando ero dentro una nicchia del mondo del hard. Ovviamente il tutto era condito da tanta biancaneve. Mentre ero li che davo i miei giri fui avvicinato da uno degli organizzatori di quel cazzo di party. Il tipo era tutto tirato a lucido, si poteva capire dove cazzo stava ad occhi chiusi dato che forse quella sera dalla sua cazzo di doccia invece dell'acqua era uscita della colonia. Era abbastanza agitato, mi disse di seguirlo e quando fummo nel retro del punto rinfresco mi disse di andare nel bagno degli uomini, di chiudere la porta principale d'accesso e forzare una delle porte singole dove un non so chi aveva esagerato ed era li collassato. Mi raccomandò di essere molto discreto e di non parlarne con nessuno. Cosi ci dirigemmo ai cessi, e mentre andavamo già pensavo a quale razza di stronzo dovevo dare una mano a restare tra noi. Arrivammo ai bagni e una volta dentro dissi a un tipo che stava per varcare la soglia che c'era un problema a un cazzo di scarico e che dell'acqua fetida stava straboccando da un cesso e che quindi al momento la latrina era chiuso, il tipo stava li per aprire quel becco di merda per dire qualcosa, ma incurante gli sbatetti la porta sul muso e chiusi cosi come da ordini. Il capo mi indicò la porta che si doveva forzare, mi calai sul pavimento per vedere lo stronzo dentro seduto sulla tazza con la testa poggiata su una parete. Mi rialzai e provai a tirare giù la porta con uno spintone, ma non ebbi successo. Cosi decisi di tirarla fuori dai cardini, afferai la porta sull'estremita bassa e la spinsi verso l'alto. La porta usci fuori. Lo spetacolo che ci si presentò non prometteva nulla di buono. Il coglione era strafatto di brutto. La prima cosa a cui pensai fu quella di chiamare un'ambulanza, ma il capetto disse che era fuori discussione, che non voleva casini. Prendemmo il povero stronzo seduto e a fatica lo portammo verso i lavandini dove cercammo di farlo riprendere mettendogli la testa sotto l'acqua fredda. Il tipo diede un'accenno di reazione ma non era in grado di mantenersi su quelle fottute gambe. Ero sempre più convinto che bisognava chiamare dei paramedici e far portare lo stronzo dritto in ospedale, ma tenni queste considerazioni per me. Le lancette dell'orologio giravano e il povero sfigato continuava nel suo stato narcotico. Il piccolo shoow man iniziava a sudare freddo vedendo che tutti i suoi trucchetti di rianimazione non funzionavano per un cazzo. Iniziai a preoccuparmi seriamente dello stronzo e proposi al tipo di portare immediatamente il povero rinco in ospedale. Gli illustrai il mio piano che prevedeva le seguenti fasi: Uscire dal locale rapidamente e senza dare nell'occhio, caricare il coglione in auto portarlo al pronto soccorso e mollarlo li. Proposi allo stronzo di starsene li, gli dissi che me la sarei sbrigata io con un altro socio ma che doveva procurarsi un'auto da darmi per trasportare il narcotizzato. Accettò la mia idea e mi disse di chiamare immediatamente il mio socio. Lasciai i due nel cesso e mi diressi all'ingresso del privè dove chiesi a Davide di segurmi. Quando tornammo ai bagni la situazione non era cambiata, Davide mi domandò cosa cazzo fosse successo ed io e il piccolo capo gli spiegammo tutta la situazione. Lo stronzo tirò fuori le chiavi del suo suv e mi spiego dove aveva parcheggiato la sua auto, così davide ed io ci caricammo il povero rinco come fosse un sacco di patate e uscimmo dal bagno. Lo stronzetto ci faceva strada e aprì, a pochi passi dall'uscita del bagno, una porta di sicurezza che dava direttamente sul parcheggio. Mi indico' la sua auto e ci disse di non fare casini e di fare presto dopodicche richiuse la cazzo di porta. Ci ritrovammo davide, io e l'uomo di gomma fuori il piazzale e a fatica raggiungemmo l'auto. Aprimmo la portiera e poggiammo seduto a terra il povero disgraziato. Buttammo giù i sedili posteriori e ricavammo uno spazio che era quanto il mio letto, forse più grande, dove caricammo il coglione privo di sensi. Salimmo e partimmo in quarta. Durante il tragitto Davide era un'po' teso, e anche io avevo un po' di stizza al culo. Gli spiegai cosa avevo in testa, ovvero di arrivare al reparto urgenze, afferrare una cazzo di sedie a rotelle, caricarci lo stronzo portarlo in accettazione e raccontare qualche stronzata al personale per poi filare via. Davide annui col capo, mi resi conto che stava nel pallone e dopo circa un quarto d'ora che s'era fatto infinito ci ritrovammo all'ingresso del pronto soccorso . Scesi dal suv e cercando din on dare nell'occhio entrai e presi una sedia nell'indifferenza di quei pochi coglioni che erano li. Arrivato vicino il veicolo caricammo il coglione sopra la sedia, dissi a davide di aspettarmi li con l'auto pronta ad andare e spinsi la carrozzina. Una volta dentro mi rivolsi ad un portantino, il quale mi chiese immediatamente cosa fosse successo, in tutta calma. Risposi che avevo raccolto il tizio fuori l'ingresso privato di un locale, dando il nome di una discoteca concorrente a quella dove stavamo lavorando e che no sapendo cosa fare l'avevo caricato in auto e portato qui. Disse di non preoccuparmi e prese lui il tipo con la carrozzina. Sembrava tutto facile, ma quando feci la mossa di levarmi dai coglioni fui chiamato da una infermiera che mi disse che dovevo riempire dei cazzo di moduli. Preso dal panico iniziai a sbiascicare qualcosa, del tipo che avevo lasciato l'auto pracheggiata in doppia fila col motore accesso, le dissi che sarei tornato da li a cinque minuti, e notando l'ingresso di una barella con al seguito una serie di persone, aprofittaidella confusione per sgattaiolare via. Una volta fuori corsi verso l'auto montai in macchina e dissi a davide di partire a razzo. Mentre eravamo in cammino confidai a Davide che avevo l'impressione che c'eravamo messi in un bel casino, ma ragionandoci un poco su mi disse che dovevamo stare tranquilli, che in fin dei conti noi non c'entravamo un cazzo e che eravamo praticamente dei perfetti nessuno che avevano portato un coglione in ospedale, e male che andasse avrebbero rintracciato qualcuno tramite la targa dell'auto che non era certo nostra. Lo stronzo aveva ragione e vedendola da quel punto di vista mi sentii più tranquillo. Arrivati al locale ci dirigemmo verso il capetto che dietro al sorriso nascondeva una stizza coi controcazzi. Gli dicemmo di stare tranquillo e gli spiegammo come erano andate le cose. Il coglione sembrava un po' più risollevato e ci chiese di seguirlo nel retro del bar. Una volta li, ci strinse la mano e ci disse che era ci era molto riconoscente. Tirò fuori dalla tasca quattro banconote da cinquecento euro e me le porse, poi tirò fuori anche un paio di pallini di bianca neve e sorridendo abbracciò prima me e poi davide e disse di goderci la nottata. Quando lo stronzo se ne andò diedi mille euro a davide che quasi non riusciva più a togliersi un ghigno bastardo dalla faccia. Gli diedi una pacca sulla spalla e ridendo commentai che era un peccato che non ci fossero cosi tanti fattoni in giro quella notte. Andammo al cesso e ci facemmo due righe a testa. La notte trascorse senza casini e a fine party intascammo pure quei trecentocinquanta euro come compenso per la security. In auto, prima di sgommare verso casa ci tirammo un altro paio di righe, avevamo gli occhi che uscivano da fuori e sentivo la gola stretta e gonfia, come se avessi inghiottito un enorme boccone di ovatta. Una volta a casa, mi buttai sotto la doccia, dovevano essere le dieci del mattino, una volta uscito mi beccai con mia madre che vedendomi in quello stato alterato mi pianto l'ennesimo casino. La lasciai blaterare e mi chiusi in camera mia, dove rimisi gli audicolari e mi sparai i motorhead a palla. Ero li che aspettavo che mi passasse la botta di coca. Composi un sms e lo inviai ad Ale, dopo circa dieci minuti ricevetti la sua risposta. Alle nove ci saremmo visti per andare a bere qualcosa insieme, avevo proprio voglia di rivederla dopo il nostro primo incontro al pub dove lavoravo, avevo uan gran voglia di lei... "You know I'm born to lose, and gambling's for fools, But that's the way I like it baby, I don't wanna live for ever, And don't forget the joker! " Martellava nelle mie orecchie Lemmy...

Cap XLI

‎mercoledì ‎29 ‎dicembre ‎2010, ‏‎01:53:47 | brainiacVai all'articolo completo
Le giornate volavano via come foglie d'autunno portate via dal vento. Con Viviana la situazione era in stallo. La regina bianca non voleva cedere nessuna casella all'alfiere nero. Ogni volta che parlavamo finivamo per mandarci a fare in culo. Avevamo messo un punto al nostro rapporto che non s'era mai capito bene di che natura fosse. La colpa, forse, fù anche mia. Ogni volta che si litigava finivo per domandarmi se tutte quelle notti trascorse a parlare e a confidarci fossero realmente esistite, perchè nel suo comportamento non riconoscevo la ragazza con cui parlavo e che soprattutto mi capiva. Quando ero al lavoro, per lei ogni occasione era buona per punzecchiarmi. Si lamentava che non le preparavo le comande per tempo, oppure cercava di mettermi nella merda non dicendomi alcuni ordini e pretendendoli poi in pochi secondi. Durante il caos del sabato sera ci si scambiava occhiate che parevano fucilate. Un collega con cui scambiavo due chiacchiere ogni tanto, capita la zolfa, mi domandò che cosa fosse andato a merda tra noi due, gli risposi che spesso le cose prendono una cazzo di strada e tu ti ci ritrovi dentro senza manco capire il perchè. La napoli bene era li a godere del mio lavoro, ma sotto i banchi e i tavoli si combatteva un duello tra me e lei. Un sabato notte molto caotico notai una ragazza tra la folla che aveva costantemente gli occhi puntati su di me. Iniziai a giocarci un poco, tra una birra e un bicchiere di glent servito provavo ad incrociare il suo sguardo. A primo impatto dava l'impressione di essere sopra i trenta, aveva dei capelli lisci e lunghi color corvino, degli occhi scuri con un taglio a mandorla. Indossava dei jenas aderenti ed un maglione a collo alto. Lei era li con un gruppo di amici, ma dava l'impressione di essere abbastanza annoiata, così quando si avvicinò al banco per chiedere un bacardi breezer al lime non esitai a rivolgerle più di una parola. Diede l'impressione di essere una tipa sveglia, si chiamava Alessandra. Prese posto su di uno sgabello al banco e lasciò la sua compagnia per poter parlare con me. Tra le varie comande cercavo di spillarle quante più informazioni possibili, in modo da poter capire come giocarmi le mie carte con lei. Ogni volta che Viviana mi passava davanti sentivo i suoi occhi colpirmi dritti al volto come una combinazione veloce di un pugile messicano. La cosa non passò inosservata ad Ale, che mi chiese se fossi già impegnato. Le risposi che non avevo impegni. In quei pochi momenti di calma mi posizionavo davanti a lei. Ricurvo per sentire le sue parole nel chiasso del locale aprofittavo per sentire il profumo che portava. Era una donna di tretadue anni, e per quel po' che avevo capito lavorava presso un comune dell'interland. Venne una sua amica a portarmela via ma, prima che si allontanassero, riuscii a scambiare i numeri di cellulare. La serata continuò molto movimentata e verso l'una, prima di andar via, Ale passò davanti la mia postazione, mi fece cenno di avvicinarmi e quando le fui vicino mi sussurrò di chiamarla. Mi baciò sulla guancia e uscì dal locale con la sua comitiva. La stessa notte, a fine lavoro, Viviana mi pianto l'ennesimo casino. Si lamentò con il proprietario che per fare il figo con le clienti trascuravo gli ordini e il lavoro. Era gelosa marcia, ma Antonio, il boss, era li durante le ore di traffico e sapeva benissimo che Viviana parlava perchè mangiata dalla rabbia. Quando se ne andò mi chiese di spillargli una pinta di Harp e mi invitò a spillarne una anche per me. Ci sedettimo sugli sgabelli del banco mentre una donna della ditta di pulizie tirava su le sedie per spazzare e poi lavare. Mentre si beveva mi domandò se avessi fatto casino con Viviana, perchè, mi confidò, la vedeva molto strana e incazzata. Spiegai al rinco un po' come erano andate le cose tra noi due, facendogli capire che il problema non era il mio. Si fece una risata e quasi mi implorò di risolvere i miei casini con la tipa perchè non era più disposto a sentire o vedere cose che rompessero l'armonia del locale. Quando gli chiesi cosa cazzo intendesse mi rispose direttamente che se continuavamo a tirarci frecciatine o fare casini doveva prendere uno dei due e dargli il ben servito. Finì la birra tutta di un colpo, diedi una pacca sulla spalla ad Antonio e dissi di non preoccuparsi, che quello sarebbe stato l'ultimo fine settimana che avrei lavorato li. Lo stronzo rimase perplesso, sorpreso e mi disse che non c'era bisogno di fare cosi, ma in tutta calma gli risposi che era meglio e che tutto sommato, in quel posto, preferivo andarci a sbronzarmi invece che a lavorare. Gli presi la mano e gliela strinsi e lo salutai dicendogli che l'indomani sarei arrivato alla stessa ora di sempre. Dovevano essere le tre e mezza, camminavo lungo le strade deserte per arrivare verso casa. Tra un passo e l'altro tirai fuori il telefonino e marcai il numero di Ale. Chiamai ma la vocina preregistarta mi informava che il telefono dell'utente era irrangiungibile. Cosi composi un sms, non ricordo bene cosa cazzo scrissi, ma era carico di stronzate utili per svegliare l'attenzione di una donna. Ero a pochi metri da casa, c'era la tipica rosticceria che vendeva anche quei cazzo di cornetti per i rinco che all'alba trovano figo terminare una serata mangiando della cazzo di pasta sfoglia piena di nutella. Entrai e presi una birra. C'erano un paio di coppie a farsi di cornetto. Tutti guardavano me bere la cazzo di birra, e sinceramente non so perchè cazzo dovessero guardare proprio me. Cosi quando mi misi a fissarli negli occhi, le merde, distoglievano immediatamente lo sguardo per evitare rogne. Patetici. Mi scolai la mia becks e mentre andavo verso casa chiamai questa volta a Viviana, mi rispose in maniera sgarbata e arrogante, le dissi di aprire quelle cazzo d'orecchie e la informai del fatto che per evitare che il boss la spedisse a casa avevo deciso di lasciare quella merda di lavoro. Seguirono dei moenti di silenzio, poi dopo un po' sentiì la sua voce tremante che diceva che le dispiaceva. Piagnucolava, doveva sentirsi in colpa, le dissi di calmarsi, che tanto quel lavoro non è che mi emozionasse più di tanto e che gia ero durato abbastanza. Lei continuava a frignare dicendomi che l'indomani avrebbe messo tutto a posto con il capo, ma io le ripetetti che non c'era bisogno. Mi domandò dove fossi e le risposi che ero per strada a pochi passi da casa. Disse che voleva vedermi, cosi le diedi appuntamento sotto casa mia. Quando arrivai lei già era li, mi venne incontro e mi abbracciò chiedendomi scusa. Non aveva nulla da scusarsi, la rassicurai dicendole che spillare birre non era l'aspirazione della mia vita e che era giunta ora di fare qualcosa di più serio. Mi baciò, ma io nella testa avevo Ale...

Cap XL

‎domenica ‎26 ‎dicembre ‎2010, ‏‎02:29:16 | brainiacVai all'articolo completo
Finché non trovi qualcosa per cui lottare ti accontenti di qualcosa contro cui lottare . I rapporti con Davide, dopo l'accaduto del negozio, iniziarono a trasferirsi dalle quattro mura della palestra alla vita di tutti i giorni. Questo non piaceva molto a Viviana, infatti i miei nuovi "conoscenti" le sottraevano il sottoscritto per troppe ore al giorno. Avevo una vita tranquilla dal giorno in cui feci ritorno. La cosa iniziava a stancarmi, e cosi eccomi li, trasformatomi nel capoccia di una piccola brigata. Le giornate le trascorrevo tra esercizi su panche piane e bar. Al mio fianco sempre i soliti ragazzi. La sera quando avevo tempo ed ero abbastanza lucido da poter mettere più parole in fila, mi vedevo con Viviana, che incominciò, ogni volta che ci si beccava, a mollarmi delle cazzo di prediche sul come stessi gettando la mia vita e tempo andando in giro con certa teppa. Una notte avemmo una dura conversazione. Lei ha sempre avuto la presunzione di stare dalla parte della ragione, caratteristica comune alle donne, soprattutto le italiche donne. A Viviana sarebbe piaciuto un "ME" diverso da quello che conosceva. Io non avevo le griff, io odiavo i cultori del vuoto, io non mi spacciavo per quello che non ero. Posso aver fatto milioni di errori, e chissà li ho commessi tutti, ma almeno non ho mai cercato di mascherare la mia vera personalità. Il mio vero modo di essere. Con i miei nuovi soci spesso ci riunivamo nel negozio che scoprii essere gestito da Daniele, il tipo a cui mollai il calcio alle costole. In verità il negozio era intestato al padre che prima di lasciargli le chiavi per andare in pensione, ci vendeva ombrelli e impermeabili. Daniele, con l'aiuto di Davide, aveva cambiato i connotati al magazzino, e da un semplice negozietto di ombrelli aveva tirato su un discreto shop di abbigliamento. Le cose non gli andavano tanto male, tirava avanti, la cosa mi faceva piacere perchè oggi come ieri, gente che porta avanti stili di vita non del tutto allineati con il "pensare comune", veniva e viene emarginata. La fortuna di sti due stronzi, è che per le strade di napoli c'era gente come me, o semplici vittime del glamour che cercavano il dettaglio per essere più trandy. Con la politica ho sempre avuto un rapporto pessimo, sono sempre stato dell'idea rovini tutto quello che tocchi. Vivendo fuori e tornando in patria, capii subito quale fosse il vero problema nelle sub-culture metropolitane come la mia, il vero problema è che tutto veniva visto in funzione della maledetta politica. Gli anni di piombo hanno lasciato una eredità troppo pesante alle giovani generazioni di ogni tempo. Quando vivevo tra le strade di Richmond il disagio sociale veniva gridato e urlato senza colori, era sputato in faccia alle "autorità" sotto il segno della working class. In Italia mi resi conto che non era cosi. Il disagio sociale veniva urlato sotto i colori di schieramenti politici estremisti, che usavano i ragazzi per le poltrone dei palazzi. Non ho mai sopportato coloro che si identificano negli ideali dell'estrema sinistra. La troppa tolleranza, il non comprendere che esistono differenze culturali e di costume che rendono impossibile, alcune volte, la convivenza e l'integrazione, non le ho mai digerite. Esistono differenze abissali tra uno nato in Italia e uno nato in Gran Bretagna, differenze sostanziali nel affrontare la vita , entrambi apparteniamo all'europa, che fino a quasi cento anni fa si dava battaglia ogni tot anni. Di conseguenza se spesso risulta difficile condividerei fatti della vita con un ragazzo inglese, anche lui figlio dell'occidente, come cazzo lo si puo' fare con un ragazzo Rom, musulmano o sa-il-cazzo-cosa che in confronto al socio inglese sono lontani anni luce dal nostro modo di vedere e interpretare la vita di ogni giorno? Io non credo nella stronzata della superiorità razziale, queste sono menate per invasati, ma sono consapevole delle differenzze di approccio alla vita che ci sono tra le diverse razze. Quindi, se proprio dovevo scegliere a chi affiliarmi, vedevo nei movimenti della dx molte più affinità. Tra i ragazzi il mio modo di pensare non era del tutto digerito, qualcuno di loro aveva fatto un abuso di letture propagandistiche degli anni venti. Raramente si scendeva in discussioni del genere, e quelle poche volte ci si scaldava molto ma sempre restando all'interno dell battaglia dialettica dato che già una volta avevo dimostrato che le mani e i piedi li sapevo usare bene per farmi sentire. Una sera eravamo in negozio a perder tempo. L'atmosfera era calma e rilassata, stavamo li a farci qualche latta e ad ascoltare rudi giri di basso e chitarra. In pochi secondi piombarono fuori al negozio una decina di pezzi di merda che dalle capigliature e il vestiario erano impeccabilmente riconoscibili in appartenenti a qualche schifoso CS. Io ricordo che avevo una latta grande di una birra tedesca da discount mezza piena tra le mani, ero seduto su di una cassetta di plastica con le spalle poggiate alla parete, il mio primo riflesso fu quello di saltare in piedi e tirare la latta contro quei coglioni nel preciso istante in cui il primo apriì la porta. Il negozio era posizonato in una traversa poco frequentata, abbastanza distante da una delle varie strade principali, quindi quando succedevano dei mezzi casini la cosa rimaneva li. La latta che tirai colpì in pieno volto il primo coglione, ma non essendo del tutto piena causò solo la meta dei danni che volevo infliggere. La mia prima mossa ci fece guadagnare qualche prezioso secondo. Davide scattò subito. Era seduto sul banco vicino del registratore di cassa. Balzò a terra e afferrò una sedia di plastica che stava davanti a lui. Gli altri erano li imbambolati, guardando gli stronzi li fuori con una espressione catotonica. Davide buttò giù due bei gridi nella speranza di svegliare Daniele e gli altri due, Giorgio e Luca. Vedendo l'inutilità delle urla di davide corsi contro Daniele, lo strattonai con forza e gli dissi di darsi una cazzo di svegliata. Durante questo arco di tempo i coglioni fuori erano entrati nel negozietto e puntarono dritti contro di noi. La prima cosa che vidi fu un'asta di bandiera venirmi contro la testa, il colpo fu secco e diciso, l'asta si ruppe ma non mi fece più di tanto male. Afferrai un tavolo di plastica sul quale erano ripiegate una seri edi T-shirt e facendomi aiutare da Davide lo usammo come scudo per spingere fuori dalla porta gli agressori. In quei momenti l'adrenalina era l'unica alleata su cui fare affidamento e tutt'oggi ricordando quegli eventi ringrazio la provvidenza del fatto che Davide era li con me, perchè se avessi dovuto far affidamento sugli altri tre, oggi forse, avrei usato a malapena le mani per poter scrivere. Con il tavolo come scudo caricammo gli stronzi che erano sull'ingresso, dei dieci totali, dentro erano solo in tre o quattro. L'impatto con gli stronzi fu bello duro. Uno di loro cadde, da sotto il tavolo inclinato vedevo uscire le gambe dello stronzo, e mentre spingevo con forza contro gli altri nel tentativo di buttarli fuori, mollai una pedata all'altezza del ginocchio del coglione a terra. Fortuna vuole che quel giorno indossavo i ranger con suola rinforzata in legno. Non conto balle, ma all'impatto della mia suola con il ginoccio dello stronzo sentii un "crack" seguito dal lamento urlato del minchione . Quando rimisi il piede a terra notai che la suola si era spezzata. Daniele si svegliò, e corse anche lui a far forza con il tavolo per scacciare fuori quella banda di merde. Mentre eravamo li che si spingeva, le merde dall'altro lato iniziarono a tirare degli oggetti che avevano portato con se. Uno mi colpì ad una gamba e fece abbastanza male, quando vidi cos'era notai un luccichio. Gli stronzi ci stavano tirnado contro dei bulloni e dei dadi delle dimensioni di una cazzo di moneta da 50 cent. La pioggia di metallo ci investì di brutto. Beccai un paio di bulloni sulla pelata uno dei quali mi tagliò coi controcazzi. Sentivo sulle guance lo scorrere caldo del sangue, ma io continuavo a spingere per evitare il peggio. In momenti come questi il corpo ti aiuta sprigionando dosi di adrenalina crescente, che ti danno quel tot in più di forza. Infatti anche se loro erano maggiori di numero a spingere, noi essendo sotto assedio riuscimmo a buttarli fuori dal negozio, ma i problemi erano solo all'inizio. Notai lo il tipo colpito al ginocchio trascinarsi zoppicando vistosamente fuori dalla mischia. Ci ritrovammo in tre davanti a otto. Loro fortunatamente avevano finito i bulloni e i dadi. Nel frattempo gli altri due, che fino a quel momento erano restati spettatori si diederò una mossa e accorserò anche loro fuori. Era il momento del corpo a corpo. Solitamente in queste occasioni, ho imparato , che bisogna restare uniti e avere le spalle coperte in modo da evitare di essere accerchiati ed essere colpiti da dietro. Alle spalle avevamo il negozio e davanti a noi gli otto ancora interi, otto, perchè due già li avevo messi fuori uso io, uno con la latta tirata sul naso e l'altro col ginocchio fottuto. Quel giorno indossavo una maglietta bianca con su un cazzo di logo della merc. Il sangue aveva chiazzato la t-shirt e la cosa mi fece andare in bestia dato che a quella cazzo di maglietta ci tenevo un casino. Mentre eravamo li, gli uni di fronte agli altri e non vedendo gli stronzi prendere l'iniziativa dissi a davide di buttarci contro per togliere quella che era divenuta oramai una posizione di stallo pericolosetta. Davide era un testa di cazzo come me, andava d'isitinto in queste situazioni ed è la cosa migliore. Iniziò cosi il corpo a corpo. Scelsi il mio bersaglio, era uno più o meno della mia statura ma molto più grasso. Portava addosso una cazzo di camicia militare con su la bandiera tedesca e dei jeans larghi che parevano aderenti su quelle sue gambe grasse del cazzo. Mentre mi ci buttavo addosso cacciò fuori dalla tasca uno di quei manganelli telescopici. Lo stronzo mi sorprese di brutto. Mi scagliò un bel colpo contro un braccio, il dolore fu lancinante, cosi forte che ricordo che mi piegai in due. Alzai il braccio per ripararmi la testa, perchè ero sicuro che il mio avversario ne avrebbe approfittato colpendomi ancora, ma le cose non andarono. Alzaì la testa e vidi che lo stronzo era accorso in aiuto di un suo socio che davide stava pestando di brutto. Cosi mi tirai su e mentre stava per sferrare un colpo a Davide gli mollai un pugno nei fianchi con il braccio che non m'aveva colpito. Essendo fine settembre e facendo ancora caldo, si andava ancora a mezze maniche, cosi non avendo strati di stoffa come maggiore protezione, il mio colpo fece piegare in due il ciccione che cadde in ginocchio a terra in una smorfia di dolore. Cadendo lasciò andare il manganello telescopico sul marciapiede. Facendo un ulteriore sforzo con il braccio colpito sferrai uno schiaffo sul naso del ciccione, ma subito dopo aver assestato il colpo senti una brutta botta all'altezza delle scapole. Persi l'equilibrio e caddi sul grassone. Al colpo subito, una volta a terra, ne seguirono altri, mi raccolsi in posizione fetale con le mani dietro la nuca a protezione, e capendo che su di me c'erano più persone capii che non potevo fare un cazzo. Mi sentii perso, ero sicuro che ne sarei uscito molto male, ma cosi non fù. Qualcuno dovette avvisare la polizia municipale, perchè dopo pochi secondi che sembravano un eternità i colpi cessarono, e con la coda dell' occhio vidi un fuggi fuggi generale. Ancora oggi sono cnsapevole che mi andò di lusso quel giorno, ma si sa, la fortuna aiuta gli audaci, nella maggior parte dei casi. A fatica mi rimisi in piedi con l'aiuto di Davide e Daniele. Non sapevo dove mi facesse più male dato che il mio corpo era tutto indolenzito. Il sangue si era ragrumato e il taglio sul capo iniziava a pulsare di brutto. Subito dopo la Polizia municipale arrivò una volante di pulotti. Noi cinque eravamo li, mentre dei dieci agressori erano rimasti solo in due, il ciccione che avevo randellato e lo stronzo a cui avevo dato una pedata al ginocchio. Fummo immediatamente tutti quanti perquisiti e dopo la trafila del riconoscimento chiesero cosa fosse successo per stendere verbale e fare le dovute denunce. Io non parlai, Daniele che era il titolare del negozio diede la versione dei fatti, il ciccione dolorante non disse nulla ma era li che singhiozzava come un bambino a cui hanno tolto la palla. Uno dei pulotti mi domandò se stessi bene e con un cenno del capo affermai di si. Da un portone vicino usci fuori una anziana donna che raccontò ai pulotti la stessa versione di Daniele, cosi i due sbirri presero il ciccione e l'altro e li caricarono in macchina. Fecero firmare a Daniele un verbale e avendo chiara la dinamica dei fatti e che noi eravamo parte lesa, informarono Daniele che poteva denunciare i due coglioni per danni e aggressione,ma Daniele, giustamente, rispose che per lui la storia era finita li. I pulotti filarono con i due stronzi caricati in macchina e dopo cinque minuti e una serie di domande anche i due vigili sgommarono via. Ci guardammo tutti in faccia. Chi più e chi meno avevamo fatto la nostra parte. Con il corpo tutto rotto mi diressi zoppicando verso Daniele al quale diedi due pacche sulle spalle. Per tutta risposta Daniele tirò fuori un "Cazzo che storia" e sorrise. Luca e giorgio sembravano due fantasmi, mentre Daniele dava un occhiata al negozio per conteggiare eventuali danni. A parte il tavolo di palstica e un po di casino e il vetro scheggiato da qualche dado tutto era ok. Luca e giorgio si diedero una mossa e raccolsero le magliette per terra e con una scopa spazzarono via i bulloni e i dadi davanti l'ingresso.Davide ed io ci sedemmo sul marciapiede e l'anziana donna ci domandò come stavamo. Le rispondemmo che tutto era ok e la congedammo con un sorriso. Scambiai due chiacchiere con davide sull'accaduto, convenimmo che c'era andata di lusso e che fortunatamente i tipi erano delle mezze seghe. La stessa notte mi incontrai con Viviana alla quale raccontai del perchè andassi con la testa in quelle condizioni e con l'andatura da quasimodo. Ebbi una forte discussione, lei mi addossava sempre le solite colpe del cazzo, così una parola tira l'altra le dissi di lasciarmi stare e che tra di noi non c'era più un cazzo da dire. Così l'indomani mi sarei ritrovato senza passaggio per andare al lavoro e con una collega avvelenata... mi aspettava un fine settimana del cazzo...

Cap XXXIX

‎venerdì ‎24 ‎dicembre ‎2010, ‏‎01:50:05 | brainiacVai all'articolo completo
I giorni trascorrevano velocemente e con essi l'estate giunse al termine. Viviana era diventata un punto fermo. Spesso veniva a casa verso le nove del mattino citofonava e mia sorella o mia madre, prima di andar via, le aprivano portone e porta di casa e lei aspettava i miei primi segnali di sveglia per poi completare l'opera entrando in camera. Erano anni che le donne di casa conoscevano Viviana. Avevamo fatto elementari e medie insieme, per poi dividerci nell'età ingrata, quindi non avevano problemi a lasciarla sola in casa mentre io dormivo. Una mattina in particolare, ricordo, che sentii mia madre salutarla e chiudere la porta. Dai forellini della persiana la luce provava a irrompere nella mia camera. Sentii il cigolio della porta e i suoi passi portarla sul ciglio del mio sofà. Si sedette e sentii le sue dita ricalcare morbidamente i tatuaggi sul mio corpo. Aprii gli occhi e le sorrisi. I problemi idraulici del risveglio non la scandalizzavano, anzi sembrava quasi che la divertissero. Non ero innamorato di lei, ma le volevo un bene dell'anima. Quella che ami e quella che ti ama non sono mai la stessa persona. Le notti di agosto le trascorravamo insieme, in giro per la città o semplicementi seduti su una panchina a fumare e bere qualcosa, fantasticando o raccontanto delle nostre cose passate. Spesso si finiva su da me ad ascoltare un po' di musica o a guardare qualche dvd. Con l'inizio di settembre ricominciammo a lavorare, e tutto sembrava filare per il verso giusto, fino a quando il passato non mi investì in pieno nuovamente. Un pomeriggio, di metà settembre, stavo passeggiando per le strade di un quartiere vicino, alla ricerca di un negozio che vendesse articoli d'abigliamento inclini alla mia linea di vita. Dopo qualche informazione e un sacco di passi a piedi, scovai, in una traversa, questo negozio d'abbigliamento. Diedi una scorsa alla vetrina e subito riconobbi i marchi tipici della cultura skin, punk, mode ma anche hardcore. Quando entrai il commesso e un altro ragazzo mi squadrarono immediatamente. Salutai, ma non risposero, cosi fischiettando cominciai a dare un'occhiata in giro annusando la brutta aria che tirava. Capii immediatamente che i due stronzi cercavano la scusa per rompermi i coglioni e dovetti aspettare solo qualche minuto per la loro prima mossa. Infatti lo stronzetto che stava dietro al banco si inchiodò davanti la porta mentre il suo socio mi venne incotro. Quando fu a pochi passi da me mi chiese chi fossi e da dove venissi. Risposi allo stronzo di stare calmo e gli diedi una pacca sulla spalla in segno di pace, ma il coglione non accettò di buon grado il mio gesto e di riflesso mi spinse con una certa veemenza. L'adrenalina nel corpo già aveva fatto il botto, il cuore pompava come il motore di una jaguar spinto al massimo dei giri e le mani pulsavano come le casse in un fottuto rave techno. La reazione del corpo fu immediata, molto più veloce della mente, cosi mi gettai sullo stronzo senza pensarci due volte. Il coglione, evidentemente, non si aspettava la mia azione, notai sulla sua faccia una smorfia di incredulità, pensava che facendo lo stronzo mi sarei cagato sotto, ma aveva sbagliato strategia con il sottoscritto. Quei mesi di palestra e cardio fitness, avevano ridato al mio corpo volume, agilità e potenza. Scagliai al coglione una serie di pugni allo stomaco, una combinazione veloce che gli tolsero il cazzo del fiato. Cadde in ginocchio tenendosi lo stomaco stretto tra le braccia, prima di dargli il colpo del k.o., intravidi con la coda dell'occhio il movimento del suo socio che era davanti la porta. Lo sfigato cagasotto, tirò fuori dalla tasca un cellulare e urlò a qualcuno di correre in negozio. Ero fregato, ma pensaì che tanto valeva andare fino in fondo. Assestai un calcio al fianco dello stronzo inginocchiato davanti a me e mi diressi come una furia contro l'altro coglione. Il cagasotto scappò dietro al banco da dove tirò fuori una spranga che doveva essere di allumino, perchè quando me la scagliò contro, al contatto col mio braccio, si piegò facilmente senza che mi procurasse seri problemi. Afferaì il palo e con una brusca tirata lo tolsi dalle mani dello stronzo. Una volta che ebbi la pseudo-spranga tra le mani, iniziai a scagliarla ripetutamente contro lo sfigato. Provò a riparasi dai miei colpi assumendo una posizione fetale in un angolo tra parete e banco. Tanto la smisi di accanirmi con il palo sullo stronzo quando si spezzò in due parti. Gli tiraì contro i due spezzoni e iniziaì a colpirlo con dei calci. Non so quanto cazzo di tempo dovette trascorrere da quando notai il coglione chiamare qualcuno. Fatto sta che mentre ero impegnato sullo stronzetto, nel negozio entrarono altri due ragazzi. Ero di spalle e non potetti vederli chiaramente dato che ero impegnato a dare la paga al coglioncello. Quando mi voltai, pronto per difendermi dagli altri due mi fermai di colpo. Il primo che avevo lasciato a terra rantolando gridò ai due nuovi arrivati di farmi saltare i denti dalla bocca, ma uno di loro gli gridò di chiudere quel cesso di bocca e guardandomi scoppiò in una fottutissima risata. Era Davide, il ragazzo con cui mi allenavo spesso in palestra. Domandai a Davideche cazzo ci facesse li e lui rispose che avevo combinato un bel casino e corse ad abbracciarmi. Nel frattempo i due rinco si rimisero in piedi a fatica e quasi increduli nel vedermi abrraciare Davide si domandarono chi cazzo fossi. Davide parlò per me e quando tutto fu chiaro diedi la mano a quelli che fino a qualche minuto fa volevano farmi il culo ma che non ci erano riusciti. Mi scusai se ci ero andato giù pesante, ma del resto se lo erano cercato. Davide mi spiegò che spesso, era capitato, che in negozio fossero andati tipi di altri gruppi per fare casini, cosi i due non conoscendomi e vedendomi entrare solo avevano pensato che non fossi di Napoli e per questo volevano darmi la paga. Tutto fini con pacche sulle spalle e delle risate. Domadai se nelle vicinanze c'era un bar o un supermarket per offrire a tutti un giro. Davide disse al tipo che avevo bastonato con il palo d'alluminio di chiamare al bar e far portare un tot di birre. Lo stronzo eseguì. Quando arrivò il ragazzo pagai per tutti resistendo alle pressioni di Davide che voleva offrire lui. Ci sedemmo su sedie di fortuna e inziammo a bere e a chiacchierare del più e del meno. Tra una stronzata e l'altra, venni a conoscenza del fatto che alcuni soci d'infanzia, con i quali spesso facevo brigata e andavo allo stadio cercando di saltare, erano diventati, chi più e chi meno, dei capoccia. Trascorse un'oretta e i due che avevo lisciato per benino inizavano a guardarmi con un senso d'ammirazione. Erano più piccoli di me di qualche anno e dovevano farne di strada per mettersi al passo. Cosi dissi alla compagnia che per me era venuta l'ora di tornare a casa. Davide mi chiese se volevo un passaggio, rifiutai ringraziandolo gli risposi che volevo tornare a piedi per smaltire quel po' di adrenalina che m'era rimasta in circolo. Sorrise e mi diede una pacca sulla spalla. Prima di togliermi dai coglioni scelsi una camicia ben sherman e una polo della fred perry. Chiesi quanto fosse ma davide mi disse di lasciar perdere, di considerarle un risarcimento alla vicenda. Gli risposi che non se ne parlava proprio, ma lui insistette, cosi tirai fuori una banconota da 50 e la misi sul banco e dissi che andava bene cosi. Mi salutai con Davide, dandogli appuntamento in palestra e prima di congedarmi dagli altri tre rinco raccomandai ai due di migliorare sensibilmente, perchè da che mondo è mondo chi è in numero maggiore vince, e non il contrario. Uscito dal negozio mi incamminai direzione casa, e ripensando al tutto mi feci una bella risata...

Cap XXXVIII

‎giovedì ‎23 ‎dicembre ‎2010, ‏‎01:53:53 | brainiacVai all'articolo completo
Lavorare solo i fine settimana era abbastanza tranquillo, in più il mio compito era divertente. Stare dietro un banco a spillare pinte di birra, farsene qualcuna durante il turno e parlare con qualcuno era abbastanza divertente. Grazie a Viviana potevo tenermi impegnato almeno tre giorni su sette e la cosa mi andava benissimo. Questo Pub era frequentato per lo più da i ragazzi della "napoli bene". Figli della periferia come me non se ne vedevano. Quando entravano le comitive li vedevi tutti vestiti benissimo. Giacche, soprabiti, capelli e trucco impeccabile. Sembrava di assistere alla settimana della moda di Milano. Non dovevo portare nessuna divisa, mi dissero che con una polo e un paio di jeans stavo ok, non chiedevo altro dato che all'epoca e tutt'oggi il mio guardaroba consiste solo in jenas, polo e camice a maniche corte con qualche felpa. Questa struttura era stata tirata fuori da un antico palazzo di fine ottocento. I due livelli erano ripartiti molto bene, al piano livello strada c'era la birreria con i tavoli e il meganaco dove stavo io, sotto, nel sottolivello era allestita una sorta di cucina dove un paio di persone assemblavano piatti tipici da fast food. Nei momenti di caos non mi staccavo dai rubinetti a riempire bicchieri su bicchieri. La guinness andava fatta riposare, la lager versata con una certa inclinazione e la Ale fortunatamente non esisteva. A lavoro ci andavo con Viviana, lei era "automunita" cosi io le pagavo la benzina e lei in cambio mi dava un passaggio. Tutto sommato era una brava ragazza. Forse le piacevo, ma non volevo rovinare il rapporto che avevo con lei, la consideravo un'amica, anche se si dice che l'amicizia tra due persone di sesso opposto è impossibile, io volevo crederci. No che non me la sarei fatta, se avessi avuto occasione, perchè tutto sommato fisicamente la tipa c'era, ma ripeto, non volevo rovinare quel rapporto che per me era classificato come amicizia, e si sa, il sesso ste menate le inclina sempre. Per evitare di combinare casini durante la settimana, avevo deciso di iscrivermi presso una palestra sotto casa. Ero proprio intenzionato a fare il bravo ragazzo ma ho sempre avuto il presentimento di essere come maometto, infatti se per lui la montagna era capace di muovere il culo, per me era cosa analoga con i guai, sempre pronti a farmi tana. Un giorno mentre ero a sudare in palestra fui avvicinato da un ragazzotto che dal viso già avevo classificato. Con la scusa di chiedermi aiuto per alcuni esercizi iniziò ad attaccare bottone. Dai suoi modi di fare già capii con chi avevo a che fare. Parlando e allenandoci, scoprimmo di avere parecchie conoscenze in comune, contatti, termine ideale per i tempi che corrono. Tutte persone che gravitavano nel giro delle curve. Cosi, per mezzo di associazioni e cazzi vari, venni a sapere che lui mi conosceva per racconti tramandati oralmente da altre persone su alcune stronzate fatte con altri soci nei tempi in cui per me la vita era solo "tirarsi" guai. Ogni giorno che ci allenavamo insieme trascorrevamo molto tempo a parlare, ma la cosa finiva li. Nè lui mi propose di rientrare in certi ambienti, nè io gli feci intendere che ne avevo voglia. Aspettavo ogni venerdi con trepidazione, e il fatto che stessi fuori da certi casini, e che per un certo verso conducessi una vita abbastanza normale, mi stava dando un certo equilibrio mentale che ultimamente avevo perso. Le settimane trascorrevano e cosi i mesi. Ormai eravamo arrivati a fine giugno ed erano quasi trascorsi tre mesi dal mio rientro a casa. Viviana si faceva viva anche durante la settimana, spesso veniva a citofonarmi e insieme andavamo in giro per napoli tra negozi di libri e musica, o semplicemente a perderci per le strade della nostra città. Spesso ci fermavamo nei giardini del palazzo reale, dove si poteva accedere a quelle che una volta erano le stalle di corte, e li c'erano posti dai quali si poteva ammirare il golfo e parte della costa. Spesso ci si sedeva in questi posti e ci fermavamo a parlare per ore. Con Viviana mi sentivo a mio agio. Con lei potevo parlare liberamente di me. LE raccontai delle sbronze prese, dei casini combinati, anche di Ana e Lex, di Rob e Martin, delle mie apparizioni in film per adulti. Le raccontavo di tutto e lei era sempre li ad ascoltarmi senza mai nè scandalizzarsi nè fare facce strane. Una sera mentre eravamo in auto tornando da lavoro, Viviana mi chiese se poteva salire da me. Era un sabato notte, o meglio dire era quasi l'alba della domenica. Le dissi che non c'era nessun problema, cosi parcheggiammo e salimmo su . Entrammo in camera e ci sedemmo sul divano letto con le finestre aperte. Dalle finestre di camera mia si poteva vedere benissimo il cielo. Viviana mi si fece vicino, il suo profumo iniziò a far vacillare in me quelle certezze che avevo sull'amicizia. Mi prese la mano e poggio la sua testa sulla mia spalla dicendomi che vedere il sorgere del nuovo sole con me per lei valeva molto. La strinsi tra le mie braccia e mentre la luce dell'alba iniziava a disperdere l'oscurità la baciai. Facendo attenzione a non fare troppo rumore facemmo l'amore. Sapevo che da quel giorno non avrei più potuto confidarmi cosi liberamente con lei. Il sesso spesso rovina tutto. Ci addormentammo abbracciati, sentii dalla casa i rumori del risveglio di mia madre e mia sorella. Richiusi gli occhi stringendo a me Viviana.

Cap XXXVII

‎martedì ‎21 ‎dicembre ‎2010, ‏‎02:03:43 | brainiacVai all'articolo completo
L'aria iniziava a scaldarsi, l'estate era alle porte e le notti s'infuocavano. Il ritorno a casa fù come un tuffo nei ricordi. Mi ritrovavo in quella camera che mi aveva visto crescere e sbandare. Trascorrevo le notti a fumare e bere, seduto sul pavimento in boxer e canotta. Le fredde piastrelle mitigavano la temperatura del mio corpo in quelle notti cosi calde. Ogni volta che mi stendevo sul divano era un'impresa ardua riposare. Mi giravo e rigiravo senza dare pace al mio corpo e alla mia mente. L'insonnia sembrava rifare visita la mio corpo e non solo per colpa dell'afa cittadina. Così trascorrevo la maggior parte delle ore notturne seduto fuori al balcone, il cielo assumeva colori che variavano dal lilla al blu prussiano. Le luci della città si scagliavano come lance nello scuro firmamento. Sembrava di assistere ad un'alba continua, senza fine e senza tempo. Le giornate mi scivolavano addosso. In casa restavo solo la maggior parte del tempo, e quando mia sorella o mia madre rientravano io scendevo per perdermi nella città, senza meta. I soldi, fortunatamente , non mi mancavano, il conto corrente era bello pieno e di questo dovevo ringraziare Martin e Roy. In casa davo una mano a mia madre. Riempivo metodicamente frigorifero e dispensa, ogni tanto le facevo trovare dei fiori sulla tavola della cucina. Non avevo necessità di trovarmi un lavoro, ma in una città come napoli questa non esigenza puo' risultare molto pericolosa. Se non sei impegnato rischi parecchio di finire in strani giri, soprattutto se vivi in quartieri dove le leggi sono quelle imposte dalla strada e non certo da uno stato che in queste zone è considerato come una zecca succhia sangue. Ero convinto del fatto che tornare fosse stato un errore. In passato avevo avuto dei problemi, ero un ragazzino, vivevo costantemente per strada, i consigli e anche le botte dei miei non funzionarono molto. Quando vedi alcuni tuoi amici, con biglietti da 100 o 50 in tasca, senza che si rompano il culo a lavorare più di 8 ore come magari il tuo vecchio, allora vuoi capirci meglio, e senza manco che te ne accorgi ti ritrovi a vendere sigarette di contrabando, o cose più pesanti. Per non ricadere in errori del passato, decisi quindi di mettermi alla ricerca di un lavoro. Cosi un bel giorno scesi e comprai un giornale locale solo per annunci. Andai alla sezione ristoranti e alberghi e cominciai a cerchiare tutte quelle offerte che potevano risultare interessanti. Alla fine mi ritrovai con una bella lista con su una decina di numeri e nomi. Chiamai tutti i numeri, la maggior parte non rispondeva e i pochi che rispondevano dicevano che già avevano trovato quello che cercavano. Trovare lavoro nella mia città è sempre stato come giocare al lotto. Metti sempre i soldi sulla stessa combinazione e un giorno vincerai. Trascorsi cosi quattro cinque giorni chiamando e domandando lavoro senza mai portare qualcosa in porto. Una mattina mentre gironzolavo per strada fui fermato da una ragazza della mia stessa età. Guardandola bene aveva dei tratti familiari, lei mi osservava con interesse e dopo circa due minuti di eterno silenzio, esclamò il mio nome. Sarà stato l'uso di alcool e droghe, ma lei sembrava conoscere me, ma io di lei non avevo nessuna idea di chi fosse. Quando però lei pronunciò il suo nome mi si aprirono le porte dei ricordi e rividi in quella ragazza dai lunghi capelli neri e dalla carnagione bianca una mia vecchia amica di scuola, Viviana. Quando ci ricordammo reciprocamente l'uno dell'altro lei mi si fece in contro e mi abbraccio baciandomi prima sulla guancia destra e poi sulla sinistra. Assecondai con piacere i movimenti del suo capo.Mi fece presente che erano quasi sette anni che non ci si vedeva. Eravamo li impalati sotto il sole cocente. LE chiesi se le andava di andare a prenderci qualcosa da bere e metterci un po' al giorno sulle nostre rispettive situzioni di vita. Lei accettò di buon grado, e l'uno di fianco all'altra ci incamminammo chiacchierando verso un bar storico, che ricordo esistere da quando ho memoria della mia vita. Viviana era proprio sbocciata. Quando eravamo ragazzini era molto esile, ma il suo color porcellana della pelle e i suoi lunghi capelli neri erano sempre uguali. In quel momento, non vedevo più la piccola Viviana, ma una donna di una discreta bellezza, che emanava un'energia positva. Arrivati al Bar ci sedemmo e iniziammo a raccontarci un po' di cose. Lei mi disse che s'era laureata in beni culturali, ma che era finita a lavorare come cameriera in un Irish pub in un quartiere non molto lontano dal nostro. Io le raccontai in sintesi i miei ultimi tre anni, e come per giulia, notavo anche in viviana crescere sempre di più la curiosità nei miei confronti man mano che andavo avanti con il resoconto della mia vita. Le spiegai che ero alla ricerca di un lavoretto, anche part time, per evitare di ricadere in certe cazzate, ma che al momento non avevo trovato nulla. Notai che alzò gli occhi al cielo, nel frattempo arrivò un ragazzo che prese le ordinazioni, io andai di beks, viviana optò per un caffè. Quando il ragazzo se ne andò mi disse che aveva avuto un'idea. Prese il cellulare dalla sua borsa e compose un numero. Parlò con qualcuno, e capii che stava provando a piazzarmi nel pub dove lavorava. Dopo circa cinque minuti disse al suo interlocutore di aspettare un'attimo, diresse la sua attenzione nei miei confronti e mi disse che il suo capo aveva bisogno di una mano dal venerdi alla domenica e mi propose di fare il banconista. Le dissi che per me era ok, non domandai nenache quanto fosse stata la paga, non m'interessava più di tanto. Cosi viviana disse al suo boss che per me era ok e aggancio il telefono. Mi spiegò un po' di come funzionava il locale e di che cosa mi sarei dovuto occupare. Versare birra alla spina non era certo un problema, anzi, sicuramente mi sarei divertito. Notai subito un megasorriso sul suo volto,mi confidò che era felice di riavermi incontrato e che per giunta, dal prossimo fine settimana saremmo stati anche colleghi di lavoro. La ringrazai per l'aiuto, ma lei rispose che non c'era motivo. Restammo li a parlare per molto tempo e quando fu ora di andare, mi lasciò il suo numero e mi disse di chiamarla anche prima di venerdi se avevo voglia di rivederla. mi segnai il suo numero su un pezzo di tovaglolo di carta e me lo riposi in tasca. Ci salutammo con un forte abbraccio. La sera dello stesso giorno composi il suo numero, e quando lei rispose le domandai se avesse qualcosa da fare...

Cap XXXVI

‎lunedì ‎20 ‎dicembre ‎2010, ‏‎02:23:03 | brainiacVai all'articolo completo
I due giorni di Roma si trasformarono in due settimane, le due settimane in due mesi. Giulia giuLa vita è strana, strana forte. E' come le montagne russe, prima sei su, poi giù e cosi via. Siamo intrappolati nella nostra cultura, nel fatto che siamo esseri umani su questo pianeta con i cervelli che abbiamo, e due braccia e due gambe come tutti. Siamo così intrappolati che qualsiasi via d'uscita riusciamo a immaginare è solo un'altra parte della trappola. Qualsiasi cosa vogliamo, siamo ammaestrati a volerla. Giulia iniziava ad essere opprimente. Continuava nella farsa con il suo tipo, mi usava come il suo giocattolo da tenere ben stretto solo nei momenti adatti. La cosa inizava a pesarmi, perchè mi lasciava in una posizione di stallo e quindi di scazzo. Lei usciva, andava ai corsi e per ora di prnazo tornava a casa dove dopo un boccone veloce mi metteva sotto, per poi tornare a lezione, vedersi con il suo tipo e tornare in tardo pomeriggio per poi rivedersi con il suo tipo e poi ritornare da me per fare, ancora una volta sesso. Un giorno, stanco di tutto, decisi di andare via, così una mattina rimisi tutto nel mio sacco e scrissi un biglietto a Giulia. Chiusi la porta direzione stazione. Presi il primo treno per napoli. Era un' interegionale, uno di quelli che faceva tutte le fermate in paesini di cui ignoravo l'esistenza. Il viaggio sembrò durare una eternità, senza birra e senza sonno dovetti starmene li buono a vedere il paesaggio scorrere lentamente. Non appena il treno fece ingresso in stazione già avevo voglia di andare via. Scesi dal mezzo e mi avviai verso la metro. Feci il biglietto e a testa bassa inserendo il pilota automatico cerebrale mi ritrovai a pochi metri da casa. Alzai la testa per rivedere quell'enorme alveare in cemento armato. Poco era cambiato nel mio quartiere e del resto non mi aspettavo nessuna novità. A Casa non avevo avvisato nessuno del mio arrivo, per quanto risultasse ai miei familiari io ero ancora in Olanda. Quando entrai nel blocco subito rividi una faccia amica del passato. Mi fermai a salutare Giovanni, un ragazzo con cui trascorsi la mia infanzia a dare calci a un pallone e a quasiasi cosa gli somigliasse. Parlammo un poco del più e del meno. Vivevamo nella stessa scala. Ci incamminammo verso il nostro palazzo e quando fummo in prossimita del portone intravidi mia sorella arrivare dalla direzione opposta. Quando mi vide diede l'impressione d'aver visto un fantasma. Erano tre anni che non mi vedeva e che io non vedevo lei. Corse verso di me e mi abbracciò. L'ultimo abbraccio che mi diede fu quando aveva 5 anni ora ne aveva quasi dicianove. Mi bombardo di domande, sistematicamente non le risposi a nessuna. In tre entrammo in ascensore. Quando Giovanni arrivò al suo piano si congedò strappandomi la promessa che una sera saremmo andati a bere qualcosa insieme. Nessun problema, gli risposi, quando c'era da bere per me era sempre un piacere. Arivammo al nostro piano. L'ultimo, la cima della torre. Mia sorella tirò fuori le chiavi e aprì la porta. Salutò mia madre e le disse che aveva una sorpresa. Quando mi vide resto immobile, sorrise e piangendo corse ad abbracciarmi. LA cosa già iniziava a frasi opprimente e sentimentale. Dopo le varie domande di rito mi disse se avevo sete, le chiesi se aveva un birra. Storse il naso e mi disse che bere faceva male, cosi le domandai una coca o qualcosa del genere, da buona napoletana cacciò fuori dal frigo un bel bottiglione di chinotto arnone, che più made in naples non poteva fare. Bevvi tutto di un fiato, e l'aroma amaro del chinotto mi catapulto a quando ero un ragazzino che dava calci al pallone e scorrazzava in pantaloncini e canotta per le strade semi asfaltate di quei blocchi di periferia con i suo soci. Mi affacciai dal balcone, da li si vedeva tutto il golfo e il vesuvio. In quel momento sovrastavo il mio quertiere e napoli, una città bellissima, che tanto amo e che tanto odio. Rientrando domandai di mio padre. Mia sorella abbassò lo sguardo e mia madre senza scomporsi mi disse che erano più di sei mesi che avevano deciso di separarsi. La cosa non mi sorprese più di tanto. Le domadai come stava, mi rispose che stava bene, tutto come sempre, ma che oggi era felicissima e mi strinse un'altra volta a se. Entrai nella mia camera. Tutto era come quando la lasciai. Mi sedetti sul mio divano letto e chiusi gli occhi. Dalla finestra aperta entrava la voce di un ambulante, il brusio delle macchine, le note di qualche neomelodico, ero a casa...

Cap XXXV

‎domenica ‎19 ‎dicembre ‎2010, ‏‎02:18:46 | brainiacVai all'articolo completo
Il ritrovarmi in Italia dopo quasi tre anni trascorsi tra il regno unito e i paesi bassi fù quasi uno shook. La gente, i ritmi di vita completamente diversi. Riabituarmici sarebbe stata dura, ma come primo impatto non fu malaccio grazie alla giovane Giulia. Su insistenza proprio di quest'ultima i due giorni si trasformarono in una settimana. In quel lasso di tempo contribui all'economia delle pivelline con grosse compre che riempirono frigorifero e dispense varie. Mi sembrava quasi di essere un padre di famiglia, dato che spesso cucinavo per le ragazzine che tornavano dai corsi. Avevamo solo, in media, tre anni di differenza, ma mi sembrava che a separarci ci fosse una generazione. Fabio, il tipo di giulia, iniziava a vederci poco chiaro sulla mia presenza, giustamente lo sfigato era molto contrariato. Così un bel giorno, si armò di coraggio, venne a casa di Giulia e company e disse che voleva parlarmi a quattrocchi. Lei provò a farlo calmare sussurandogli che stava prendendo una svista, che tra me e lei non c'era assolutamente nulla e che in fin dei conti era come se nell'appartamento ci fosse un inquilino in più. Giustamente lui non sentiva ragioni e insisteva per un confronto diretto con il sottoscritto. Io ero li calmo che mi scolavo la mia latta e che sinceramente capivo benissimo lo stato d'animo del coglioncello. Convinsi Giulia a farsi da parte e con molta calma mentii a Fabio confermadogli le parole dette da Giulia. Notavo nei suoi occhi la rabbia e la delusione del cornuto, ma il mondo gira cosi. Oggi a me, domani a te. E' la legge. Gli passai una latta come segno distensivo, ma la stessa, la latta, appena arrivata nelle sue mani venne scagliata, dallo stronzo, contro la mia faccia. L'impatto con la lager fu veramente doloroso. Ricordo solo un flash violaceo, e subito dopo un forte dolore con una sensazione di qualcosa di caldo che scivolava sulla parte dolorante. Giulia gridò, io portai la mano al volto e quando la tolsi notai che era tutta sporca di sangue. Rividi la scena di qualche mese indietro, con gli occhi di Lex, quando fui io a colpire lui per gelosia. Avevo una gran voglia di scaricare tutto il dolore di quel momento sullo sfigato. Ma rivivendo il tutto nei panni dello sfascia coppie, e sapendo che cosa provava quel povero stronzo, cercai di mantenere la calma e strinsi i pugni fino a bloccare la circolazione del sangue. Giulia urlava contro Fabio, e lui era li fermo quasi incredulo. Con voce pacata dissi a lei di calmarsi, e a lui di sedersi e di non tirarmi altre cose. Tutt'oggi penso che la mia calma olipica in quella situazione sorprese tutti me compreso. Domandai a giulia un'asciugamano che ebbi in pochi attimi. Meditai bene sulle parole che volevo dire allo stronzetto geloso ma prima che aprissi bocca mi domandò se volvevo che m'accompagnasse al pronto soccorso. Mi tamponai la guancia con l'asciugamano e gli risposi che per il momento non c'era bisogno di andare in nessun cazzo di posto. Il copri tavola in cucina era tutto sporco di sangue che iniziava a ragrumarsi. La scena faceva molto trash, e la cosa,in un certo senso, mi piaceva. Ripresi in mano la situazione e chiesi nuovamente a giulia di passarmi una birra fredda, che aprii e iniziai a bere. L'alcool ha sempre avuto un effetto terapeutico su di me. Mentre regnava il silenzio interrotto solo dal rumore dell'allumino stretto tra le mie dita, dissi a Fabio che comprendevo benissimo il suo stato d'animo, che era normale che fosse geloso di Giulia, che oggettivamente era una gran gnocca e anche abbastanza sveglia. Gli ripetetti, da fariseo, che tra me e lei non c'era stato nulla, ma che arrivati a questo punto, dopo essermi beccato questa bella trambata in faccia, qualcosa mi era dovuto. Improvvisamente fui colpito da una vampata di calore, mi sfilai la felpa, anch'essa sporca di sangue e permisi ai tattoo sul mio braccio destro di prendere aria e fissare lo stronzetto seduto davanti ai miei occhi. Mentre l'emoralgia di sangue iniziava a fermarsi dissi a Fabio che non avevo intenzione di prenderlo a calci nel culo, perchè anche io ci ero passato. Ma quando lo stronzo, alttezzosamente, mi disse che m'avrebbe fatto il culo se avessi provato a dargliele, la mia pazienza scomparve completamente. Lasciai cadere l'asciugamano e con le gambe cariche come due molle mi diedi una spinta di quelle cazzute, cosi cazzute che mi catapultai come un tuffatore sul povero stronzo, che non ebbe manco tempo di capire cosa cazzo stesse accadendo. Giulia urlò di nuovo ma non ci feci caso. Lo stronzetto era li disteso sulla schiena con le mie due ginocchia che premevano sulle sue braccia ormai bloccate. Potevo fargli davvero male, ma mi limitai a dargli uno schiffone sulla pelata e ad una bella tiratad'orecchie. In quei suoi occhi vidi scomparire la spavalderia, che lasciò posto alla paura più disperata. Nel frattempo Giulia mi poggiò le sue mani sulle spalle e mi implorò di lasciarlo stare. Non ero intenzionato a fargli nulla, cosi lasciai la presa e mi sollevai da terra e prima di andare al bagno per guardare allo specchio lo stato della mia ferita sulla guancia, mollai una pedata allo sfigato, ancora a terra, all'altezza dei fianchi. Un bel colpo secco. Una volta in bagno sentii come Giulia cacciava di casa a Fabio per poi venire in bagno a sincerarsi delle mie condizioni. Il taglio non mi sembrava profondo, ma l'unica rottura era il gonfiore tutt'intorno. Raggiunto da Giulia le chiesi se avesse in casa qualcosa per disinfettarmi. Mi passò dell'ovatta con acqua ossigenata e con ste due cose mi pulii la ferita. Giulia era li muta che mi osservava preoccupata. Le dissi di stare calma, che quello era un grafietto, che stavo bene. Capii che era scossa, che forse non aveva mai assistito ad una disputa che andasse oltre alla schermaglia dialettica, ma del resto se aveva scelto di farsi il chelsea doveva abituarsi a ste menate, che sono all'ordine del giorno per chi sceglie questo stile di vita. Mi avvicinai al suo viso. Mi tuffai nei suoi occhi castani e la baciai dolcemente sulle labbra. Per risposta lei mi prese le mani che avevo poggiato sul suo viso e me le accarezzò. Mi chiese scusa, ma dissi che andava tutto bene. Ripulimmo un po' la cucina dalle macchie di sangue in modo tale da non creare casini con le altre coinquiline. Una volta rimesso tutto in ordine dissi a Giulia che mi sarei andato a fare una doccia. Mentre ero li sotto l'acqua bollente, vidi una sagoma attraverso della tendina. Era Giulia, che completamente nuda entrò anche lei sotto la doccia...

Cap XXXIV

‎sabato ‎18 ‎dicembre ‎2010, ‏‎01:55:44 | brainiacVai all'articolo completo
Dalla sventurata serata trascorsero circa due settimane. Il ciccione a cui diedi la paga non si presentò per rendermi quello che gli avevo stampato in faccia. Rob tantomeno si fece più vivo. Del resto avevo mancato di rispetto ad un capoccia della sua curva, ma sono sempre stato il tipo di persona che se ne frega di chi sei. Se meriti rispetto lo dimostri, non riempi l'aria con inutili racconti . Si era prossimi al mese di aprile, il contratto mi sarebbe scaduto a giorni, con il boss avevo già concordato sul fatto che non ci sarebbe stato nessun rinnovo dato che ero intenzionato a ritornare nella mia città. Un giorno entrai in una agenzia e prenotai un volo diretto per Roma. Da li poi avrei preso un treno che m' avrebbe riportato a casa. Giunse il giorno dell'addio ad Amsterdam, mi promisi di non rimetterci più piede e ad oggi la promessa è ancora mantenuta. Se londra e Glasgow mi avevano lasciato tanto a livello umano, Amsterdam l'avevo vissuta in stand by. Il perchè non lo so, ma credo che ogni posto ha una sua energia che si fonde con il tuo io e se le due sono compatibili allora tutto è ok, ma se invece collidono allora meglio che non ti fai troppi problemi e molli la presa. Giunto all'aeroporto mi diressi all'accettazione, fatturai il mio bagaglio e superai i controlli per poi trascorrere le ultime ore in olanda tra un duty free e un cazzo di bar. Gli aeroporti mi hanno sempre dato la sensazione di essere come piccole città di confine, tutte uguali, abitate da persone in continuo transito. Mi fermai al primo bar che adocchiai e presi una lager. Ero li che bevevo per cazzi miei quando vedì avvicinarsi una coppia di ragazzi. Erano anche loro italiani, ma soprattutto riconobbi in loro la mia tribù. Il tipo notò che lo fissavo e così dopo una manciata di minuti mi si avvicinò con fare minaccioso. Capendo il gioco delle parti, quando lo stronzo mi fu a tiro gli consigliai di rilassarsi e gli porsi la mano prima a lui e poi alla sua tipa presentadomi e invitandoli a un giro. L'atmosfera si distese immediatamente, e cosi in meno di dieci minuti ero già seduto all'interno di un bar in un cazzo di aeroporto a sbronzarmi con dei "colleghi". Il tipo era molto magro, era un po' ridicolo nel suo modo di ostentare l'appartenenza al nostro movimento controculturale, cosa tipica dei novellini. La sua ragazza era molto meno appariscente in tal senso, non capivo tra l'altro come una del suo calibro potesse stare con un ragazzo fisicamente insignificante come lui. Comunque stemmo li a parlare del più e del meno, e parlando parlando, capii che erano una coppia di fidanzatini che si erano andati a fare una vacanza. Fu il mio turno, spiegai per grosse linee come mi ero rotrovato seduto su quel cazzo di sgabello di bar partendo da circa un paio d'anni addietro, passando tra London, Glasgow e infine Amsterdam. Notai subito la differenza di caratura che c'era tra di noi, e capii che in un certo senso i due stronzi invidiavano un po' il mio modo di fare e di aver fatto. Soprattutto lui, dato che la tipa sbavava ad ogni parola che usciva dalla mia bocca. Cosi dopo circa un quarto d'ora di chiacchiere e un tot di birra buttata in corpo, Giulia, la ragazza appena conosciuta che faceva coppia con Fabio, mi invitarono a trascorrere qualche giorno a Roma come ospite loro. Accettai dicendo loro che non avevo nessun problema. L'iniziativa della proposta la prese proprio Giulia, e la cosa non penso garbò molto a Fabio. Parlando, capii che i due erano studenti che di tanto in tanto facevano dei lavoretti per guadagnarsi qualcosa. Storie che io facevo a sedici anni e che loro avevano iniziato da poco. Giulia viveva da sola, o meglio, divideva un piccolo appartamento con altri studenti mentre fabio viveva ancora a casa dei suoi. Capii subito che la tipa provava un certo interesse nei miei confronti e la cosa, non nascondo, mi mise parecchio in imbarazzo, dato che lo stronzo sembrava avere un leggero sentore del fatto, ma che non ne aveva preso coscienza. Venne il momento dell'imbarco. A quel punto ognuno prese posto e la distanza tra me e loro era di sei file, quello che ci voleva dopo un tot di birre, dato che avevo una fottutissima voglia di farmi una bella dormita. Chiusi gli occhi senza manco salutare per l'ultima volta AM, e li riaprii direttamente a roma. Sceso dall'apparecchio mi ritrovai subito cinturato da Giulia e fabio. Andammo a riprendere i bagagli con in sottofondo le miriadi di parole che la tipa sputava fuori stile mitraglietta. La testa mi faceva un male cane e il continuo chiacchiereccio non mi aiutava per un cazzo. Recuperati i bagali salimmo fuori e prendemmo un Taxi. Arrivati nei pressi di casa di Giulia scendemmo e ci incamminammo verso il suo appartamento. Una volta arrivati salimmo sopra, mi mostrarono rapidamente i locali e Giulia mi propose di posare ilo mio sacco in camera sua, per poi mostrarmi il divano sul quale avrei dormito la notte. Dopo circa dieci minuti rincasarono gli altri inquilini. Ero un po' stordito e il fatto che quella notte avrei dormito in un appartamento con quattro ragazze mi dava una certa carica di compiacimento. Fabio si congedò molto a malincuore, annunciando che sarebbe tornato da li a qualche ora per poi andare tutti ad una serata di musica live. Una volta fuori il pisellino, rimasi solo con Giulia e le sue amiche che chi per una cosa chi per un altra andarono tutte scomparendo. Mentre parlavamo, Giulia, mi chiese se m' andasse un caffè ed io le risposi che mi sarebbe entrato da dio. Cosi ci sposatmmo in cucina e mentre lei metteva su la moka io potetti ammirare il suo corpo con più attenzione e notai che la tipa stava proprio ben messa. Ci sedemmo intorno al tavolo a parlare del più e del meno mentre ci si faceva una siga e del caffè. Le domandai del perche' avesse scelto di portare il chelsea e mi propino tutte le solite minchiate sulla ribellione ecc ecc. Quando poi lei mi ripropose la stessa domanda, beh io le spiegai che da ragazzino mi trasferii a vivere a londra con i miei vecchi e che li era normale per quei tempi andare in giro cosi. Tra stadi, birre e cazzate varie. Le feci capire che per me essere skin non era un modo di esprimere un messaggio, ma era semplicemente il mio modo di essere. Lei capi al volo quello che intendevo esprimere e ne rimase come affascinata. Subito dopo si alzò, mi venne vicino e prendendomi la mano mi invitò ad alzarmi. Entrammò in camera sua mi si avvicinò e ci baciammo. Facemmo sesso fino a quando al citofono chiamò Fabio che era tornato. Ci risitemammo velocemente e scendemmo. Quella notte facemmo un po' un giro per Roma. Ci si fermava a bere in vari posti dove i due conoscevano un casino di ragazzini. Poi andammo in un locale dove suonavano dei gruppi punk che sinceramente non trasmettevano un cazzo. Quella notte, nuovamente soli Giulia ed io riprendemmo a fare sesso, fino allo spuntare del sole tra i palazzi di roma per poi cadere in un sonno profondo, avvinghiati l'uno all'altra. Come ritorno in patria non c'era niente male.

Cap XXXIII

‎venerdì ‎17 ‎dicembre ‎2010, ‏‎02:14:08 | brainiacVai all'articolo completo
Avevo nove anni. Faceva caldo, la tipica afa di metà pomeriggio in una estate come tante. Ero nel cortile del mio parco. Giganti di cemento, alveari per il popolo dove sei solo come tutti. La polvere si abbatteva sui nostri giovani corpi mentre si davano calci ad un pallone di plastica deforme. Sul campo improvvisato, tra ghiaia, polvere e pietre sfreccia una vespa cinquanta bianca. Ci fermiamo non dando più importanza al pallone. La vespa frena lasciando un solco nel polveroso campo. Un ragazzo poco più grande di me scende e apre il cruscotto . Si accende una sigaretta e poi tira fuori una pistola e la punta prima verso di me, poi verso il mio amico d'infanzia. Ridendo e sfumacchiando quel viso da bambino vuol trasformarsi in qualcosa che non è. Ho paura, ma mai mostrare questo sentimento sull'asfalto, questa è la prima cosa che impari nei posti come quelli dove sono cresciuto. Lo guardo negli occhi, disegno sul mio volto un ghigno beffardo. Spara, coglione. Resto in piedi, davanti a lui, a separarci un pugno d'aria e la canna rigata. Posso anche sentire l'odore del ferro. Si sente il rumore di una macchina. Lui posa la pistola rimonta sulla vespa e fila via... Avevo solo nove anni...

Alla prima esperienza ne seguirono altre. Tutte cose da poco conto ma che mi permisero di mettere da parte una bella grana. Spesso mi presentavo con Rob, oramai facevo quasi coppia fissa con lo stronzo, non lo consideravo un socio, ma c'erano i buoni presupposti. Rob conosceva molte persone, tutti gli portavano un certo rispetto, e non per via del fatto che sudasse sette lenzuola ogni settimana da circa vent'anni. Sapevo della sua passione per il Futbol, avevo capito che spesso seguiva quelli della x-side dei fottuti lancieri. Una sera mentre eravamo in un pub a bere entrò un tipo enorme. Rasato, alto e panzone. Lo stronzo faceva veramente paura. Entrò e quando vide Rob venne subito a sedersi al banco vicino a noi. Rob lo salutò con familiarità e poi fece da anfitrione con gli onori di casa e ci presentò. Il mega trippone si chiamava Levy, e già il nome mi dava sui coglioni. Rob gli offrì da bere e i due iniziarono a parlare tra di loro in olandese. Ero completamente escluso dal discorso dato che il mio livello di lingua indigena era molto basso. Io ero li che continuavo a bere la mia pinta di lager, e a giudicare dal modo di conversare tra i due supposi che parlavano di ricordi abbastanza piacevoli. Ad un certo punto rob mi coinvolse nella discussione e ridendo mi mise al corrente sul fatto che lo stronzo era uno abbastanza nominato tra gli x-side. Personalmente avevo visto il movimmento U. olandese come una serie di stronzi palle moscie. Ovviamente non dissi una parola su quello che pensavo ai presenti. rob era li che sviolinava tutta una serie di ricordi che avevano come protagonisti lui e il pancione ed io facevo il finto interessato aspettando il momento che lo stronzo chiudesse quella cazzo di bocca. Dopo Rob iniziò a piantare la pippa Levy, e le palle iniziarono a girarmi abbastanza sul serio. Sinceramente non me ne fragava un cazzo delle cose che avevano fatto. Io ne avevo fatte di peggio ma mai me n'ero vatato davanti a qualcuno che non conoscessi. Ebbi la netta sensazione che il panzone voleva impressionarmi raccontando di sue improbabili gesta da gladiatore del cemento. Così, complice la birra e soprattutto il giramento di palle sputai in faccia tutto quello che pensavo su loro e la loro merdosa sub-cultura U. Gli domandai del perchè non fecero un cazzo quando gli inglesi misero a ferro e fuoco Rotterdam prima, durante e dopo un incontro amichevole tra Olanda e Inghilterra, del perchè non avessero mai fatto un cazzo di nulla che valesse la pena raccontare. Feci presente al coglione di Levy che in tutta europa l'olanda con i suoi merdosi club e ovvimante crews non contava un cazzo e mentre mi sbattevo nel gozzo l'ultimo lungo sorso di lager inrobbustii la dose ringhiando al panzone di non venirmi a contare cazzate di sue geste eroiche, perchè vedendolo li seduto, con la massa adiposa coprirgli quasi le ginocchia non faceva gnachè paura. Rob rimase di stucco alla mia reazione da stronzo schizzato. Levy invece si alzò a fatica dalla sedia con fare minaccioso ma prima ancora che potesse poggiare completamente sui suoi piedi io già gli ero saltato addosso riempiendo quella sua testa grassa di merda di cazzotti. Rob mi si fiondò addosso gridandomi i di piantarla, cosi come il tipo al banco vedendo rob impegnato con me cercò di prevenire una reazione dello stronzo grassone. Sentivo il sangue correre a mille lungo le vene ed in corpo avevo tantissima rabbia, In quell'istante capii come cazzo odiavo quella città del cazzo. Odiavo Amsterdam, il suo dam pieno di troie in vetrina, odiavo ogni silngolo mangia kebad del cazzo pronto a sussurarmi se volessi comprare droga. Odiavo tutti i sexy shop con le famigliole che vi entravano dentro, odiavo quella stronza di Ana che mi aveva ferito, odiavo quel pisciasotto di Lex che da verme schifoso mi aveva soffiato via la tipa. Odiavo Levy perchè era solo un pallone di merda che non era manco capace di rispondere ad un attacco di uno stronzo mezzo sbronzo, quando a dir suo con il suo solo alito distruggeva distese di affiliati alla F-side. Odiavo Martin e Roy che m'avevano introdotto in quel mondo meschino e morboso di straccia fighe e gole profonde, e odiavo anche Rob, che aveva avuto la stronzagine di non dirmi che Odyne prima si chiamava Luke. Provavo tanta rabbia per quel lavoro di merda, seduto otto ore a dare informazioni a sfigati segaioli su quali baldracche erano meglio di altre, o di dove era vantagioso comprare erba e cazzi vari. Odiavo tutto e tutti, ma forse l'unica persona che veramente odiavo era me stesso. Rob calò un biglietto da 100 allo stronzo del pub e mi strattono per il bomber tirandomi fuori dal locale. Uscendo disse al suo vecchio socio Levy di stare tranquillo e di non farci caso, che era solo una scaramuccia da etilici. Una volta fuori mi spnse contro un'auto e mi urlo cosa cazzo mi stava passando per il cervello. Mi mollò uno schiaffo, non reagii e mi lasciai cadere con il culo per terra. Iniziò a piovere e rob si accese una paglia. Era li tutto nervoso che mi gridava che avevo fatto una cazzata, che lo stronzo a cui avevo dato la paga era uno ben amanigliato con gente di merda, che ora gli toccava andare dentro e mettere una buona parola per me, onde evitare che venissero, in seguito, a rompermi i coglioni. L'acqua cadeva sulla mia testa. Ascoltavo tutte le troiate che Rob stava sputando fuori nervosamente agrappandosi ogni tanto al mozzicone di sigaretta che aveva tra le dita. Non so perchè, ma dalla bocca mi uscii solo un debole "scusa". Rob si voltò verso di me, butto la cicca a terra e mi allungo la mano che io afferrai. Mi aiutò a sollevarmi e stringendomi in un abbraccio forte mi disse di stare tranquillo, che lui avrebbe messo a posto le cose con Levy. Li per li non mi venne da dire nulla, ma sapevo benissimo che il ciccio bomba non meritava nessuna parola di scusa. Gli chiesi una paglia, rob me la passò e mentre le mie labbra inumidivano il filtro Rob mi accese la siga. Feci due belle boccate, alle quali seguirono delle parole sconnesse ma il cui significato era chiaro. Non volevo che Rob si scusasse per me, Gli dissi che il casino lo avevo montato io e che non avevo nessun problema ad affrontare il suo amico del cazzo. Rob mi disse che non capivo, ma io sapevo benissimo. Insistette e disse che quella merdosa stroia l'avrebbe messa a posto lui. Ci mettemmo a camminare lungo la strada, la pioggia proseguiva nel suo abbattersi contro di noi. Mentre andavamo come due ombre Rob mi confidò che gli ricordavo troppo suo fratello minore passato a miglior vita dopo un incidente stradale al ritorno di una trasferta con quelli della x-side... Solo cosi poteva restarci uno della x-side...

Cap XXXII

‎mercoledì ‎15 ‎dicembre ‎2010, ‏‎02:08:54 | brainiacVai all'articolo completo
Arriva sempre nella vita il momento della resa dei conti. Ovvero quell'istante che ti fermi a pensare su cosa cazzo stai facendo e soprattutto perchè. Iniziava il mese di febbraio, il freddo era diventato insopportabile. Ogni volta che si usciva per strada il rientrare in qualche posto ti esponeva ad un brusco cambiamento di temperatura. Si passava dai meno e qualcosa in strada ai più e venti nei locali chiusi e la voglia di strapparti i vestiti da dosso, che davano la sensazione di andare a fuoco, quando etravi, era fortissima. Dopo qualche settimana mi misi in contatto con Roy. Mi propose una prima parte a dir suo poco impegnativa. Si trattava di una scena di pochi minuti in una situazione di gang bang. Quando mi pronunciò questo termine non capii che cazzo significasse, ma per non fare la parte dello sfigato dissi che era ok e mi presentai sul set. Entrato iniziai ad avere un lieve sentore di che cosa significasse gang bang. Difatti una volta superata l'anticamera del locale in cui si dovevano girare queste scene, notai una densità di uomini con uccelli alla mano che mi nauseo. Una ragazza era li con un raccoglitore di fogli che impartiva numeri e ordini. Appena entrato si diresse verso di me e quando mi fu vicina mi chiese il nome. Le risposi quasi intimorito. Cercò il mio nome sulla sua lista e barrò il fianco con un segno di visto. Mi disse di spogliarmi e di mettere tutte le mie cose in una busta che mi passò. feci come mi disse e dopo che le consegnai la busta numerata mi diede un numero e mi urlò che m'avrebbero chiamato loro. Detto questo scomparve dietro una porta. La sala era occupata da circa una ventina di persone, la mia idea fu poi confermata dal numero che la ragazza mi porse, il 20. In questa sala c'era un tavolo con su una serie di bottiglie d'acqua e bibite energetiche e una fila di bicchieri di plastica. In questa sorta di camera d'attesa c'erano anche un paio di tv poggiate su piedistalli orientabili fissati alle pareti sulle quali scorrrevano immagini di films della casa produttrice che in quel momento ci stava ospitando. Ancora non mi era ben chiara la situazione, cosi quando rividi la tipa che chiamo' una serie di tre numeri mi avvicinai, con garbo le chiesi cosa dovessi fare. La risposta fù di aspettare. Non convinto di quella cazzo di situazione mi avvicinai ad un tipo abbronzato e tutto palestrato, uno tipo quei cazzo di modelli della calvin klein. Lo stronzo era li in perizoma con una mano sul pacchetto che accarezzava ripetutamente il pistone. Gli chiesi come andava e lui rispose allegramente che non andava malaccio e che non vedeva l'ora di andare nell'altra sala a farsi spompinare per poi ricevere la paga e correre fuori. Mi presentai, e il capo molto cordialmente mi passò la mano che aveva sul pacchetto, dicendo di chiamarsi Rob. Evitai di dargli la mano fecendogli notare che fino a quel momento ci si stava accarezzando il pisello, rob sorrise e masticando freneticamente una gomma mi disse che non se n'era accorto cosi mi passò l'altra che gli strinsi senza troppi problemi. Gli feci presente che era la mia prima volta e che non sapevo a che cosa andassi incontro. Sorpreso mi disse che come prima volta fare una gang bang non era l'ideale, ma che se roy m'aveva convocato allora c'era da fidasi. Chiesi spiegazioni su cosa fosse una gang bang, e Rob mi indicò un monitor. Mi voltai e vidi una scenda di sesso di gruppo, o meglio una siliconata biondo platino che se la stava vedendo con 5 uomini. Indicandomi il monitor mi disse che questa era una gang bang. Un'orgia con una sola pollastrella. La notizia mi sconvolse. Rob notò il disorientamento che mi si leggeva in volto, mi poggio' una mano sulla spalla e mi disse di stare tranquillo. Mi raccontò della sua prima volta, e dell'agitazione che gli prese nel momento di entrare in azione. Incominciò a fare una lista di consigli, ma sottolineò più di una volta di concentrarmi sull'attrice in modo tale da non perdere l'erezione. Gli domandai come faceva lui a mantenerla in occasioni del genere, e con molta franchezza mi disse che per lui scopare era tutto, ma che se avessi avuto problemi m'avrebbe venduto qualche pasticca di viagra. Perchè la pillola blu era la più inghiottita in situazioni del genere. Mentre mi smerdava tutte ste cose mi indico' uno stronzo panzone in slips che si stava mettendo in bocca due pasticche e mi fece presente che da quando stava li aveva visto almeno altri 4 coglioni fare la stessa cosa. Mentre parlavamo la ragazza riapparve nell'anticamera e chiamò altri tre numeri. Notavo che ogni qualvolta la figa chiamava i tre prescelti entravano già pimpanti e senza la borsa di palstica con dentro i vestiti che poi veniva presa stesso da lei, l' organizzatrice. Domandai a rob qunato durasse una scena e lui mi disse che l'ideale era sui 5 minuti, in modo tale da ricoprire le tre posizioni tipiche del porno: sesso orale, sesso vaginale e finale anale. Quando sentii la parola anale entrai in paranoia. Domandai se si usavano precauzioni e Rob quasi ridendo disse che se stavamo li è perchè eravamo tutti senza problemi. Mi consigliò di stare tranquillo e di non farmi troppe seghe mentali, di pensare solo che da li a un quarto d'ora avrei fatto un po di fitness con una donna che tutti gli uomini avrebbero desiderato e cosi feci. Arrivò cosi il mio turno. Fui chiamato insieme a Rob e un'altro svitato che rasentava il nanismo. Sul set c'erano due letti, uno era occupato da una ragazza mora, ma già impegnata con tre pistoni, e l'altro, che toccava a noi, era occupato da una donna che doveva essere prossima ai quaranta. Ci avvicinammo e notai il viso di delusione di Rob. Una volta li vicino ero l'unico che era ancora a riposo, la cosa non scappò al tizio con la telecamera che disse a Ody di darmi una scaldata. Ody, la nostra partner, era completamente rifatta. Tette, labra, naso, zigomi, era sputata una bambola. dedussi che la faccia di delusione di Rob fosse dovutata proprio al fatto che la tipa li non era più proprio di primo pelo. Mentre mi strafottevo la mente con tutte queste idee, ody incominciò a masturbarmi mentre parlava con la stessa ragazza che c'aveva chiamati. Una volta che ero pronto il tipo con la telecamera ordinò di prendere ognuno uno spazio. Rob, veterano del hard dide le disposizioni e dopo circa sei sette minuti finimmo. Ci allontanammo dalla postazione e la ragazza col blok notes ci passò le nostre buste su ognuna delle quali c'erano anche delle salviette umide. Rob mi diede una pacca sulla spalla e mi disse che il battesimo del fuoco doveva essere celebrato, cosi una volta rivestiti e intascati i soldi andammo in un bar a farci due birre e qualche canna. Trascorremmo un paio d'ore a bere e parlare. Rob era un tipo ok. Alla mano. Parlando scoprii che era prossimo ai 40 e che erano quasi vent'anni che si dedicava esclusivamente al porno. Insomma mi fece capire che ci viveva, ma che ultimamente lo chiamavano solo per piccole parti e che era giunto al punto d'inizio, ovvero che la sua parabola nel mondo del hard iniziava a cadere verso il basso. Chiacchierammo un casino di tempo e arrivati al quinto girò mi domandò se avessi notato qualcosa di strano in Ody. Gli dissi che forse un tempo doveva essere figa ma che con l'età e tutti quegli interventi sembrava una sexy doll da sexy shoop. Rob si portò il bicchiere alla bocca e con un ghigno malefico mi disse che prima di tutti quegli interventi Ody era Luke e con le mani imitò una cazzo di forbice. Non so perchè scoppiai a ridere, probabilmente per via dell'alcool in circolo, ma quando compresi che avevo avuto un rapporto sessuale con un uomo in una gang bang mi venne da vomitare. M'alzai di scatto e scappai ai bagni dove riversai tutto il vomito che il corpo spinse fuori. Dopo cinque minuti entrò anche Rob ridendo di gusto, apriì il rubinetto e inumidi una tovaglietta di carta che mi passò. La presi e fui solo capace di sputare fuori un "cazzo da non crederci" e rob disse: " si, si proprio cose da non crederci" facendo poi un'altra bella risatina del cazzo. Mi passai la tovaglietta sulla bocca impastata dal vomito e mi misi poi, con la testa sotto il rubinetto. Stetti un paio di minuti a fissarmi nello specchio e al mio fianco c'era Rob che sorridente mi strinse una spalla e mi invitò a farmi qualche altro giro...

Cap XXXI

‎martedì ‎14 ‎dicembre ‎2010, ‏‎02:10:37 | brainiacVai all'articolo completo
Le leggi che ci permettono di vivere sicuri sono le stesse che ci condannano alla noia. Se non possiamo accedere al caos autentico, non avremo mai autentica pace. Se le cose non hanno la possibilità di peggiorare, non miglioreranno . Dopo due giorni che ero stato con martin a farmi delle analisi del sangue ritornai al laboratorio per prendere i risultati. Come già immaginavo ero più pulito di una verginella vestita di bianco e chiusa nelle segrete di un castello. Chiamai Martin per fargli sapere che ero pulito e lindo e mise giù riferendomi che da li a poco avrebbe chiamato questo aggancio per fissare un'appuntamento. Nel frattempo mi rimisi in cammino per tornare verso "casa", per modo di dire. Passeggiando tra i canali la mia attenzione fu chiamata da un coglione di quelli belli forti. Ero li che camminavo per cazzi miei quando un' uomo, di una etnia sconosciuta, mi si avvicina mezzo ubriaco gridandomi qualcosa in una cazzo di lingua che non aveva senso. Lo stronzo doveva essere veramente fulminato dato che per come era conciato pareva fosse caduto in un pantano di merda di vacca, per non parlare della puzza. Lo vedevo e sentivo inveire contro di me avvicinandosi a fatica e molto lentamente. Ebbi tutto il tempo di tirare fuori una sigaretta ed accendermela e farmi il primo tiro, prima che lo sfigato mi si presentasse a pochi centimetri. Lo stronzo puzzava di brutto, una cosa nauseante. Mi parlava, ma io non lo capivo, e quanto più non lo capivo lui più s'incazzava. Dissi allo stronzo di calmarsi in inglese, ma forse non capiva nessuna lingua del continente. Così dovetti far fronte all'linguaggio universale. Siccome lo stronzo continuava a gridare e non lasciava che lo superassi lo colpii dritto al mento con la stessa mano con cui mantenevo la paglia. Il povero sfigato cadde a terra come un sacco di patate. Non colpii forte, ma ci misi abbastanza potenza da zittirlo. Presi il pacchetto di sigarette mi accovacciai vicino lo stronzo che era li mezzo stordito e gli dissi di non prendersela a male. Mentre gli sussurravo queste fraterne parole, per pena, decisi di regalargli il mio pacchetto di malboro morbide. Gli poggiai il pacchetto sul petto e ripresi la mia strada. Dopo qualche passo fui fermato da un cazzo di pulotto che pattugliava la zona in bicicletta. Lo stronzo mi fermò con veemenza, mentre una sua collega era li a sincerarsi delle condizioni dello sbroccato. Dissi al pulotto che lo stronzo li era fuori di brutto, e che avevo temuto potesse attaccarmi con qualcosa. Lo stronzo in divisa e con la sua roboante fottutissima bicicletta si stava appuntando tutte le menate che gli stavo raccontando. Nel frattempo arrivò un'autoambulanza che si caricò lo stronzo etilico. Cosi fui costretto a seguire il pulotto con la sua collega al commissariato di zona, dove dovetti firmare un paio di carte e dare le mie generalità. Mentre ero li, aspettando il mio turno per firmare la mia dichiarazione, fui avvicinato da uno stronzo in divisa sulla sessantina bella passata. Iniziammo a parlare e mi confidò, in un inglese perfetto, che fosse stato per lui invece di farmi perdere del tempo li m'avrebbe pagato da bere. Si lamentava di come stesse andando sempre più in merda la sua città e di come mancasserò giovani pronti a fare un po' di pulizia in quel mattatoio sociale che era diventata ormai la venezia del nord. Seguivo di rimessa lo stronzo e quando fu il mio turno per firmare le carte lo feci senza manco leggere. Salutai l'orange bob e uscii dalla stazione locale di polizia. Appena fuori richiamai Martin che mi diede un indirizzo al quale raggiungerlo, dato che questo suo aggancio era disposto stesso in giornata a incontrarmi. Dopo circa una mezz'oretta mi beccai con martin. Fu molto amichevole, andammo a farci un bicchiere in un bar e mi spiegò da chi cazzo stavamo andando. Praticamente questo suo contatto, Roy, era un ex attore di film porno che dopo aver beccato l'epatite c aveva deciso di intraprendere la carriera di scout e regista hard. Mi elencò una serie di riconoscimenti che sto tipo aveva avuto alle varie rassegne europee, ma tutte ste stronzate a me suonavano come l'arabo.Uscimmo' dal bar e c'incamminammo verso l'ufficio di questo Roy. Dopo circa un quarto d'ora arriviamo da sto stronzo. Martin chiamò al citofono e il portone si apriì. Roy ci stava aspettando sulla soglia della porta. Era un tipo bassino, sui quaranta. Aveva un modo molto nevrotico di muoversi e parlava troppo velocemente. Ci presentammo e notai che martin era abbastanza in sintonia con questo roy. Entrammo nel suo ufficio che effettivamente era ben arredato. Dietro la sua scrivania c'era come una libreria sui cui scaffali c'erano appesi tutti sti riconoscimenti vinti. Iniziammo a parlare e roy venne subito al punto. Mi disse che ad un primo sguardo io non ero la persona giusta per il progetto che stava portando avanti ora, mi commentò che non avevo l'aria di uno sfigato che si fa riprendere scopando per la prima volta. Secondo la sua opinione avevo la faccia troppo sveglia per quel lavoro che stava mettendo su. Comunque mi disse che sicuramente c'erano dei discorsi che potevano interessarmi. Prima di tutto voleva, ovviamente, testare le mie qualità. Al momento non capii cosa volesse dire e gli dissi che se pensava che a testarmi sarebbe stato lui, alloro lo stronzo poteva già iniziare a contare i suoi denti. Martin sbarrò gli occhi, Roy, dopo un secondo di silenzio, scoppiò a ridere e mi disse che ero proprio forte. mi spiegò che per testarmi voleva dire che gli avrebbe fatto comodo vedermi all'opera, vedere se ero capace di mantenere una erezione davanti ad altre persone, se ero capace a mantenerla anche tra i vari stop. Poi mi chiese di calarmi i pantaloni e fargli vedere cosa celassero i miei boxer. Feci quanto chiesto e mi consigliò di radermi completamente per due motivi, il primo era che così avrei guadagnato grandezza in camera, il secondo che alle tipe di ingoiare peli proprio non andava giù. Gli dissi che non c'era problema. Mi spiegò un poco il suo metodo di lavoro, cosa cercasse nei soggetti da filmare e mi fu chiaro che a Roy non piacevano troppo i copioni. Poche parole e tanto sesso, questo era il suo credo. Poi parlammo di cifre. Mi spiegò che in questo mondo le vere star sono le donne. Gli uomini sono solo degli oggetti. Devono stare li pronti alle direttive e concentrarsi. Continuò dicendo che raramente le inquadrature prendevano anche il viso dell'attore, dato che questo segmento di intrattenimento era ad uso e consumo solo del genere maschile e che a un maschio non va di vedere la faccia di uno stronzo che stantuffa una superdonna. E tutti i torti non aveva. Dopo circa un'oretta di chiacchiere Roy mi passa un bigliettino da visita con tutti i suoi recapiti e mi ripetette ancora una volta la sua intenzione di farmi fare qualcosa. Mi consigliò di chiamarlo da li ad una settimana in modo tale che avrebbe sicuramente avuto tra le mani qualc'altra cosa da fare dove la mia fisicità e fisionomia più gli sarebbe stata utile. Ci congedammo con strette di mano e pacche sulle spalle. Scendemmo le scale e una volta fuori proposi di andarci a fare un kebab. Martin accettò di buon grado e mentre andavamo alla ricerca di un take a way mi consigliò due cose, la prima di non mangiare kebab almeno due giorni prima di fare una scena e la seconda di evitare di bere alcool il giorno stesso di una performance. Gli domandai il perchè e ridendo disse che alle partner di lavoro non paice sapere cosa hai bevuto o mangiato a mestiere concluso...

Intermedio 6

‎lunedì ‎13 ‎dicembre ‎2010, ‏‎02:05:38 | brainiacVai all'articolo completo
Non c'è niente di statico tutto va a pezzi.

Cap XXX

‎domenica ‎12 ‎dicembre ‎2010, ‏‎01:47:21 | brainiacVai all'articolo completo
Dall'incontro con Martin era trascorso qualche giorno, ma la curiosità mi stava martellando la testa. Non avevo la minima idea di come un' esperienza del genere potesse ripercuotersi su di me. L'istinto mi suggeriva di chiamare immediatamente Martin per fissare un appuntamento, ma la ragione mi poneva di fronte a mille interrogativi. Ad esempio se avessi fallito? Non che mi fosse mai capitato, ma metti caso che gli occhi indiscreti di altre persone, o i comandi del "art director" facessero in modo che il soldatino dall'attenti passasse ad un' inglorioso riposo? Come avrebbe reagito il mio orgoglio maschile? Ma le paure non erano solo queste. Per la prima volta mi ponevo il problema di come l'avrebbe presa la mia famiglia se, per caso remoto ed impossibile, ne fossero venuti a conoscenza. Oppure se una futura ragazza, avesse scoperto il vaso di pandora del mio meschino passato, cosa le avrei raccontato? Decisamente mi resi conto che era inutile farsi troppi trip mentali. Capii che dovevo restare calmo e pensarci ancora un poco su. Cosi, ovviamente, appena finito il mio turno di lavoro inutile, decisi di recarmi con urgenza al mio ufficio, alias il pub a pochi metri dal mio luogo di lavoro. Ero consapevole che le migliori scelte fatte, o meglio, quelle che io ritenevo fossero state tali, furono sempre partorite in luoghi in cui era normale vendere e consumare alcolici. La cultura popolare italiana recita: il sonno porta consiglio, per me invece valeva il proverbio: la birra porta consiglio. Cosi mi diressi al pub, mi sedetti sul mio solito sgabello vicino i rubinetti da dove si spillava la birra e iniziai a chiedere consiglio all'unica bionda che non mi ha mai tradito nè fatto soffrire, ma che mi ha sempre supportato, aiutato e distratto dalle amarezze della vita. Così iniziò il mio lungo momento di pensiero. Me ne stavo li seduto a riflettere e ad ogni pro buttavo giù un piccolo sorso, metre ad ogni contro cercavo di finire il bicchiere in modo tale da vedere il "contro" da una prospettiva che fosse più vicina al pro. Mentre ero li concentrato ad interrogare me stesso, con la coda dell'occhio mi parve di vedere una sagoma conosciuta entrare nel locale. Ero al lato opposto all'entrata, nascosto tra i rubinetti del banco, da quella posizione potevo intravedere sempre chi entrasse e uscisse, mentre viceversa, chi entrava difficilmente avrebbe potuto scorgere il mio volto, dato che la luce nel locale era fottutamente soffusa e bassa e poi l'ingobro della rubinetteria era un nascodiglio perfetto. La mia sensazione prese conferma quando, stringendo gli occhi per mettere meglio a fuoco l'immagine conosciuta, riconobbi la faccia di quel pezzo di merda di Lex. A seguire, poi, vidi entrare ana, linda e un paio di tipi che non conoscevo. Per un istante ebbi l'impulso di scaraventarmi addosso allo stronzo, ma fortunatamente, prima di stare a sentire quella voce venire dal mio cervello che gridava vendetta e sangue, bevvi quello che rimaneva della mia pinta, in modo tale da evitare di fare casini. Mi spinsi con la testa in basso in modo tale da non farmi vedere e seguii i movimenti di quella comitiva di serpi e stronzi. Quando gli stronzi si accomodarono ad un tavolino in un angolo lontano decisi che era venuto il momento di passare a qualcosa di più forte e chiesi al barman di riempirmi un bicchiere di JB. Luis, il barman, era un tipo ok, oramai era diventato come il mio confessore, mi vedeva seduto su quel cazzo di sgabello almeno 4 sere su 7. Diciamo che mi trattava bene perchè ero io che pagavo ai suoi figli le tasse della scuola privata che frequentavano, dato che in quel pub mi spendevo gran parte della mia paga mensile. Luis, essendo il mio confessore etilico, sapeva benissimo cosa mi fosse accaduto, e quando mi vide in quella posizione da giaguaro, aquattato dietro la rubinetteria, capi,il figlio di puttana, che era entrato nel locale qualcuno a cui ero legato in una maniera o nell'altra. Mentre mi riempiva il bicchiere mi domandò quale delle due fosse la ragione delle mie pene orange. Con un cenno del capo gli indicai Ana e sputai con un gemito la parola "bionda". Luis posò la bottiglia di jb, e prese un panno bianco con un bicchiere, e mentre puliva e ripuliva quel cazzo di bicchiere osservava l'allegra brigata. Posò il bicchiere mi si avvicinò ed esclamo: " Bel pezzo di figa". Vuotai il JB, automaticamente Luis me lo riempii nuovamente e disse che l'offriva la casa. Lo ringrazai e buttai giù anche il secondo. Sentii un calore fare irruzione nel mio corpo. La mente iniziava a dare cenni di cedimento, l'alcool in circolo a dosi massicce mi rendeva tutto più complicato. Così chiesi a Luis di passarmi dei pop corn, in modo che assorbissero parte dei liquidi bevuti. Luis mise una bella ciotolona di pop corn sul banco e mentre ci servivamo mi bisbiglio che in quel locale non voleva casini, e che se mi fosse balenata l'idea di piantare una rissa o un bordello nel suo pub, non avrebbe esitato a prendermi a sprangate nel culo anche se ero uno dei suoi clienti migliori, e per conseguenza un amico. Dissi al capo di stare tranquillo, che non volevo assolutamente fare bordelli e che non avrei toccato lo stronzo di lex. Assicuratosi della mia buona fede Luis mi offrì un altro giro proprio nel momento in cui lo sfigato si avvicinò al banco per fare l'ordinazione del suo tavolo. Nascosi il volto tra le mani, ma fu inutile, infatti dopo qualche minuto Lex fu raggiunto da Ana, che essendo donna e quindi molto più attenta a tutti i particolari, immediatamente si accorse di me. Luis preparò la richiesta del tavolo di ana senza mai togliermi gli occhi da dosso. Ana mi chiamò ed io alzai la testa. La salutai con un cenno del capo e sbiascicando un saluto mal partorito. Notai subito che lo stronzo di lex rimase impietrito nel vedermi li seduto. Ana gli passò una mano sulla spalla e gli sussurrò qualcosa all'orecchio. Lex prese il vassoio e andò al suo tavolo, dove ad aspettarlo c'era la banda di sfigatelli che osservavano con curiosità l'evolversi della vicenda. Ana mi si avvicinò, e il suo prfumo fece scattare un qualcosa nella testa che mi catapulto a quella prima notte trascorsa insieme sul divano di casa sua. Mi domandò come stavo, per orgoglio le risposi che tutto andava ok, senza grosse novità, ma che del resto come dicevano in uk la cosa era positiva dato che il loro motto è "no news good news", quanto mi mancava il pragmatismo anglosassone... Parlammo un quarto d'ora, l'invitai ad un giro e stranamente accettò. In quel quarto d'ora discutemmo molto pacatamente, lei ammise di essere stata troppo impulsiva nei miei riguardi, ma anche che sinceramente non voleva che io entrassi troppo nella sua vita. La spiegazione non la capivo, cosi le feci presente le mie perplessità. Lei mi sorrise, mi baciò sulla guancia e mi disse che ero un bravo ragazzo anche se troppo impulsivo, sottolineando il naso rotto allo stronzo e il parabrezza dell'austin in frantumi. Sorrisi e le augurai tutto il bene del mondo. Così la vidi allontanarsi per tornare al suo tavolo, ed ero consapevole che quello sarebbe stato il nostro ultimo incontro. Luis mi servì un altro jb, mi diede una pacca sulla spalla e mi disse che tipe cosi fanno solo del male. Lo ringraziai e in quel momento sentiì le sue parole di conforto arrivarmi dritte al cuore. Dimenticai che in quel momento, in quel locale ci fosse anche lei e lo stronzo e iniziai la mia nuova confessione con Luis. Non so perchè avesse tanta pazienza con me, mi promisi di chiederglielo prima di andare via da Amsterdam. Esposi la proposta di Martin a Luis con tutti i pro e contro che mi ballavano in testa, la cosa che più ammiravo di quell'uomo sui 40 e che qualsaisi cosa vedesse, ascoltasse o facesse era capace di mantenere sempre la stessa mimica facciale. Dopo qualche istante di silenzio, una volta che avevo concluso il mio fiume di parole sbiascicate, mi disse di fregarmene e di provarci. Che tanto se è pur vero che le cose brutte sono sempre più difficili da dimenticare, comunque si dimenticano. Così gli chiesi di cambiarmi una banconota da 5 in monete e provai a raggiungere il telefono vicino ai bagni. Dopo una serie di sbandamenti contro sedie e tavolini mi agrappai al telefono. Cacciai dalle tasche il pezzo di carta piegato dove avevo il numero di Martin e composi . Dopo due squilli sentii la voce di Martin rispondere. Gli dissi che avevo preso la decisione, guardando verso Ana confermai che volevo farlo. Sentii martin sorridere e urlare un "ben fatto amico". Mi diede appuntamento per l'indomani in una caffetteria, mi spiegò velocemente che prima dovevamo andare in una clinica , dove mi sarei dovuto fare vari test per verificare se fossi pulito o meno e poi avuti i risultati avrebbe organizzato nel giro di qualche giorno il tutto. Ci salutammo, attaccai il ricevitore, fissai il tavolo dove stava Ana e incrociai lo sguardo di Lex e linda. Non mi resi conto, ma ero li a fissarli con il dito medio della mano serrata alzato...

Cap XXIX

‎sabato ‎11 ‎dicembre ‎2010, ‏‎01:10:23 | brainiacVai all'articolo completo
Le giornate trascorrevano senza intoppi. Volevo che la mia vita fosse come un lettore cd, in modo tale da poter mettere le mie giornate in opzione Fast Forward. Ero intenzionato a finire il contratto di lavoro che avevo e poi di fare nuovamente armi e bagagli e tornare in Italia. Ero demotivato, non avevo voglia di fare nulla. Dopo il lavoro trascorrevo le giornate in camera steso sul letto a guardare films in lingua inglese o programmi porno, che non suscitavano nessuna reazione. Ero spettatore impassibile a questi incotri focosi memorizzati su chilometri di cellulosa cinematografica. Natale era ormai un ricordo sbiadito, cosi come i turisti. Alla reception mi grattavo le palle e impegnavo il tempo cazzeggiando sulla rete o leggendo qualche rivista in olandese per provare ad imparare qualcosa. Ana era oramai un capitolo chiuso che bruciava un casino. Una sera, finito il turno decisi di andare a fare un giro. Mi fermai al primo pub sulla strada deciso ad entrare e sbronzarmi con i controcazzi. L'indomani era il mio giorno libero ed era prassi che la sera prima andassi a bere l'impossibile per poi trascorrere tutto il giorno dopo nel letto svegliandomi cosi a giornata conclusa. Non ero riuscito a integrarmi. Per mia colpa. Il punto è che non avevo nessun interesse. Apatia totale. Mi ci voleva una scossa, qualcosa che spronasse il mio cervello e il mio animo. Una sera, martin, un collega, con il quale di tanto in tanto scambiavo due chiacchiere, mi propose di andarci a fare una bevuta insieme. Accettai, del resto era uno che mi stava simpatico e poi cazzo sembrava ok il tipo. Ci fermammo in un bar lungo un canale e ci sedemmo su delle poltroncine in vimini ben imbottite. Iniziammo a chiacchierare del più e del meno. Mi raccontò che veniva da un paesino al confine con il belgio dove il massimo della vita era andare a pescare. Mi commentò di tutte le peripezzie che visse al trasferirsi in una città, per uno semplice come lui. Stava li blaterando parole su parole e ad un certo punto le mie orecchie non lo seguivano più. La ragazza che serviva ai tavoli ci portò il primo giro di birre, alquale ne seguirono un casino. Ormai tolti i freni inibitori grazie all'alcool martin mi confidò un cosa che sinceramente mi lasciò di sasso. Mi raccontò che arrivato ad Amsterdam era quasi al verde e cosi mentre era in un cesso di un bar fu fermato da un tipo che gli propose di fare dei soldi girando scene di sesso etero. Lo stronzo non si tirò indietro e per ogni scopata, a dir suo, si intascava dai 200 ai 300 euro. A quel punto le mie orecchie ricominciarono a seguirlo. Mentre andava avanti nello spiegare, mi era sempre più chiaro del perchè mi avesse invitato a bere qualcosa. Capii che stava per arrivare al sodo e senza mezze parole gli dissi di stringere. La casa produttrice per cui lavorava per arrotondare aveva bisogno di nuove facce per girare scene di sesso che a primo impatto dovevano apparire come amatoriali, quindi cercavano persone che non erano del giro.Gli chiesi quanto davano e se le scene prevedevano cose strane. Lui mi sorrise e mentre si finiva la quarta bottiglia di Beks mi spiegò che la cifra a lavoro compiuto era di 400 euro e che le scene erano di sesso etero al 100 per 100. Assicuratomi di non doverlo prendere tra le chiappe gli dissi che c'avrei pensato su. Erano soldi facili, ma l'idea di stare davanti a delle persone facendo del sesso non mi allettava tanto. Martin mi disse che non c'era problema, che se avessi voluto provare bastava solo che lo chiamassi un paio di giorni prima, giusto per organizzarsi col suo boss e chi di dovere. Ci facemmo altri tre giri e poi ci congedammo e ognuno prese la sua strada. Mentre ritornavo in albergo ripensavo all'offerta di Martin. Ero un poco contrariato all'idea di entrare, per modo di dire, nel mondo dell'intrattenimento per adulti, e poi avevo mille dubbi sulla possibilità di riuscita, da parte mia, davanti ad altre persone. In più non so quanto m'avesse potuto segnare una esperienza del genere per eventuali storie future. Non credo sia piacevole dire ad una tua tipa " sai cara ho fatto dei films porno, ma non ti preoccupare ora ne sono fuori, ma per i paesi bassi ancora girano immagini del mio culo nudo spingerlo contro la passera di una mulatta", già non suonava per niente bene. Arrivai in camera, mi lavai i denti e mi gettai vestito sul letto. Presi immediatamente sonno, ma ancor prima di chiudere gli occhi decisi che tutto sommato c'avrei provato...

Cap XXVIII

‎venerdì ‎10 ‎dicembre ‎2010, ‏‎02:26:57 | brainiacVai all'articolo completo
Spesso perdiamo troppo del nostro tempo con persone che non lo meritano. Il tempo è vita. Oggi come oggi ogni secondo è importante. Viviamo nella frenesia assoluta. La società ci obbliga a girare come trottole nel luna park della vita. Fin da quando eri bambino ti hanno messo nel cervello che " chi si ferma è perduto". Beh cari signori, io mi sono fermato più di una volta, mi sono perso, verissimo, ma "perdersi" è la cosa più bella che ti puo' capitare. Dalla rottura con Ana erano passate ormai più di due settimane. Oltre alle mie otto ore di lavoro il mio quotidino non aveva sorprese. Ero diventato un'automa a quattro stadi. Primo Stadio: Dormire . Secondo Stadio: Mangiare . Terzo Stadio: Lavorare. Quarto stadio : Sbronzarsi e cosi ogni fottutissimo giorno. Ormai le vacanze di natale erano alle porte. LA città si stava preparando all'ennesima invasione di turisti. Anche nell'albergo fummo obbligati a metter su dei festoni e tutto quello che rappresentasse il natale. In più dovevamo accogliere i clienti con sul capo posto uno stupidissimo cappello di santa claus... LA mia depressione era scesa ai minimi storici. Ero nervoso, ero triste ed in più dovevo indossare uno stronzissimo cappello da santa claus... Provatevi ad immaginare un ragazzo sui ventiquattro anni, ben piantato, che indossa una camicia a maniche corte ben sherman con i tatuaggi che sembrano vivere di vita loro raschiando la tela per uscire fuori. Con la testa rasata e jeans belli aderenti. Con su messo un fottutissimo cappello da Babbo natale... Beh se non ci riuscite, vi comprendo benissimo. Poteva essere il set per una scena di un film demenziale stile "Babbo Bastardo". Comunque ricordo che l'albergo iniziava a riempirsi, la struttura non era male. Il palazzo che accoglieva l'albergo era sviluppato su tre piani. Era la tipica struttura di metà ottocento, per lo più fatta in legno. Aveva il suo fascino quel posto. In totale c'erano una ventina di camere e su venti almeno una dozzina erano occupate da turisti Italiani. Italiani, la peggior razza di turisti. Come ti rompe il cazzo un' italiano turista, chi non fa questo mestiere, non se lo puo' immaginare. Qaundo capivano che ero italiano iniziavano tutti domandando sempre la stessa cosa, ovvero dove si potesse mangiare "all'italiana" per poi tornare e commentare lo schifo che gli avevno dato e come fosse speciale la cucina di mammà ... A parte queste menate, non vedevo l'ora che terminassero queste vacanze di natale. I giorni continuavano a passare e di ana niente, nisba, nessuna fottutissima notizia. La cosa mi faceva andare di matto, tant'è vero che una notte, mentre ero di turno, partorii, grazie ad una grande bottiglia di glent, di andare a casa sua per chiederle una cazzo di spiegazione. Mi svegliai con un solbalzo, avevo finito il turno e il mio collega mi consiglio di andarmi a buttare sul letto e di non rischiare il posto facendomi beccare sbronzo e dormendo dal Boss. Lo stronzo aveva ragione. Gli spiegai che non mi girava alla grande, che era un periodaccio, ma che avrei seguito il suo consiglio. Dovevano essere le otto del mattino, feci una doccia e mi cambiai. Scesi in strada e mi fermai a fare colazione in un bar. Le strade già erano invase da turisti e venditori. Andai verso la fermata del bus con la chiara idea di fare due chiacchiere con lei. Mentre ero assorto nei miei pensieri aspettando che arivasse il mezzo senti una mano che mi tirava per un braccio. Mi girai, e cazzo, c'era uno che stava li a menarmela di brutto. Lo sfigato voleva vendermi dell'erba a tutti i costi. Io non gli rispondevo, cosi, in un inglese precario, quello che sembrava essere un nord africano inizio di nuovo con la filastrocca. Arrivò il bus, mi liberai dallo stronzo con uno spintone che lo fece andare culo a terra. Pagai il tiket e mi sedetti sul primo sedile che vidi. LA testa mi faceva un male cane e la schiena non era da meno. Scesi alla fermata e mi incamminai verso casa di Ana. Arrivato al sottopassaggio in cemento che poi portava nel cortile dove c'era anche l'entrata al suo palazzo, mi domandai se stavo facendo la cosa giusta. Capii che se mi fossi fermato a pensare avrei desistito, cosi mi rimisi a camminare fino ad arrivare all'entrata. Bussai al citofono e rispose Linda, la cugina di Ana. Feci il mio nome, al quale seguirono dei secondi di silenzio. Dopo qualche istante senti la voce di Ana che chiedeva a linda di mandarmi alla merda. Iniziai a urlare nella speranza di convincere ana ad avere un dialogo con me. Ci riuscii, prese la cornetta dalle mani di Linda e mi disse che sarebbe scesa per parlarmi. Trascorsero cinque minuti, i più lunghi della mia vita. Vidi la sua sagoma uscire dal portone. Era bellissima. Ero ancora stracotto di lei. Mi chiese cosa volessi ancora, le spiegai che stavo male, che non capivo il suo atteggiamento. Cosi lei incazzatissima iniziò a dirmi che ero uno stronzo, che per mia colpa avevo rovinato una serata a lei e ai suoi soci, che avevo procurato a Lex la rottura del setto nasale e una microfrattura ad una costola, che solo grazie a lei lo stronzo non m'avesse denunciato. Denunciato? Bella merda, tipico sfigato senza palle che gioca a fare il duro e che poi ricorre a questi sistemi. Le dissi come erano andate le cose, ma non voleva credere ad una sola parola. Cosi,ormai esausto le ripetetti che l'amavo e provai ad abbracciarla. Ma proprio mentre la stavo per cinturare dal portone uscì fuori lo stronzo di Lex con Linda. Per poco non mi scoppiò il cervello per il troppo sangue che il cuore pompò verso l'alto. Ana capii cosa mi passava per la testa e ancor prima che lo sfigato potesse dire qualcosa mi disse che Linda e Lex si erano trasferiti a vivere da lei, che dividevano l'appartamento dato che lo stronzo aveva bisogno di una mano per la guarigione. Ana iniziò a parlare e parlare, ma io non riuscivo più a capire nulla. Concluse con un mi dispiace, fece dietro front e scomparvve nel portone con linda e Lex. Sentivo il cuore andare a mille. Sferrai un calcio contro la parete e mi diressi verso la strada principale per tornare indietro. Mentre viaggiavo a larghe falcate il mio occhio cadde su di una austin rovers bordeaux. In tutta Amsterdam solo un coglione poteva avere quell'auto. Diedi una rapida occhiata in giro, gli unici che erano presenti in strada erano dei tunisini che avevano una macelleria all'angolo. A pochi metri dall'auto dello sfigato c'era un palo anti parcheggio mezzo divelto. Feci leva e riuscii a spezzare il palo nel punto in cui era piegato. Ridiedi un rapida occhiata intorno, alzai la spranga al cielo e con tutta la rabbia che avevo in corpo scagliai il metallo contro il parabrezza di quel cesso d'auto. Il rumore del vetro infranto fu di quelli belli forti. Lanciai il palo lontano e iniziai a camminare velocemente . Gli arabi mi guardarono con un certo timore e quando gli passai davanti dissi di farsi i cazzi loro... Nessuno mi fermò, ma ero sicuro che da li a qualche minuto ci sarebbero stati un bel tot di stronzi intorno al veicolo compresi Ana, Linda e il coglione in lacrime. Presi il primo bus che arrivò senza curarmi di dove fosse diretto. Pagai fino al fine corsa e mi sedetti in fondo. Mi sarei perso, ma fanculo un pub l'avrei trovato...

Cap XXVII

‎giovedì ‎9 ‎dicembre ‎2010, ‏‎03:15:19 | brainiacVai all'articolo completo
Ho sempre amato le giornate d'inverno, con quel freddo secco e le nuvole che non lasciano passare il sole. Se poi piove e ti trovi in un posto caldo, con qualcuno a cui tieni e in più hai davanti una serie di pinte vuote allora penso che sia proprio il massimo. Sono un alcolizzato ? Non credo, non ho bisogno di bere, ho vissuto la cultura del pub come momento d'aggregazione. Un Network relale dove la richiesta d'amicizia la fai inviando una pinta di quelle buone e no un cazzo di messaggio eletronico. Erano volati via 3 mesi da qaundo facevo coppia fissa con Ana, lo scrivo ancora una volta, io ero veramente cotto di questa ragazza. Era il mio reciproco al femminile, ma molto più carina, sia chiaro. Eravamo arrivati al punto che i momenti di silenzio che vivevamo non erano fonte d'imbarazzo. Si sa, spesso quando non si ha confidenza con qualcuno si tende sempre a parlare di cazzate, del tempo, della politica, di calcio, tutto per evitare quei momenti imbarazzantissimi di silenzio. Ma quando non si cerca con esasperazione una qualsiasi cosa da dire, allora significa che tu con quella persona ci stai coi fiocchi. Ogni volta che si tornava a casa ci fermavamo a bere qualcosa. Ana aveva un casino di amici e amiche, del resto era una persona solare, pur essendo olandese. Trascorrevamo quasi più tempo a fare il giro dei club e dei pub che in casa, ma a noi andava benissimo così. Penso che la mia permanenza nella terra dei tulipani coincida con uno dei periodi della mia vita che ricordo con più piacere. Un sabato in particolare ricordo che finii il mio turno verso le 22. Ana venne a prendermi con la sua micra rosso "cherry". Appena montai in auto la baciai, lei mi sorrise e mi accarezzò. La sera prima mi preannunciò una sorpresa, cosi li seduto al suo fianco mi trovavo in uno stato d'agitazione per sapere di che cosa si trattasse. Mi disse di premere play e le casse dell'auto iniziarono a sparare a palla un pezzo cazzuto dei Deadline, gruppo hardcore oi. Recepii il messaggio, ci stavamo dirigendo a un bel concertino di quelli che piacevano tanto a noi. Hardcore for skins, dove solitamente si esce fuori senza un filo di voce e con una gran voglia di dormire per due giorni di fila per via di tutte le energie che consumi pogando cantando e bevendo. Arrivammo in questo locale, alla periferia della città e fuori intravidi uno della cricchia di Ana, un certo Lex. Lo stronzo non mi era mai piaciuto, anche lui non è che era uno dei miei estimatori più sfegatati. Comunque parcheggiata la car scendiamo. Lex salutò con troppo entusiasmo Ana, la cosa mi fece girare di molto i coglioni perchè ero certo che dietro la sua finta amicizia ci fosse dell'altro. Non lo diedi a vedere, per evitare di essere poi etichettato come il solito uomo del sud europa poco avanzato mentalmente. Salutai lo stronzo con un gesto del capo e senza manco dargli la mano. Fuori a questo club oltre a Lex c'erano anche altri ragazzi provenienti un po' da tutto il paese. Li per li non ci feci caso, ma solo quando fui dentro capiì la portata dell'evento. Infatti oltre ai deadline, che se pur essendo un gruppo tosto non era poi cosi conosciuto, avrebbero suonato anche gli Agnostic front e i motorhead oltre ad una serie di altri gruppi di cui non me ne fregava, a questo punto, un cazzo. Resomi conto della mega sorpresa presi Ana da dietro , la alzai e la strinsi forte ringraziandola. Mollò un urlo e con il braccio teso indico il bar e mi disse che potevo ringraziarla iniziando ad offrire il primo round di beveraggio. Caricai Ana come un sacco di patate sulle spalle, lei rideva a crepapelle e gridava aiuto mentre con la mano libera le davo, affettuosamente, delle pacche sul sedere stretto in dei wrangler a sigaretta che le aderivano da dio. Notai lo sguardo assassino e rancoroso di quello sfigato di Lex,mostrai al testa di cazzo un bel sorrisone bianco a 32 denti. Offri da bere a tutta la compagnia, infatti oltre allo stronzo c'erano anche un altro gruppetto di ragazzi, tra cui Linda, la cugina di ana. La serata iniziò e appena partii il pogo duro mi sfilai felpa e maglietta e mi ci buttai a testa bassa. Per svalvolare lo stress e la rabbia non c'è cosa migliore di serate come questa. Garantito cazzo. Presi un sacco di botte, caddi non so quante volte a terra, ma la birra attutiva ogni colpo. Sapevo che l'indomani sarebbe stato infernale, ma in quel momento l'attimo era tutto e io lo stavo cavalcando come il " Duca " cavalcava il suo quarter horse nei deserti texani. Suonarono in scaletta i deadline, poi gli agnostic front, seguiti da altri gruppi HC che non conoscevo. Ogni pausa era buona per rifornirmi di Lager e delle labra di Ana.Tenevo sempre sotto stretta osservazione Lex, puntualmente lo beccavo parlando con Ana e la cosa mi faceva innervosire di brutto. Era ormai notte bella avanzata e Lemmy salutò la folla era il momento clou. Corsi a prendere Ana, a fatica raggiungemmo i piedi del palco. Amavamo i motorhead, in casa erano uno dei gruppi che più ascoltavamo durante i momenti di relax o quando ci dividevamo i compiti per la gestione dell'appartamento. Lemmy attaccò subito con Ace of Spades e fu delirio allo stato puro.I motorhead suonarono come sempre, ovvero in maniera fenomenale. Quando smisero la loro esibizione si accesero più luci all'interno del locale. ero zuppo di sudore, mi sentivo svuotato da ogni sentimento di stress o rabbia, ma tutto passò quando davanti agli occhi mi si ripresento l'amico di Ana. Non lo sopportavo. Dissi ad Ana che avevo bisogno di andare al bagno, la pelle mi chiedeva acqua fredda. Entrato nella toilette mi guardai allo specchio ed avevo gran parte delle braccia coperte da escoriazioni. Sorrisi e mi misi con la testa sotto il lavandino. Mi asciugai la pelata con della carta e raggiunsi ana che premurosamente mi fece rimettere su maglietta e felpa. Mentre ci si congedeva dal gruppo, fuori al club, Lex mi si avvicino e con un filo di voce mi sputò una cosa che mi fece andare in bestia. Lo stronzo mi bisbiglio che prima o poi m'avrebbe tolto Ana, che non meritava di stare con una merda italiana. Non finì la frase che sferrai un pugno dritto allo stomaco. Lo colpii con tutta la forza che l'alcool in circolo mi permise. Lex si piegò in due e d'istinto sollevai il ginocchio della gamba destra per stenderlo completamente a terra. E cosi fù. Lo sfigato cadde come una pera marcia cade dall' albero. Il suo corpo all'impatto con l'asfalto del parking fece un suono sordo. Sapevo che facendo questo "all'amico" storico della mia tipa avrei compromesso la mia relazione con lei, ma ero sicuro di stare nel giusto e mai e poi mai avrei immaginato che effettivamente quell'episodio avrebbe inclinato il rapporto che avevo con Ana. Tutti accorsero, Ana mi spintono lontano e si chino sullo sfigato che si lamentava con rantoli da checca schifosa. Ana mi fulminò con lo sguardo. Provai un dolore fortissimo, era la prima volta che mi guardava in quella maniera, i suoi occhi erano pieni di rabbia. Comunque Lex si rimise in piedi a fatica, e linda con altri ragazzi lo presero sotto braccio e lo portarono in auto e filarono via. Ovviamente ci furono i soliti dialoghi, ma siccome parlavano in olandese non capii un cazzo, ma sapevo che tutti si stavano lamentando del sottoscritto. Ana non disse una parola, salimmo in macchina e non accennò nè a guardarmi nè a parlarmi. Arrivati al parcheggio del parco dove vivevamo scendemmo dall'auto, c'incamminammo verso l'ascensore, vidi che il led era verde, ana aumento la frequenza dei suoi passi, io le stavo dietro a qualche metro, non potevo camminare più veloce, cosi ana entrò nel vano ascensore e senza aspettarmi la vidi scomparire tra le porte scorrevoli del montacarichi. In quel momento avrei preferito che fosse stato Lex a darmi la paga. Arrivato sopra trovai la porta chiusa, presi le mie chiavi e aprii. Ana si era chiusa in camera sua, e questo voleva dire "Tu dormi sul divano e non ti accosti minimamente a me". Capii come girava la storia cosi mi sedetti aspettando che lei uscisse per andare al bagno e cercare il contatto verbale. Dopo 5 minuti sentii la serratura della sua porta aprirsi , la chiamai, ma come risposta ebbi il rumore della porta del bagno chiudersi. Mi diressi cosi verso il corridoio e la chiamai con voce tremante. Lei non rispose. Sentivo l'acqua del lavandino scorrere e il rumore dello spazzolino che sfregava sui suoi denti. Le dissi che mi dispiaceva, ma lei non rispose. Fù cosi il momento del rumore della doccia e del getto d'acqua calda che colpiva il suo esile ma ben fatto corpo. Le dissi che ero innamorato di lei, ma in risposta sentii solo il rumore del tappo del bagno schiuma che si apriva. Mi sedetti di fronte alla porta del bagno, con la schiena poggiata contro la parete del coridoio. Sentivo la testa pesarmi un infinità e la presi tra le mie mani. Le dissi che Lex mi aveva insultato, che voleva che io e lei ci separassimo, e lo stronzo ci era riuscito, ma ancora una volta Ana non mi rispose. Dopo circa un quarto d'ora che mi sembrava fosse durato una eternità Ana apri la porta, era avvolta in un'asciugamano blu, che stringeva forte come ad evitare che io potessi guardare qualcosa del suo corpo che tanto amavo. Le domandai perchè, e lei mi rispose che era finita. Rientrò in camera chiuse la porta e senti che spense anche la luce. Rimasi li seduto nell'oscurità. Piansi silenziosamente. Mi tirai su e andai nel piccolo soggiorno. Presi un foglio bianco A4 e le scrissi tutto quello che avevo per la testa. Le scrissi di cosa mi avesse detto il suo "amico" di quanto l'amassi e di come mi feriva la sua indifferenza. Fini il messaggio scrivendole che avrei preso le mie cose e che sarei tornato a vivere in albergo fino a quando non le fosse passata l'arrabiatura. In un post scriptum misi che m'avrebbe trovato li, in qualsiasi momento. Con un nodo alla gola misi sul tavolinetto il messaggio e poggiai anche due banconote da 100 euro per i costi di fitto e gestione di casa mensile e la copia delle chiavi .Mi diedi una rinfrescata, presi le poche cose mie che avevo tra living room e bagno e scesi in strada aspettando un taxi...

Intermedio 5

‎mercoledì ‎8 ‎dicembre ‎2010, ‏‎01:49:03 | brainiacVai all'articolo completo
Non so il perchè, ma spesso sento che tutto rema contro. Pagare per i torti commessi è giusto, è giusto solo se poi il conto e anche dato a chi come te ha sbagliato. Ma non funziona cosi. Non in questa vita. Non in questo mondo. Non in questa società. Butti giù birra e veleno, hai voglia di spaccare tutto e la musica non serve a mitigare il tuo rancore, lo alimenta. Ho vissuto e vivo seguendo sempre la stessa linea, nel giusto ma soprattutto nell'errore. Io non prendo lezioni, i maestri hanno rotto i coglioni. Quando gli eventi ti prendono a pugni allora c'è bisogno della scossa, ma la scossa non è automatica, non parte per default. Bisogna trovare anche la forza di reazione. A una azione corrisponde una reazione, è fisica questa, quidni fa parte di quelle leggi che formano la vita e la natura. Quindi vita, attenta, mi hai rotto i coglioni e io li rompo a te.

Cap XXVI

‎martedì ‎7 ‎dicembre ‎2010, ‏‎02:21:55 | brainiacVai all'articolo completo
La fortuna è come la coca, se ne hai un po' allora ti senti invincibile, se invece è un ricordo lontano, allora non ci pensi più di tanto e continui dritto per la tua strada. Era ormai quasi trascorsa la seconda settimana dal mio arrivo in olanda, riuscii finalmente a trovare un lavoro in un piccolo albergo nel quartiere a luci rosse. Il mio compito era quello di stare all'accoglienza, dato che a dire del proprietario tale alberguccio era solito essere colonizzato da italiani alla ricerca di emozioni proibite nella venezia del nord. Cosi avendo un inglese scorrevole ed essendo di lingua madre italiana riuscii a beccarmi quel posto del cazzo. Il lavoro era di una noia bestiale, in pieno autunno si sa, gli italiani non muovono il culo, e già, perchè noi siamo un popolo che si muove solo quando fa caldo, siamo come degli animali migratori, viaggiamo solo quando c'è il cambio di stagione, dicembre , aprile, agosto\settembre .. Comunque tutto questo per dire che la maggior parte del tempo la trascorrevo dietro il banco leggendo oppure guardando qualche canale in lingua inglese. I miei turni da 8 ore scivolavano via nella noia più assoluta, e di rado quando si vedeva qualche cliente il massimo sforzo era quello di battare sulla tastiera i dati dello stronzo\a che avevo davanti, spiegare due tre cose e magari, dietro mancia, chiudere un occhio se in stanza per qualche ora extra l'ospite saliva con più uomini o donne alla volta. Ogni volta che staccavo andavo alla stazione ad aspettare che ana finisse anche lei il suo turno. Io non avevo molto da raccontarle, ma lei aveva sempre qualche storiella pronta. Per le stazioni di tutto il mondo passano sempre spurghi niente male, quindi ovvio che avesse sempre qualcosa da dire. Ana aveva la particolarità di raccontare tutto con estrema semplicita e allegria, se per esempio doveva descriverti come un cane di passaggio pisciava sul bagaglio di un paki, lei te lo serviva senza molti particolari ma con i pochi che ci lasciava ti faceva sottolineare nella testa il concetto un miliardo di volte. Io adoravo contemplare il suo viso quando parlava, ero cotto di lei, e penso che lei lo sapesse, ma del resto , anche per sua ammissione, sapevo di non essergli indifferente. Comunque un giorno, come da routine la passo a prendere al suo posto di lavoro, io oramai era da qualche giorno che mi ero trasferito a vivere in quel cesso di pensioncina, infati con una piccola trattenuta il capo offriva una camera per i dipendenti con bagno interno. La camera era molto essential, e penso che sia stato proprio li che per la prima volta vidi dei mobili Ikea... Comunque parlando con Ana mi lamentavo del mio lavoro, della noia che imperava e impervesava, a dire il vero quella sera ero un po' sullo scazzo, cosi rendendosi conto del mio stato mi invitò a passare la notte da lei. Non era la prima volta, e ovviamente accettai con felicità il suo invito. Decisi cosi di prepararle qualcosa , una cena tipicamente "italiana" lo stereotipo perfetto del don giovanni italiano. Passamo in un supermarket e comprai della pasta, e altre menate per sorprenderla. Arrivati a casa sua mi misi subito all'opera, lei mi era sempre vicina, e ogni occasione era buona per baciarsi. Dopo circa una ventina di minuti ci sedemmo a mangiare, e iniziammo a chiacchierare a ruota libera su argomenti quali il cinema, letteratura e musica. Eravamo in pieno accordo su molte cose, e anche per quanto riguardasse i gusti non dico che erano smili, ma poco ci mancava. Dopo aver cenato ci sedemmo sul sofà ana prese una coperta e la stese su di noi, mettemmo su un dvd, e stretti l'uno contro l'altro iniziammo a vederlo. Dopo circa cinque minuti di pellicola il mio naso era già inebriato dal suo profumo, avevo una voglia martellante di baciarla, lei mi accarezzava la mano cosi la baciai sul collo, e poi sugli occhi e infine sulle labra. Facemmo l'amore e non ho vegogna di dire che mi sentivo al settimo cielo ogni qualvolta le mie mani potevano accarezzare qualcosa di suo. Mentre eravamo li sdraiati nel dormiveglia lei mi propose di trasferirmi a vivere in quell'appartamento. Le risposi che per me andava bene, la vidi scattare su come se fosse stata attraversata da una scarica elettrica, mi ordinò di rivestirmi e dopo 5 minuti ci ritrovammo nella sua micra andando verso la pensione dove lavoravo per prendere le mie cose. Durante il percorso mi disse, con tono fermo e deciso che io in casa dovevo cucinare ogni giorno qualcosa di buono per lei, che di mangiare merda da take a way era stufa. Sorrisi e poggiai la mia mano sulla sua gamba. Arrivati all'entrata dell'albergo mise le 4 frecce, io scesi e come un fulmine raccolsi tutto alla rinfusa nel mio sacco, spiegai la novità al mio compagno di lavoro e schizzai in auto. Appena salito la baciai e dissi di amarla, lei sorrise mi diede uno schiaffo dietro la testa ed esclamo ironicamente la frase : "il solito italiano"...

intermedio 4

‎lunedì ‎6 ‎dicembre ‎2010, ‏‎02:20:35 | brainiacVai all'articolo completo
Non potevo trovare parole migliori stasera:

Nelle piazze e per le strade di citta’
Si respira la realta’
Tanta gente tanta folla, troppa che
Vive quello che non c’e’
Non c’e’ piu’ nessuno
Che puo’ dirmi cosa e’ bene o male
L’anima e’ ribelle
Ed il tempo non mi puo’ cambiare
Pazzo
Dico sempre quel che penso e sono
Pazzo
Ho lo sguardo di chi ha vinto tutto
Tutti fanno, tutti voglion, tutti han gia’
Tutto e’ consumato ma
Non permetto che si scelga anche per me
Sono io a decidere
Non c’e’ piu’ nessuno
Che puo’ dirmi cosa e’ bene o male
L’anima e’ ribelle
Ed il tempo non mi puo’ cambiare
Pazzo,
Non sorrido a chi comanda e sono
Pazzo
Con lo sguardo di chi ha vinto tutto
Ho uno stile, ho una mente e non ho eta’
Ho una vera identita’
Riconoscermi e’ piu’ facile perche’
Sono come piaccio a me
Non c’e’ piu’ nessuno
Che puo’ dirmi cosa e’ bene o male
L’anima e’ ribelle
Ed il tempo non mi puo’ cambiare
Pazzo
Non abbasso mai la testa e sono
Pazzo
Ho lo sguardo di chi ha vinto tutto
Tutto a posto tutto cambia o finira’
Ho la mia di verita’
Forse ingenuo, forse illuso, non lo so
So che non mi adeguero’
Non c’e’ piu’ nessuno
Che puo’ dirmi cosa e’ bene o male
L’anima e’ ribelle
Ed il tempo non mi puo’ cambiare
Pazzo
Cerco sempre di capire e sono
Pazzo
Me ne frego delle mode e sono
Pazzo
Penso con il mio cervello e sono pazzo
Con lo sguardo di chi ha vinto tutto

Cap XXV

‎domenica ‎5 ‎dicembre ‎2010, ‏‎02:26:18 | brainiacVai all'articolo completo
Aprii gli occhi, fui svegliato dal rumore di una tv che trapassava le pareti dell'appartamento come mine di un trapano a percussione. La testa pulsava, colpa dell'alcool e della musica della notte precedente sparata a palla. Ero ancora sul divano, lei dormiva profondamente. Intravedevo il profilo del suo corpo a fianco al mio. La luce sbiadita che veniva da fuori lasciava intravedere solo i contorni di tutto, il gioco d'ombre mi riportò a chiudere gli occhi. Il sonno era sfumato, ma quella situazione volevo che durasse all'infinito. Ana continuava a dormire, il suo respiro profondo si perdeva nell'aria. Provai a non muovere un solo muscolo per evitare di svegliarla. Osservavo intorno, e per quanto permettesse la penombra, incominciai a distinguere i primi oggetti. Fronte al divano c'era un mobiletto con su una tv e sotto un piccolo lettore cd con due casse in radica. Sparpagliati tra suolo e cassetti si intravedevano un casino di custodie di cd. Riuscivo a distinguere qualcosa, intravedevo il doppio cd raccolta degli smaghing pumpkins "mellon collie and infinitive sadness". Forte un casino. Tirato su di un tavolinetto c'era poi la compilation di soundtraks del filme Trainspotting, con pezzi di quel rinco di Iggy pop e vari altri artisti cazzuti come loo red. Sempre su quel tavolinetto color betulla ci stavano in sequenza, poggiati come pezzi di un domino, il "the best of sex pistol" e poi "The essential of Clash"... Stramitico, la tipa qui ne capiva un casino di musica. Ormai le pupille si erano abituate alla semi oscurita del mini appartamento di ana e come biglie impazzite ruotavano alla ricerca di tutto quello che non avevo notato il giorno prima. Ana fece un movimento per posizionarsi meglio ed io la seguii con il mio corpo, per evitare di metterla in una situazione di scomodità e farla svegliare, non doveva svegliarsi, non prima che avessi visualizato e mandato in memoria quante più micro-informazioni possibili sulla sua tana. Ripresi la ricerca e nella stessa direzione del mobiletto tv, sulla parete, intravidi delle mensole, strabordanti di cd messi li alla rinfusa.In strada dovette passare un auto con gli abbaglianti in quanto per qualche istante la luce dei fari inondarono la camera in cui ci trovavamo. Come un assetato che nel deserto intravede una goccia d'acqua, strizzai gli occhi e aprofittai di quella luce part time per vedere che su quella stessa parete c'erano affisse delle locandine di film, riuscii a distinguerne un paio solamente, una era chiaramente la flyer del film di quello psicopatico geniale Rob Zombie, la casa dei 1000 corpi. Film da sturbo quello, cristo l'avrò visto almeno cento volte. Con quel bel faccione sorridente e da insano di mente di capitan Spaulding. E a seguire intravidi quella che doveva essere il poster di Vincent, uno dei primi corto di Tim Burton. La luce dell'auto svani, ma la mia curiosità aumentava man mano che il tempo trascorreva. Vicino alla finestra, sulla sinistra del tavolinetto c'era una sorta di mini libreria molto basic. Stipati alla rinfusa c'erano molti libri, la maggior parte dei quali titolati in olandese. Da quella posizione non riuscivo a vedere quasi nulla e la luce non aiutava molto. Ana iniziava a muoversi con più frequenza, il sonno la stava lasciando e da li a poco si sarebbe svegliata. Avevo la paura che una volta sveglia tutto sarebbe finito. che, imbarazzata, mi desse un benservito, che mi dicesse un semplice ciao ci si vede. Ana apri gli occhi, io feci la parte che mi stavo riprendendo nello stesso istante. I nostri occhi si incrociano. Per qualche istante mi si gelò il sangue nelle vene e mi predisposi ad ascoltare il suo "cazzo ci fai qui" stracolmo d' imbarazzo, invece no, mi sorrise e mi sussurrò qualcosa che alle mie orecchie martoriate dalle casse suonò come un good morning. Mi si scaldò il cuore, le sorrisi e le accarezzai la fronte spostandole parte dei capelli ossigenati che le cadevano su di un occhio. Lei mi portò le sue braccia al collo e mi strinse forte. Ebbi una sensazione stranissima, conoscevo questa ragazza da sole 24 ore, più o meno, ma avevo l'impressione come di frequentarla da anni.Mentre il mio cervello stanco elaborava ana avvicinò le sue labbra alle mie me le accarezzò con le sue e bisbigliò qualcosa in olandese. Non la capii e le sorrisi, cosi lei rise e disse :"hai sorriso quindi pensi lo stesso". Le commentai che non avevo idea di quello che mi aveva appena detto, ma che era bellissima e che qualsiasi cosa avesse espresso mi andava bene. Cosi iniziò a parlare molto pacatamente e sempre fissandomi negli occhi e sentii uscire dalla sua bocca le parole che avrei voluto sentire " mi piaci " . Ormai al settimo cielo le risposi baciandola. Rimanemmo li sdraiati ad accarezzarci e chiacchierare. Sorridevamo, scherzavamo, ci conoscemmo, non facemmo sesso e questo fù ancora più importante, perchè per quanto mi riguardava voleva significare che questa ana mi piaceva sul serio...

Cap XXIV

‎domenica ‎5 ‎dicembre ‎2010, ‏‎01:30:57 | brainiacVai all'articolo completo
Mi ritrovai quindi ad un centro informazioni presso la stazione ferroviaria domandando, locandia alla mano, dove si sarebbe tenuta la serata gabber. La ragazza al punto informazioni parlava un ottimo inglese, era bionda ossigenata, carnagione bianca e da sotto la camicia spiccava, sulla sua pelle di porcellana, uno sgargiante tattoo. Comunque la tipa mi chiede la locandina, e mentre la tiene tra le mani sorride. Dopo qualche secondo si guarda intono e con voce ironica mi dice di apsettarla al bar di fronte seduto, che da li a qualche ora avrebbe finito il turno di lavoro e che al rave ci saremmo andati assieme . Sorpreso guardo nella direzione indicata, e le dico se mi sta prendendo per il culo o che. La ragazza mi passa la mano e dice di chiamarsi ana, che non vuole prendermi per il culo e che anche lei era da un po' che stava in fissa per andare a questo cazzo di gabber party. Cosi vado a sto cazzo di bar e mi siedo in modo tale da tenere sempre sotto controllo ana. Mi sbatto giù un paio di latte di plinser tedesca, e continuo, assorto nei miei pensieri nulli, a fissare la giovane informatrice. Dopo circa un ora e passa e tante altre latte bevute come un ossesso ho un enorme bisogno di andare al bagno per svuotare la vescica ormai di proporzioni assurde. Quando ritorno al tavolo noto che al banco info è cambiata la guardia, impreco un porcodi.. ma proprio in quel momento mi sento toccare da dietro la spalla, e il naso manda al cervello un input di un profumo femminile già odorato in precedenza, i nervi si rilassano mi giro e trovo ana sorridente che mi fà " Dai andiamo, devo passare prima per casa che devo cambiarmi" o qualcosa del genere. La invito a farsi un bicchiere, ma lei passa e dice che bisogna muovere il culo che il tempo non è abbastanza. Cosi la seguo a razzo per le vie e i canali, fino a quando non ci ritroviamo ad una fermata d'autobus a chiacchierare del più e del meno. Ana è una ragazza sveglia, mi racconta di essersi laureata in qualcosa sul turismo, non aggancio bene tutto quello che mi dice per via della birra che mi bolle in capo. Comuqnue l'assecondo in tutto quello che dice e quando poi, ovviamente arriva il mio turno, le racconto per grosse linee il mio ultimo anno e passa di vita, lei resta impressionata, favorevolmente, almeno mi pare, e ascolta con attenzione ogni stronzata che mi esce dalla bocca. Mentre le racconto ci ritroviamo seduti in autobus, non faccio caso a dove cazzo stiamo andando, nè mi interessa in quel preciso istante, dato che sto andando a casa di una bella tipa con la quale da li a poco mi sarei immerso a pesce nella folle scena gabber olandese. Comuqnue dopo circa un quarto d'ora di chiacchiere mi dice che è arrivato il nostro turno di scendere, le sorrido, le cedo il passo e la seguo. Scendendo dal bus noto la pensilina della fermata e leggo la zona in cui ci troviamo, amstel, mi suona tanto di birra e quando esterno ad ana il mio curioso pensiero, lei mi risponde sorridendo che più o meno c'ho azzeccato. Noto subito l'atmosfera da periferia, annuso aria familiare. Le periferie sono tutte uguali, blocchi di palazzoni grigi, strade larghe e un po' sgangherate, cassonetti dei rifiuti pieni di graffiti, potrei trovarmi a Londra, glasgow, o in una qualsiasi altra metropoli. Una cosa che unisce le città di tutto il mondo sono proprio le cazzute periferie.... Continiuamo a camminare per altri cinque minuti sotto i fasci giallognoli dei lampioni. Di tanto in tanto ci si becca con qualche arabo o indiano, che sta li allegramente a fumare o a sparare cazzate in magreb con qualche merdoso amico suo.Ana Mi sorride e dice che c'è da abituarsi in sta città che più europa le sembra nord africa. LE dico che per me non c'è nessun problema, che fino a quando si fanno i cazzi loro per me sono nulli. Mi sorride nuovamente e mi dice che si è arrivati. Passiamo per un corridoio in cemento armato illuminato dal neon instabile, una volta passato il tunnel ci ritroviamo in una sorte di spazio aperto circondato da palazzoni in cemento armato. Ana apre un portone con su scritta una bella H e iniziamo a salire le scale. Arrivati al secondo piano apre la porta e mi fa di non badare al casino e di sedermi o prendermi qualcosa da bere se ne ho voglia. Mi sento un poco a disagio ma cerco di non mostrarlo. Mi siedo sul divano e do una rapida panoramica. L'appartamento è tenuto bene, sparpagliati sui pochi mobili qualche foto e cimelio di famiglia. Ana mi dice di aspetare giusto 10 minuti, ha bisogno di cambiarsi, ed io mi domando come una ragazza lasci che uno sconosciuto entri in casa sua mentre lei è li nella camera a fianco mezza nuda a cambiarsi. LA chiamo, e le dico subito quello che mi passa per la testa. Ana sbotta in una risata e mi dice che lei sa riconoscere le persone ok dai pezzi di merda. Le credo sulla parola. Vedo che esce dalla porta con un jeans super aderente che le sta da dio e una polo fred perry per donne rosa con i bordini neri. Capisco che è una strafiga e mi esce fuori un mezzo complimento. Lei sorride quasi imbarazzata e mi ringrazia, la vedo prendere un paio di anfibi e si siede sul divano, al mio fianco.Mentre si infila i boots mi dice che se già un persona le fa una domanda stile la mia c'è da fidarsi, perchè uno psicopatico certe seghe mentali non se le fa. Le sorrido e lei continua con l'opera d'inserimento boots. Una volta calzati mi poggia la sua mano sulla spalla e si tira su, io la seguo d'impulso e quando sto li su in piedi lei si gira di scatto. Lei sarà alta sul metro e sessantacinque io invece sono sull'uno e ottanta, quindi c'è una bella differenza di stazza. Porta le sue due mani sul mio volto quasi a stringermi le guance e con forza mi fa chinare la testa verso la sua. Sento le sue labbra sfiorare le mie e poi la sua lingua accarezzarmi. Mi lascio andare, sbigottito e sorpreso. All'improvviso ana scatta urlando una cosa in olandese, io non afferro e lei ridendo dice che è ora di andare. Scendiamo giù in un sotto livello che è un parcheggio e ci avviciniamo ad una mcra rossa. Apre la portiera, montiamo su e via si va. LA serata scorre da dio. gabber a pala, un casino di fulminati e tanto alcool, conosco un certo tot di amici e amiche di ana, gente ok, tipi tosti. Tra una birra e l'altra sento la musica martellare da urlo e la gente unirsi come fossero tante gocce del mare. Ana mi è sempre vicina, e ogni tanto i nostri sguardi sorridenti si incrociano a mo di complicita. Lei mi piace e forse io piaccio a lei. La serata, o forse meglio dire la mattinata finisce con io svaccato sul suo divano e lei che si addormenta in posizione fetale contro di me. Intravedo il sole, tra i palazzoni, inondare con i suoi raggi le strade e le case del quartiere amstel. Mi godo il momento e involucro ana in un forte abbraccio.

Intermedio 3

‎venerdì ‎3 ‎dicembre ‎2010, ‏‎01:38:02 | brainiacVai all'articolo completo
Corro,corro, corro, sguardo fisso avanti, non mi volto mai. Sono in una strada chiusa, senza uscita. Non posso tornare indietro e scavalcare il muro è impossibile. Cerco qualche appiglio, una scala, una finestra, qualche cassonetto dell'immondiazia sul quale iniziare la mia scalata per sfuggire da quel qualcosa che mi insegue, che mi tormenta, che non mi da pace. Arrivo al punto di desiderare la morte, unica via di liberazione da quel senso che mi opprime. Spalle al muro mi lascio cadere a terra, mi prendo la testa tra le mani, il buio è sempre più vicino.

Cap XXIII

‎giovedì ‎2 ‎dicembre ‎2010, ‏‎02:36:22 | brainiacVai all'articolo completo
Era trascorsa una settimana dal mio arrivo, le giornate sembravano sfuggirmi di mano. Non riuscivo a trovare lavoro, ma più precisamente non avevo voglia di incontrare qualcosa. Il volume del mio portafoglio si assottigliava ogni giorno di più, colpa della camera, del vitto e anche colpa del pagamento di alcuni vizi. Amsterdam era la terra promessa di tutti coloro che cercavano la disney del sesso a pagamento sicuro, delle droghe e quant'altro. Una sera mentre passeggiavo per De Wallen, per ovvi motivi, la mia attenzione fu attirata da una Flyer appiccicata su di un lampione. La locandina propagandava un concerto di DJ Paul in città. Per chi non lo sapesse, negli anni 90 questo stronzo con l'aiuto di una console modificata inventò quel genere conosciuto come Gabber. Una fottuta evoluzione della musica Techno, molto più pressante e pesante. Avevo sentito parlare di qualcosa del genere quando ero su in UK, ma li la vecchia scuola era ancora per la Techno. Cosi strappai la locandina la ripiegai e me la misi in tasca. Dopo aver fatto una sosta presso una splendida Thai, entrai in un bar. Mi sedetti e notai subito la presenza dei tipici cazzoni inglesi "tute lucide". I "Tute lucide" sono una specie bastarda, vanno sempre in gruppi di 4 - 5 elementi e si caratterizano per le loro tute acriliche, cosa che oggi portano i cinesi, ma che all'epoca in uk erano molto di moda tra la Working Class, e si caratterizzano anche per il loro fare sguaiato, o meglio dire "fare da tamarri". Comunque ero li che chiedevo la mia pinta di birra quando sento ste teste di cazzo parlare di futbol. Erano dei Magpies, uccellacci del cazzo. Gli stronzi erano li che sbraitavano minchiate, e mentre sorseggiavo la mia lager li osservavo distrattamente. Finito il primo bicchiere ne ordinai subito un altro. LA lager fresca scendeva giù che era un paicere, sentivo già la leggerezza offuscare il cervello, mentre ero li a godermi la salita dell'alcol uno di sti uccellacci mi si avvicina chiedendomi cosa cazzo avessi da guardare. Il tipo era piccoletto e tarchiato, lo fissai dritto negli occhi piccoli e infossati come quelli di una fottutissima volpe, portai nuovamente il bicchiere alla bocca, buttai giù un lungo sorso e posai il bicchiere. Avevo voglia di piantargli un bel pugno tra quei due piccoli occhi da lumaca, e fargli rientrare quel fottutissimo naso rosso dentro il suo craneo da ottuso mangiapatate di merda. I suoi soci erano li che osservavano divertiti la situazione, mi accorsi che il tipo al banco era già pronto ad intervenire per sedare qualsiasi inizio di casino, così mi alzai e mi piantonai davanti lo stronzo. Lo spinsi con il petto e notai subito la differenza di altezza tra me e lo stronzo. Io non ricordavo se lo avevo fissato o meno, ma me ne fregava il cazzo ero pronto a seppellirlo. Gli ringhiai in cockney cosa cazzo avesse detto, e il coglione un po' sorpreso, rispose che lo stavo fissando, e che lui non voleva mai essere fissato. Eravamo entrambi quasi sbronzi, ne ero consapevole. Rifeci una panoramica del bar, e come una polaroid fissai le foto dei suoi soci del cazzo sullo sfondo centrale, a destra il tipo dietro il banco pronto a metter pace, e sulla sinistra i tavoli con la ragazza che serviva e che aspettava insieme a qualche alcolizzato li sbattuto su di una sedia, l'evolversi della storia. Mi accarezzai la testa, il pelo cominciava a crescere, avrei dovuto radermi la testa prima di uscire, ma ora avevo da sistemare la questione con la gazza del cazzo. Lo spinsi con una mano, lo stronzo era molto più sbronzo di me e cadde col culo a terra. M'aspettavo una reazione dei suoi soci che invece con mia grande sorpresa, esplosero in una risata assordante. Lo stronzo era li che provava a rialzarsi inveendo contro i suoi soci. Uno di loro mi si avvicino con una pinta piena e sorridendomi me la passò e mi invitò ad unirmi a loro. Il suo amico si rimise in piedi e una volta sulle sue gambocce notammo tutti che s'era pisciato addosso. Fù delirio. I suoi compari erano li piegati in due dal ridere, io non resistetti, cosi come tutti i prensenti, a quella scena. Intanto il guerriero resosi conto delle su condizioni scatto verso il bagno, ma siccome stava a culo inizio a sbattere contro le sedie e i tavolini del bar, era come una palla scagliata in un negozio di bicchieri. Mi sedetti con i ragazzi di Newcastle e inizio il tipico rito del giro. Alla settima pinta eravamo tutti fratelli, sbronzi e felici. Fuori la notte calava e con essa il freddo dei paesi bassi. Per la prima volta dopo molto tempo, li, nelle luci soffuse del bar, con quegli sconosciuti con cui stavo ridendo e scherzando e quel acro aroma di erba nell'aria, mi sentivo a casa...

Intermedio 2

‎mercoledì ‎1 ‎dicembre ‎2010, ‏‎02:09:51 | brainiacVai all'articolo completo
Ma alla fine c'è qualcosa di buono? Il mondo sembra essere nuovamente sull'orlo dell'ennesima crisi di nervi. Le due Coree giocano a guardie e ladri, tirano in ballo i fratelli maggiori, USA e Cina, scaramucce? Prove di forza? Solo stupidità. Ma forse meglio che si distruggano a vicenda, cosi almeno si potrebbe segnre un -2 sulla mappa del mondo. Troppo crudele? beh, si. L'uomo è voluto andare troppo oltre. Siamo sottoposti ad un bombardamento mediatico ogni giorno, la dittatura del sorriso ha occupato con la forza le nostri menti. Siamo oramai tanti esseri lobomotizzati che vagano come zombi, siamo sempre alla ricerca del consumo. Le nostre anime sono carcasse in putrefazione, siamo costretti a ritmi di vita osceni, per il solo gusto di ingannare chi ci conosce e noi stessi. C'è ci ha provato a tagliare con la oscena vita quotidiana, ma il vortice del consumo è troppo forte. Inebetiti dall'etere viviamo di dosi quotidiane di sciagure. Proviamo conforto nel sapere che qualcuno sta peggio, siamo felici di avere la nostra mediocre vita quando la scatola parlante delle meraviglie racconta dell'ennesimo caso di follia e spregevolezza umana in tutte le salse, per giorni e giorni. Come tanti zombie camminiamo barcollanti per i luoghi dei disastri, pronti a fotografare con i nostri ultimi cellulari i luoghi dei misfatti. Stiamo li come tanti ebeti a venerare il Dio nessuno in quei posti che dovrebbero essere risucchiati da un buco nero, scomparendo con tutta la tristezza che conservano nelle ombre sparse. Come zombie meritiamo di morire con un colpo alla testa, ma i danni sarebbero limitati visto che il cervello è gia spappolato di suo. L'umanità ha sempre dato prova di quello che vale. Non ci smentiamo mai.


Cap XXII

‎martedì ‎30 ‎novembre ‎2010, ‏‎01:37:52 | brainiacVai all'articolo completo
La prima cosa che feci una volta messo piede su suolo Olandese fu chiamare a casa e dire che ancora una volta avevo mollato un lavoro per cercarne uno nuovo in un altro paese. Mia madre mi disse un semplice "ok", mi chiese se stavo bene, se avessi avuto bisogno di soldi, le risposi di no, e che mai avrei chiesto soldi a loro, le scelte erano le mie, la vita anche e i problemi, di conseguenza, pure. Mi misi subito in cerca di una camera a buon prezzo vagabondando per le vie della città. Amsterdam aveva un fascino particolare, i canali, le case colorate, quelle barche da fiume sgargianti come rose nel cemento. Ogni tre passi venivo fermato da qualche individuo, per lo più tutti turchi o di fattezze arabe, che provavano a vendermi anfetamine, coca, erba o quant'altro. Una cosa pedante, ad ogni incrocio sentivo un richiamo, erano poche ore che ero li e gia avevo i coglioni pieni di questi che provavano a smerciarmi di tutto. Comunque passai illeso dalla tentazione di comprare e trotterellando arrivai nei pressi del quartiere dei musei dove trovai un ostello con camere libere. Presi un letto con armadietto in una camera da 5. Il tipo al banco era un ragazotto della mia età, bianco latte magrno come un palo e con la pelle del viso rovinata dall'acne. Andai su in camera, chiusi la sacca nell'armadietto non prima d'aver tirato fuori il cambio per il dopo doccia. proprio nel momento che stavo per calarmi giù le brache entrarono i coinquilini della camera, mi salutarono con timidezza, e mentre mi calavo le braghe accennai col capo e salutai tutti. Mi misi sotto la doccia, l'acqua era caldissima, sentivo la pelle rilassarsi sotto i colpi scroscianti del flusso d'acqua. La salsedine del viaggio scivolava lungo il tubo di scarico e con lei gli ultimi granelli di polvere made in UK. Ritornai tra le brande e mi vestii. Gli stronzo stavano consultando una mappa, i tre erano unica comitiva, chiesi loro da quanto erano li e se già fossero stati ad amsterdam. Risposero che anche per loro era la prima volta e che stavano in città da solo un giorno. Si parlò del più e del meno e capii subito che erano tre sfigati in cerca di emozioni tra prostitute e coffeshop. Mi congedai dall'allegra brigata e mi catapultai in strada senza una meta. Il primo passo era fare un giro della zona in cui mi trovavo, individuare posti chiave come bar, pub o risto, ficcarmici in uno e cercare di socializzare con la fauna locale. Iniziava una nuova avventura e in quel momento risetii l'adrenalina scorrere nelle vene come al concerto di iggy ... The shoow must go on...

Intermedio 1

‎lunedì ‎29 ‎novembre ‎2010, ‏‎01:57:08 | brainiacVai all'articolo completo
I vecchi demoni non ti abbandonano. Ovunque andrai loro saranno sempre un passo avanti, pronti ad aspetarti e a metterti di fronte a quello che eri e che in fondo continui ad essere. Nella vita mi sono costruito un guscio, se permetti a qualsiasi stronzo di entrarti dentro e analizzare il tuoi "io", allora sei fottuto, perchè prima o poi la persona in questione ti farà a pezzettini. Allora ho imparato fin da piccolo a picchiare questo io, ogni giorno, ogni momento della mia lurida vita, e picchiando una due tre volte vedi che si crea intorno una corazza, che tiene ben riparato questa parte cosi intima. In pratica e come il cavò di una banca, spesse mura in cemento armato, un unica entrata sbarrata con ferro e pietre. La maggior parte di questi 30 anni li ho vissuti nell'odio e nel rancore. Vedevo le persone intorno a me cambiare, essere felici, applicarsi per cose che per me non avevano nessun valore o significato. La mia tribù non è mai stata la massa. La sensazione è di non aver alcun controllo,la sensazione è che sto andando alla deriva. La gente si affana a mostrare ciò che non è. Sguardi altezzosi che mascherano esseri vuoti e miseri. Io odio l'apparenza, odio chi si vuol confondere tra i "very important people", odio chi non ha alcun interesse verso il nuovo, odio chi è stato capace di leggere solo il manuale del nuovo telefonino, odio chi cambia l'ultimo "I-Phone" per uno ancora più nuovo, tante applicazioni per non usarne nessuna, odio chi si atteggia da uomo vissuto ma che non conosce neanche la sua strada, odio, odio e odio la quasi totalità delle persone con cui mi sono "scontrato" in 30 anni di vita. Vorrei essere tempesta per spazzare loro e i loro fottutissimi suv, Iphone, note book. Vorrei essere fuoco per far ardere i loro vestiti firmati pagati a rate, o l'ultimo plasma comprato con pagamento posticipato a due anni. Odio la tv-generation che ci ha trasformati in prodotti, in cloni tutti uguali nei gusti e nelle "non-passioni". Io sono il sotto prodotto tossico della creazione di Dio, io non sono speciale, io non sono nemmeno merda o immondizia. Io sono. Io sono soltanto, e quello che succede, succede soltanto.

Cap XX

‎sabato ‎27 ‎novembre ‎2010, ‏‎02:08:33 | brainiacVai all'articolo completo
Il cielo grigio invocava la pioggia, dal ponte del traghetto guardavo l'isola allontanarsi. Il mare e il cielo si fondevano all'orizonte in un unico colore senza vita. Li seduto su una panca e stretto nel mio Harrington pensavo a cosa sarei andato incontro. Ero giovane, avevo tutto da vincere e nulla da perdere. Stretto nelle spalle mi incamminai verso il bar del traghetto. La moquette puzzava di birra stantia, mi sedetti su di uno sgabello vicino il banco, la puzza del caffe mischiata a salsedine e legno mi diede un colpo allo stomaco. Ordinai una lager e mi sedetti vicino ad un oblò a fumarmi una siga alternando folate di fumo a lunghi sorsi. Iniziò a piovere, il rollio del traghetto si accentuò e nello stesso momento si sentivano lamenti di vomito provenire dalla coperta. Non ho mai sofferto il mare, anzi, mi ha sempre conciliato la mente. Il beccheggio mi riportava a quando ero ancora un neonato, tra le braccia di una donna che mi dondolava per farmi fare dolci sogni. In quel momento la donna era un barcone da 300 posti in ferro e i dolci sogni solo meere preoccupazioni su quello che sarebbe stato. La realtà è che uno vive finchè non muore... E la verità è che nessuno vuole la realtà. La nebbia portò via l'immagine della costa. Tre lunghi suoni squarciarono la quiete della natura. L'imbarcazione squarciava il mare lasciando un onda giallastra che si propagava fino l'infinito. Ripensavo al rapporto con mio padre, a quanto lo avessi odiato, per lui avrei potuto fare qualsiasi cosa, ma finchè sarei restato in vita sarebbe stata sempre quella sbagliata. L'urlo dei gabbiani a poppa distolsero la mia mente dal triste faccia a faccia che stavo avendo con me stesso. Una bambina inghiottita da un cappottino correva allegramente da un tavolo all'altro, un ragazzotto di qualche anno più grande di me la rincorreva inchinandosi verso di lei ogni qualvolta il traghetto s'imbarcava per un onda lunga presa di traverso. Finii la birra e ritornai fuori, dove il vento gelido misto ad acqua nebulizzata mi si scagliò contro la testa rasata. Passai la mano sul capo e le goccioline d'acqua incastrate nel millimetro della mia capigliatura furono catapultate nell'aria salmastra che si respirava. La gente rivendica i propri diritti sulle persone a cui vuole bene dandogli un nome diverso, etichettandole come fossero roba loro, ma io ero e sono sempre stato di me stesso. Scorsi all'orizonte verso prua la costa dei paesi bassi. Da li a poco sarebbe inziata una nuova parentesi della mia vita.

Cap XIX

‎venerdì ‎26 ‎novembre ‎2010, ‏‎02:37:50 | brainiacVai all'articolo completo
Ho sempre odiato chi mi ha considerato un poco di buono. Nella vita ho sempre fatto quello che sentivo di fare. Ho commesso molti errori e li commetterei ancora una volta. Ho sempre disprezzato il perbenismo, la bontà d'animo di facciata, quello che gli anglosassoni definiscono "politically correct" . Ho avuto la fortuna di non essere mai stato aiutato, ho vissuto qualche volta rasentando la miseria per scelta o strafottenza e ho conosciuto l'altruismo e la solidarietà delle classi sociali più bisognose. Di queste ultime ho anche conosciuto e vissuto i vizi e le sfumature più abiette, ma è proprio da lì che spesso arrivano le idee più strane e le filosofie di vita più innovative. Ho sempre lavorato, e tutt'ora lo faccio, ma prima di avere la responsabilità di non pensare soltanto a me stesso ero uno di quelli che ragionava che uno deve vivere fino a quando muore e che quindi meglio viversela e godersela come un'esperienza completa la vita, anche perchè poi la morte puo' risultare essere una cagata. Dopo essere stato a Glasgow per quasi sei mesi ritirai fuori il sacco dall'armadio e lo riempi con le mie cose. Lasciai un biglietto da 100 per i coinquilini in modo tale da non lasciarli nella merda per colpa della mia testa. Al lavoro avevo detto al capo del personale che avevo avuto un casino in famiglia e che sarei partito stesso in giornata, lo stronzo mi disse che senza preavviso di almeno 30 giorni non mi sarebbe aspettata nessuna liquidazione,ma mi fregava un cazzo. Avevo messo da parte abbastanza da poter campare senza lavorare per un bel po'. Con parsimonia, no nello sfarzo, ma ci ero abituato. Andai alla stazione degli autobus e comprai il biglietto che m'avrebbe portato a Victoria Station in Londra. Ero un poco triste all'idea di lasciare quei sei mesi di stabilità, ma era giunta ora di cambiare aria. Entrai in un supermarket nella zona di stazionamento e presi delle barrette di cereali , qualche rivista, una bottiglia di succo d'arancio e una di glentfindich per aiutarmi a far passare velocemente il lungo viaggio che m'avrebbe riportato a Londra. Avevo deciso di lasciare la Gran Bretagna, ero intenzionato ad attraversare la manica e stare per un po' di tempo in Olanda, la terra promessa per quelli come me, che non hanno ancora ben chiare le idee su come indirizzare la propria vita, ma a soli 22 anni mi sembrava normalissimo. A casa quasi non chiamavo, ogni tanto parlavo con mia madre, mio padre invece era contrario al mio "stile di vita". Il mio vecchio avrebbe voluto che la mia vita fosse stata come la fotocopia della sua, finisci le scuole superiori e ti iscrivi all'università. Passano 5 o più anni e poi ti cerchi un fottuto lavoro. Arrivato ai 30 e larghi se ti va bene metti su famiglia e ti ritrovi con un lavoro del cazo che odi, una rabbia repressa per tutto quello che non hai fatto, e un cazzo di conto in banca che viaggia sempre borderline tra il rosso e il verde. Io ci sono arrivato lo stesso ai 30 e meno larghi con una °"famiglia" mia e solamente mia, ma ho raggiunto questo stato come la normale evoluzione della mia vita. Senza dare retta a nessuno, tanto meno un borioso testa d icazzo convinto che la prole debba comportarsi come una colonia di formiche. Comunque il viaggio non me lo ricordo, perchè una volta salito sul bus mi scolai l'intera bottiglia di Glent e mi risvegliai ai primi albori quando sfrecciavamo sulla Hightway in prossimita dei primi comuni a ridosso di Londra. Dopo circa un paio di ore il bus entrò nella caotica londra e così mi ritrovai al punto di partenza. Mi caricai il sacco in spalla e scesi nella tube. Prima di partire per Amsterdam volevo trascorrere qualche giorno a Richmond, dove trascorsi, forse, alcuni degli anni più significativi della mia giovane età. Dopo circa 1h mi ritrovai a salire le scale che mi portarono sotto il cielo di richmond. Tutto mi era familiare e fù come tuffarsi nei ricordi. Mi incamminai verso il St. Margaret Collegue e una volta all'uscità mi fermai a contemplare tutti quei ragazzi che entravano in giacca bordeaux e cravatta nera. Riconobbi il vecchio custode che era ancora li a fare il suo "mestiere" di osservatore. Mi avvicinai al gabbiotto in pietra stile vittoriano e battendogli una mano sulla spalla lo salutai chiamandolo per nome, Robert. Il tempo aveva fatto il suo bel mestiere allo stronzo, aiutato ovviamente dai litri e litri di royal Ale che era solito sbattersi giù. Non mi riconobbe, e su questo ci avrei scommesso, finsi di fare l'offeso e cominciai a raccontargli di Ely e della volta che mi beccarono cercando di mettere su un traffico di alcolici d avendere ai ragazzi dei corsi estivi. Un fulmine illumino gli occhi di Robert che sputo fuori " Ah si Marco, l'Italiano". Mi sorrise e mi strinse la mano . Mi domandò cosa facessi li, e gli spiegai per grosse linee un po' tutto. Il vecchio mi ascoltava con voglia e gioia, forse ero la sua unica novità per quella giornata. Dopo quattro chiacchiere lo salutai, il vecchio mi augurò buona fortuna e io ricambiai. Iniziai a percorrere la strada a memoria, fino a giungere dove abitavo con i miei, nulla era cambiato, il numero 4 di St jhonsoon park era sempre la stessa fottutissima porta georgiana Bianca. Mi allungai verso il campetto in cemento e fui investito dai ricordi. Ero triste , molto triste. Un forte nodo incominciò a strozzarmi in gola. Mi incamminai verso la tube per tornare a Londra e da li raggiungere Harwich da dove poi mi sarei imbarcato su un traghetto per approdare in olanda. Lasciandomi alle spalle Richmond ripensai alla mia famiglia, ai vecchi soci, sentii una lacrima accarezzarmi il viso. Mi sfregai gli occhi, presi un biglietto e mi sedetti in attesa del convoglio. Mi imposi di ritornare in me e di lasciare la nostalgia chiusa in quell'angolo di cervello che di tanto in tanto mi strazia riproponendomi cose del passato, mi aspettava amsterdam ed avevo proprio voglia di cambiare aria...

Cap XVIII

‎giovedì ‎25 ‎novembre ‎2010, ‏‎01:57:38 | brainiacVai all'articolo completo
Dicono che sfogarsi faccia bene, che ti aiuti a capire il nocciolo del problema. Oggi ho 30 anni, li ho da un po' di tempo, e la cosa non mi esalta più di tanto. La miavita è normale e proprio perchè è normale mi sconvolge e sono giunto alla conclusione che quando la normalità non ti appartiene, è un qualcosa che " ti sa' di strano" allora vuol dire che hai proprio vissuto una vita del cazzo. Sempre scozia, sempre stesso periodo. Continuavo a lavorare in questo Hotel a pochi metri dall'areoporto. Scorrendo nella pagina degli eventi di Glasgow noto un concerto coi contro cazzi, in un club ci sarebbe venuto a suonare Iggy Pop, l'iguana del punk rock . Mi faccio due conti e dato che è da un pezzo che mi carico anche dei turni dei colleghi per fare grana decido che è venuto il mio momento di prendermi una serata libera. La giornata scorre velocemente, chiedo ad Alan di prendere il mio posto per questa sera e domani mattina, lo stronzo fa la faccia storta, ma me lo deve visto che gli ho coperto il culo un casino di volte che sbronzo non era manco capace di allacciarsi la giacca. Cosi a fine giornata mi fiondo in casa mi faccio una doccia e mi metto in moto per raggiungere il club. Dopo tre quarti d'ora sono li fuori che pago per entrare, fuori il buio è gia calato e l'aria gelida ti spacca le orecchie, ma appena entrato dentro veno investito da una botta di calore. Tolgo l' harrington e lo passo a la tipa al guardaroba le allungo un biglietto da 5 e le dico di tenere il resto. La tipa mi sorride mostrandomi la sua lingua tagliata stile serpente e cristo, mi impatta di brutto. Vado al banco per farmi qualche birra e il locale inizia a riempirsi. Mentre sto li che mi faccio le mie lager vengo abbordato da un tipo che mi prende per un suo socio, dico al compare che sta fuori strada. Lo stronzo si ferma a guardarmi, capisce dello sbaglio e mi chiede scusa, si presenta e dice di chiamarsi Lammy, come quel cazzuto cantante dei Motorhead. Gli offro da bere, e cosi tra una cazzata e l'altra parliamo un po' del più e del meno mentre a turno ci offriamo giri e rigiri di alcool. La sala è piena e l'iguana dovrebbe quasi iniziare a muovere il culo. Al mio lato destro c'è un tipo grasso da fare schifo, sudato come un maiale, che porta due occhiali enormi stile anni 70. La camicia a quadretti sembra la rete che si usa per stringere le pancette e lo stronzo sta li a menarla sul fatto che iggy sta tardando, che c'è gente che ha pagato e non vuole aspettare, che non c'è il rispetto. Sto' stronzo, parla di rispetto, cosi decido di intervenire e dico al bonzo che il rock è l'antitesi del fottuto rispetto Gli sbatto il mio indice contro quelle tette flaccide mentre gli sputo in faccia che in serate come queste i minuti e i secondi non esistono, che si fondono tutt'uno per bloccare il fottutissimo tempo che ogni giorno ci toglie vita e respiro. Lo sfigato sembra allarmato, cosi lemmy scoppia a ridere e mi tira per la maglietta. Sono mezzo sbronzo, lemmy non è da meno e cosi appena mi sentotirare vado giù come un sacco di merda. Con la coda dell'occhio vedo il ciccione levarsi dai coglioni e sento, nel frastuono generale della massa calda la risata rauca di lemmy. Mi rialzo, sorrido a Lemmy e chiedo al barman un altro giro che pago a fatica. Nel momento in cui porto il bicchiere di plastica alle labbra Iggy entra sul palco, solo in jeans, come è suo solito, un fascio di nervi pronto a sparare da quella fottutissima bocca. Saluta tutti noi, e scoppiamo tutti in un urlo da stadio. Inizia il concerto, tiro tutto di un fiato la birra in corpoe mi fiondo a sfondare quel muro di corpi per arrivare sotto al palco. La massa è agitata, corpi sudati si muovono al ritmo di I wanna be you dog, mi faccio largo a spintoni e mentre Iggy inizia Last for night mi si para davanti un mega flash e a seguire un fottuttissimo calore al naso che sento poi scendere lungo la bocca e il mento. Mi guardo la maglietta bianca ed è zuppa di sudore e sangue, la tolgo e me la sfrego contro la faccia e cristo sto sanguinando, ma me ne sbatto i coglioni. Un tizio mi picchia sulla spalla da dietro mi giro di scatto pronto a colpire, ma mi fermo perchè il coglione sorridente mi passa una birra e mi fa " stai sanguinando bello ma hai un bel paio di palle" . PRendo la birra e me la sparo tutta dentro prima che l'onda umana mi travolga per sbattermi contro il palco. Proprio mentre vengo travolto mi giro con il volto verso Iggy, sbatto contro la transenna che antecede il palco sento che le costole si comprimono cosi tento di mettermi in piedi sulla transenna prima che uno dello staff mi tiri giù incrocio a pochi centimetri gli occhi spiritati dell'iguana che fissandomi mi urla " LAST FOR NIGHT ". Alzo le braccia in un equilibrio precario e prima che il gorilla mi prendi mi lascio cadere all'indietro sulla marea umana narcotizzata dalle note e da chissà cosa.... La mattina dopo ero tutto un livido, e stretto nel mio Harrington con lemmy mi fermo per una colazione a base di bacon ed uova... E li partorisco l'idea di mandare a fare in culo la scozia e cambiare aria, ma a questo ci avrei pensato in pomeriggio, ora mi toccava il mio bacon con pudding e una buona tazza di the caldo...

Cap XVI

‎mercoledì ‎24 ‎novembre ‎2010, ‏‎02:58:05 | brainiacVai all'articolo completo
Fuori è scuro, la stanza è illuminata dai lampioni che giù in strada sparano raggi fiochi di luce giallastra. Si sente qualche sbronzo canticchiare qualcosa cha parla dei rossi di Abeerden, la voce è troppo scagata e non riesco a capire nulla . Al mio lato intravedo il profilo di Core che dorme sfatta seminuda. La copro con il lenzuolo e mi metto seduto sulla sponda del letto con la testa rasata tra le mani che pulsa di brutto. La lingua è un deserto, allungo la mano per accendere la luce ma poi ripenso a Core che dorme e facendo due conti vedo che tutto sommato il lampione giallognolo mi da abbastanza visuale. Mi alzo e vado verso quel cazzo di lavandino ad angolo nella camera, c'è un bicchiere di vetro appoggiato sopra la porcellana ingiallita dal tempo, lo prendo e lo riempio sotto il rubinetto. Tiro tutto di un fiato il liquido insapore, la frescura mi da sollievo alla bocca e alla gola, ma non certo alla scatola cranica che sento sempre più prossima all'esplosione. Do un occhio all'orologio che segna le 3 a.m. , fuori il silenzio ha preso possesso delle vie di questa gelida cittadina, è lunedi e la maggior parte di sti stronzi tra qualche ora dovrà buttarsi giù dal letto per correre ad un posto di lavoro e starci fino a quando non viene l'ora di sbronzarsi. mi riporto nel letto allungo la mano ai pantaloni e tiro fuori il mio portafoglio, lo apro e piange fottutissimamente miseria. Noto un paio di biglietti da 20 sacchi e qualche moneta e cazzo, so di stare un poco nella merda, fortuna vuole che la camera già la tengo pagata per altre due notti, ma dovrò pensare qualcosa su come affrontare il problema "Cibo". Qui mangiare fuori costa un botto, a meno che non vai sempre e solo di fish and chips. Li seduto su quel cazzo di letto e con la testa in vacca comincio a pensare a cosa cazzo stia facendo, lontano da casa, e forse è un bene, lontano dalla famiglia, e questo sicuramente è un bene, ma soprattutto lontano... Mi ristendo al fianco di Core, il suo respiro profondo e regolare m'infonde calma e sicurezza, come quella che deve provare un lattante quando si attacca ai capezzoli della mamma. Abbraccio core e cerco di non pensare più a nulla e di ricadere nelle braccia di morfeo..

Cap XVII

‎mercoledì ‎24 ‎novembre ‎2010, ‏‎02:41:23 | brainiacVai all'articolo completo
Cosi mi ritrovai in pieno autunno a lavorare presso il ristorante di un albergo non distante dall'areoporto di Glasgow. Abeerden ormai era lontana, e con lei Core. Avevo bisogno di monetizzare e cosi tramite annunci via internet beccai questo posto da quasi 100 sterline a settimana con turni da 6 ore e due giorni liberi. Il mio aspetto mi ha sempre aiutato a tenere i rompicoglioni fuori dalle palle, nessuno ha voglia di sapere se uno con la testa rasata e tatuaggi in bella mostra sia o meno un famelico criminale o semplicemente una testa di cazzo. Il lavoro procedeva bene, la vita sociale era praticamente vuota. I giorni liberi li utilizzavo per sbronzarmi in qualche pub lealista del centro. La grana era abbastanza, mi permetteva di pagarmi il fitto di una camera in una villa su due livelli che dividevo con altri due ragazzi, un Coreano li per studiare la lingua dell'uomo bianco, e un cazzo di francese anche lui impegnato a rifarsi una vita lontano da casa. In più avevo abbastanza grana che mi permetteva di "rinfrescare" il mio guardaroba con le ultime ben sherman o merc. Le cose andavano abbastanza bene, mi tenevo fuori dai casini e dalla coca. Ma alcool e tabacco restavano nella mia top ten dei vizi, ancor prima del sesso a pagamento, ultima risorsa, dato che ero troppo pigro per cercarmi una donna con cui fare un po' di fitness anche se li nella fredda scozia era più facile trovare da scopare che da bere... Una notte di metà settimana ero di turno con Mary, una ragazza abbastanza sveglia che faceva da cameriera, erano circa le 22.30 quando irruppero nel cazzo del risto tre coglioni, dei colletti bianchi, i tipici che solo a guardarli ti stanno sul cazzo. Mary mi rivolge una smorifia di insofferenza, io dalla finestra del passo piatti, impreco tutti i santi per la rottura di palle, mancavano solo 30 minuti alla chiusura e per colpa di questi tre coglioni mi sarebbe toccato rimettere tutto in mezzo e sporcare, ma il lavoro è cosi e c'è un cazzo da fare. Per rendere il tempo meno pesante pensai di spararmi una latta di lager Miller, l'alcol non è un tocca sana per il fegato, ma aiuta a vivere meglio in certe occasioni. I tre tipi sono li tutti allegrotti nei loro vestiti a buon mercato stile tecnocasa. Gracchiano come cornacchie e ridono un po' brilli. Si nota subito che le mezze seghe li son passate prima dal bar del hotel per poi venire a rompere i coglioni nella cucina. Sto li affacciato che guardo la scena di come Mary si avvicina con molta eleganza e passa i menu a sti stronzi, uno di loro sembra fissare il culo della tipa, io me ne accorgo, lei se ne accorge, tutti se ne accorgono e lo stronzo sorride con fare da play boy a Mary, che senza proferire parola prende le ordinazioni e in sequenza i menu. Viene a passo celere verso di me per darmi una copia delle comande e mentre strappa il foglietto mi fa che lo stronzo già non lo sopporta. "idem" le rispondo e le dico di rilassarsi che ho tutto pronto e che allo stronzo lo sistemo in 5 minuti cosi vanno tutti fuori dai coglioni. Mi metto all'opera, mary è dal lato della sala che mi fa compagnia parlandomi sempre affacciata dal passo piatti. All'improvviso sentiamo un fischio, ed un testa di cazzo di quei tre con fare grossolano chiama mary chiedendole se potesse posrtare qualche altra birra. Mary composta come un SS porta a termine la sua missione, ma proprio quando sta per tornare nei pressi della cucina lo stronzo gli allunga una mano sul culo. Mary scatta velocemente in avanti fulminando con gli occhi lo stronzo che ride a crepa pelle con i suoi soci. Io intravedo tutto dalla cucina mi affaccio per ringhiare allo stronzo qualcosa, ma prima ancora che potessi farlo mary mi fa segno di igoiare quello che da li a poco ero pronto a sputare. LE dico che le zuppe per i froci sono pronte, mi fa di aspettare un secondo ed entra in cucina. Il cazzone che le ha toccato il culo aveva ordinato una vellutata di sedano, mary afferra il piatto destinato al coglione e mi dice di girarmi un secondo, le domando del perchè e con un ghigno mi rantola che deve aggiungerci qualcosa. capisco la zolfa mi giro e riesco a vedere dal riflesso dell'acciaio della porta del frigo come le dita affusolate di mary tirano giù una cordicella che gli pende dalle labbra della vagina. La tipa e cazzuta, tira fuori il suo assorbente interno bello zuppo e cazzo lo schiaffa nella zuppa dello stronzo, mi giro di scatto e lei si fa di non fiatare portandosi il dito indice sulla bocca. Scoppio a ridere e mi sparo gli ultimi sorsi della lager. La stronza è li che gira il tampax nella zuppa, e poi con un cucchiaio tira fuori l'assorbente che gocciola filamenti di vellutata e sangue ragrumito. Prendo del pane fritto e lo sbatto nella vellutata proprio in corrispondenza di dove il grumo filamentoso galleggia mary nel frattempo tira fuori un altro tampax e nella indifferenza e calma più assoluta se lo tira su per la figa davanti ai miei occhi, non so se la cosa ha un che di erotico, porno - hrdcore o splatter ma sta di fatto che non vedo l'ora di gustarmi in prima fila la faccia tel testa di cazzo mentre mangia parti morte filamentose di mary. Mi piazo dal passo piatti con gli ultimi sorsi di birra e vedo come con passo rapido e deciso Mary serve i tre stronzi che stanno li mezzi rincoglioniti dal sonno e dall'alcool. Ecco che mette il piatto di vellutata davanti allo stronzo che si porta la una prima cucchiaiata a quel buco di cesso di bocca. Nel frattempo Mary mi raggiunge e insieme vediamo come lo stronzo si tira giù la crema avidamente. Mi volto per guardare mary e il suo ghigno è ancora più stampato su quel viso di porcellana. Lo stronzo si volta verso di noi e con un sorriso sulla bocca fa cenno che la zuppa è ok, buona. Povero stronzo... Morale della favola, non fate mai incazzare i camerieri, ancor più se sono donne e con le mestruazioni....

Cap XV

‎sabato ‎20 ‎novembre ‎2010, ‏‎01:50:01 | brainiacVai all'articolo completo
La testa pulsava ancora come a voler buttare fuori a calci in culo l'ultima particella di alcol e coca presenti nel mio corpo. Il caffe mi aiutò a riprendere conoscenza più velocemente. Dovevano essere circa le 3 del pomeriggio dato che la tv accesa mandava in diretta aggiornamenti di quella sfigata premier scottish legue dove a giocarsela sono sempre le due di Glasgow. Abbe e Core sono li sedute fumando un poco di erba, le guardo, poi riguardo la tv e ritorno a fissare la paglia di core che capisce l'andazzo e me la passa sorridendomi come per dire " Cazzo potevi chiederlo prima". La ringrazio sputando fuori un rantolo di voce, la gola è ancora stretta per l'effetto dopo coca. Faccio qualche tiro e ripasso con meticolosa cura la torcia a Core. Mentalmente ripasso dove cazzo sono e il mio cervello comincia a rimettersi in moto tra tanti cigolii e rumori di ossidazione. Mi tiro su e domando dov'è il bagno, abby mi indica la via e §core ridendo mi raccomanda di non farla sul tappeto nuovo, le rispondo che non c'è problema, che ho molta pratica del mio batacchio e che so sempre dov'è e con chi, le strizzo l'occhio e mi diriggo al cesso. Quando apro la porta noto subito che forse un cesso di autogril della napoli reggio calabria è molto più pulito e fresco. Non so da quanto tempo il cesso è in quelle condizioni, ma cristo fa schifo solo entrarci, e pure qui ci vivono due tope e dovrebbero essere più affini a lavare e pulire, ma mi sa che questa regola non vale per la gelida scozia, dove forse pisciare e cagare e considerato un evento, cagare non tanto pisciare visto i litri che qui la gente si sbatte giù. Tiro giù la lampo, e rilascio litri e litri di liquido giallo scuro e spumoso. Aggiungo puza alla puzza gia esistente e mentre piscio cerco di capire di che cazzo mi stesse parlando Core, visto che di tappeti non ne ho visto manco uno e il lineonum del cesso e quasi uno strato di pellicola. Rientro in salotto e spiego alla coppia di regine che è ora che me ne torni in albergo, Core si propone per accompagnarmi, accetto il suo invito dato che non ho idea di dove cazzo mi trovi e di come ritornare fino alla taverna dove ho stanza. Saluto velocemente Abby, che ricambia alzando la mano destra e grattandosi la figa da sopra il panatalone umbro, con la sinistra. Scendiamo le scale e ci ritroviamo per strada. Core sembra una tipa apposto, mentre camminiamo chiacchieriamo un poco. Capisco cosi, che lei lavora in una agenzia di credito, mentre l'amica è impiegata in una ditta di pulizie, e dentro la mia testa ricompare l'immagine del bagno e penso che se pulisce come a casa sua non durerà molto. Passiamo davanti un take a way di fish and chips e invito Core ad entrare, personalmente ho una fame chimica coi contro cazzi, ma la tipa non sembra essere sulla mia lunghezza d'onda. Ordino una doppia porzione di patate e merluzzo impanato, che mi viene dato avvolto in un foglio marrone di quelli che in italia mettiamo il pane. Core prende solo delle patate, la invito a farsi sotto con qualcos'altro ma non vuole passare la mano cosi ci sediamo al tavolino e mentre io divoro avidamente quello che è il mio secondo pasto scozzese in quasi tre giorni ascolto le menate di core sul lavoro e su tutti i disgraziati con cui ha a che fare durante le 6 ore che è seduta in ufficio. Arriva poi la tipica domanda del " e tu? che ci fai qui?" . Siccome non ho tanta voglia di parlare date le mie condizioni poco ok della testa, cerco di essere quanto più riassuntivo possibile. " 1 . lavoro in ristoranti come cuoco ma al momento sono in vacanza volontaria " "2 . ho deciso di lasciare per qualche tempo l'italia dato che ho voglia di vedere come gira la zolfa in europa" "3. Sto quasi a 0 e ho bisogno di trovare un lavoro per potermi riprendere". Core mi guarda con quei suoi occhi azzurro-ghiaccio, quasi inespressivi. Mi sorride e mi propone un credito, al che vedendo la mia faccia della serie " a chi vuoi prendere per il culo" sbotta in una risata contagiosa che mi prende di brutto. Continuiamo a chiacchierare li nel take a way, nel frattempo le ore passano, le strade si iniziano a riempire un po e la luce a calare lentamente. Ci rimettiamo in marcia, e non so per quale ragione le mie orecchie sono catturate dal tono dela sua voce, e non posso fare a meno, tra un passo e l'altro, di guardarla velocemnte negli occhi color iceberg. Arriviamo alla taverna, la invito per una pinta nel bar interno, Core accetta. Appena dentro il capo che mi accolse mi saluta amichevolmente strizzandomi l'occhio e chiedendo cosa volesse bere la mia amica, lei risponde di lager ed io rilancio di lager con un piccolo short di whiskey. Beviamo un paio di pinte, e risento il docle torpore dell'alcol riprendere possesso del mio corpo e della mia mente, ad ogni sorso e bicchiere che si addiziona pendo sempre di più dalle labbra di Core, che pare essersene accorta e in risposta si avvicina sempre di più con le sue mani alle mie. Alla terza pinta siamo li che limoniamo come due adolescenti, il capo al banco mi guarda e mi chiama un secondo in disparte, mi invita ad alzare i tacchi con la mia amica e di ritirarmi in camera con lei dato che siamo diventati l'attrazione porno dei vecchi beoni della taverna. Recepisco il messaggio gli allungo uno degli ultimi biglietti da 10 che ho e con core barcollante ci avviamo lungo le scale per salire in camera. Appena la porta della stanza e chiusa core mi s butta addosso come un assatanata, io non sono da meno ed iniziamo a scopare come due ossessi espellendo tutto l'alcol bevuto dai pori della nostra pelle. Sento che vado come un treno, e sento lei gemere da paura. Finalmente arriva il colpo del ko e sudati ci accasciamo l'uno sull'altra respirando affannosamente e in preda ad un dormiveglia di stile chimico.

Cap XIV

‎venerdì ‎3 ‎settembre ‎2010, ‏‎01:28:19 | brainiacVai all'articolo completo
Un'oretta di bus e mi ritrovo in questa cazzo di Perth. Una strada minuscola, cento negozi per turisti, due tre pub sciccettoni e tutt'intorno alberi e foresta. Il clima è bello tosto, tiro fuori dal bagaglio una felpa con cappuccio. Vado al tabellone per vedere a che ora parte il prossimo bus per Abeerden, cristo, sono solo 5 secodndi che son sceso e già non vedo l'ora di tagliare la corda. Perth sembra il luogo ideale per tutti i turisti babbioni americani, stradine piene di fiori, negozi con prezzi da capo giro e pensioni mascherate da conduzione familiare con 4 stelle alla reception. Scalo con l'indice e vedo che il prossimo bus parte per le 17, sono solo le 13 e non so come cazzo perdere 2 fottutissime ore. Finisco la paglia e mi fiondo nel primo pub che becco vicino lo stazionamento del bus. I miei anfibifanno scricchiolare il pavimento misto di moquette verde e legno. L'aria odora di pane rafermo e birra stantia, mi siedo su uno sgabello vicino la finestra e mi si avvicina una ragazza sulla trentina che prende le ordinazioni, domando cosa c'è da mangiare e mi propone uno stufato di carne patate e piselli, le faccio che è okay e le dico di portare anche una pinta di miller per mandare giù i bocconi. E cosi mi arriva il pranzo e nel silenzio più assoluto ringrazio la tipa e comincio a buttar giù avidamente la birra. Inizio con i primi bocconi e la sbobba è potabile, capisco di avere fame, ogni boccone ne richiama altri e cosi in pochi secondi sono li che pulisco quella merda e mi sparo tutto di un fiato l'altra metà della miller. Vado al banco e prendo ancora una pinta e chiedo di regolare un po' i cazzo di numeri, cosi spendo i primi 7 pound nella fottutissima scozia-scroto... Saluto l'allegra compagnia e apetto che il tempo voli per risalire sull'autobus e telare da questo posto di merda. Si fa ora, faccio il biglietto e salgo sul bus. Si parte, il mezzo è quasi vuoto, e la cosa mi va da dio. Allungo il tavolinetto e sbatto le carte su e comincio a farmi un solitario. Fuori lo spettacolo della natura è unico, ma tutto questo verde inizia a darmi sui coglioni e farmi venire le paranoie. Porto la mano alla cintola e palpo la pallottola con biancaneve pronta a scoparmi il cervello. Dopo un paio di ore arriviamo ad aberdeen. Una cittadina portuale. La prima cosa che sento sono i gabbiani che stranazzano lungo le vie grigie come il cielo. Prendo il mio sacco e domando all'autista un posto dove poter prendere una camera, mi indirizza a pochi metri dallo stazionamento, un posto chiamato Black Swan INN. Ringrazio il capo e mi avvio lungo la strada. L'aria inizia a raffreddarsi e sono solo le 19. Qui d'estate il sole tramonta verso le 23 ed è una vera inculata. Sento nelle narici entrare l'odore dell'oceano, il mare di scozia mi da il benvenuto. Entro nel pub, soffitto basso, e vengo colpito da un onda di calore all'acetilene che mi fa quasi cadere sfinito sul pavimento di pietra consumato. Un tipo basso e con pochi e rossicci capelli mi saluta amabilmente e mi chiede cosa desidero. Gli domando se ha una camera per questa sera e lo stronzo mi dice che sono l'unico cliente e che posso scegliere anche di dormire in due camere, gentilmente gli rispondo che una basta e che se ha anche il cesso dentro con doccia gli do un bacio su quella pelata piena di lentigini. Scoppia a ridere e io ridendo gli passo i documenti. Gli domando se posso farmi qualche pinta prima di salire in camera e se posso saldare il conto in quello stesso momento. No problema, pago la camera e ci spostiamo nella taverna dove lo stronzo mi allunga una ale che sa di piscio di cane. Bevo come un ossesso, e senza manco che me ne accorga mi ritrovo davanti 4 pinte vuote e la testa che mi gira. Lo stronzo e li che mi parla non so di che cosa, annuisco con la tesa di tanto in tanto e gli chiedo se puo' passarmi qualche chips per assorbire un do di questa merda che ho nello stomaco. Il cazzone mi passa una confezione di patate alla cipolla, sto cosi inculato che gli chiedo di aprirle per me. Il tipo ride ancora e me le apre e scompare poi da una porta sul retro. Inizio a pizzicare quelle schifose patate e sento lo stomaco andare ancora più in palla. Inizio ad avere una voglia matta di pisciare e vedo a pochi metri una porta che indica il cesso, cerco di arrivarci senza cadere e mi agrappo alla porta, entro e di culo riesco ad aprire la porta del pisciatoio. Tiro fuori l'uccello e scarico litri di Ale Black Sheep. Srotolo la palla e tiro fuori una tessera del telefono, metto su tre righe e me le sparo dritte verso il cervello per abattere l'effetto sbornia. Biancaneve mi drizza immediatamente la schiena come se fosse il batacchio pronto all'uso quando annusa un bel pelo bagnato di una passera. Esco dal cesso e ritorno alla mia postazione, l'orologio indica le 21 e oltre a me ci sono due vecchi dalle guance rosso sangue e una coppia sulla 40, con una baldracca biondo platino che ad ogni risata mette in risalto un paio di denti falsi d'oro. Finisco le chips scolo la quinta pinta e tutto tosto chiedo al capo come arrivare in stanza. Quando apro la luce della camera noto subito che è più vecchia della troia di sotto dal sorriso d'oro. La carta da parato a stento si regge sulle pareti, il copriletto doveva essere a fiori, ma ora era grigio come le mura di questa cittadina. Apro un porticina di legno bianco e mi ritrovo il cesso composto da un cagatoio un lavandino e una doccia a terra con tendine in plastica il cui colore va dal marrone diarrea al bianco perla. Mollo la sacca per terra e accendo la tv che è un 18 pollici che sembra un cubo di rubik ma senza colori. Mollo una cagata, provo a farmi una doccia e mi cambio la polo e rimetto su la felpa. biancaneve mi sta facendo ancora compagnia, non posso dormire quindi decido per un tour by night di questa fottutissima cittadina. Scendo e chiedo al capo nella taverna se puoi ripassarmi il documento, non si sa mai, il tipo mi sorride e mi dice che è tutto ok mi da qualche dritta su dove andare a bere qualcosa vicino al porto e mi nomina un pub che suona come doker in o cazzate del genere, lo saluto mi sbatto il documento in tasca e inizio a girare per le strade. Scendo lungo la strada e dopo una piazzetta mi ritrovo a ridosso del porto. C'è un po' di movimento, e noto qualche ragazzina bianca latte andare in giro con minigonna che copre solo le mutande e una cazzo di felpa con capuccio. E' sabato e i ragazzi han vogla di spassarsela. Arrivo al porto e noto tutte le barche fuori dall'acqua, la marea fa di questi scherzi e tra il fango vedo correre dei cazzo di granchi che saltano tra la sabbia la melma e ste fottutissime alghe che sembrano fatte di gomma. Sto li imbabolato ad osservare un cane correre lungo la fanghiglia della spiaggia, il vento si fa sempre più petulante ma quell'aria densa di salsedine mi ricorda tanto la mia infanzia. Sto li per qualche momento, mi giro tiro su il capuccio della felpa e cerco di trovare il pub che mi diceva lo stronzo. La coca mi ha stretto la gola e ho bisogno di allargarla con qualche pinta di lager. Trovo una locanda il cui nome assomiglia a quello pronunciato dall'oste, mi ci fiondo dentro e mi ritrovo in una folla chiassosa e nubi di fumo. dai 6-7 gradi passo al calore dell'alcool e dei corpi, mi sfilo la felpa e mi diriggo verso l'unico posto libero al bancone dove gridando chiedo una pinta di miller con un bicchierino di Glentfindich. Vengo servito in pochi secondi, sbatto il whisky nella pinta e la tiro giù tutta d'un fiato. Mentre bevo una tipa enorme mi urta, dalle sue braccia bianche ed adipose spicca come un cazzotto nellocchio un tattoo di un cuore con i colori della bandiera di scozzia, quella di sant'andrea con sotto la scritta MADE IN SCOTLAND, la vacca si scusa, dico che va tutto ok e lei ritorna a becerare con i suoi soci mentre io ordino una nuova pinta. Mentre mi sparo nel gozzo la lager noto un leggero tocco sulla spalla, mi giro e uno stronza sta li sorridendomi chiedendomi si posso passargli una paglia, gli offro la sigaretta e lui mi ringrazie e ovviamente lo stronzo ha voglia di socializzare. Per quanto mi riguarda sto in culato, biancaneve a poco a poco sta uscendo dal mio organizmo e gli effetti dell'alcool diventano ogni sceondo sempre più tosti. Il cazzone inizia a domandarmi da dove vengo, e alle mie risposte noto un certo interesse nascere in lui e in una coppia di ragazze sedute li accanto a me. Una delle due è la mozzarella che ho visto in minigonna qualche ora prima, che è li che mi guarda come se avesse una merdosa puzza sotto il naso. Il tipo capisco che si chiama Tim, e che non è di aberdeen ma di un paesino li vicino. Mi domanda cosa cristo ci faccio in quel buco di culovicino al mare e sinceramente non so cosa rispondergli, ma glisso con un "Life it's strange" Lo stronzo sorride e mi offre un'altro giro ed invita anche le due tipe che sono entrate nel discorso. Domando alla mozzarellina come si chiama e mi risponde a dentri stretti con un Cora ma che posso anche chiamarla Co. Iniziamo cosi a chiacchierare allegramente io Tim, Abby, l'amica di Co, e la stessa Co che pare non abbia molta voglia di perder tempo. Buttata giù un altra pinta mi sento in dovere di offrire io l'altro giro, cosi prendo le ordinazioni di Tim e le tipe e via a parlare ancora. Tim mi spiega che lavora nelle poste, un lavoro che gli sta sulle palle, ma che del resto non è malaccio, abby invece è insegnate d'asilo, mentre Co, lavora come segretaria in un ufficio di import export nel porto. Io spiego in grosse linee cosa faccio e perchè mi trovo li, e noto crescere l'attenzione di Co nei miei confronti. Finite le birre Tim propone di andare a mangiare qualcosa in un take away non distante da li, a malincuore accetto dato che Abby e Co sembrano allettate da mettere qualcosa sotto i denti. Alzo il culo dalla sedia e sento l'alcol tirarmi giù, biancaneve ormai è andata a farsi fottere e io sento i sintomi della sbornia frenare i miei riflessi. Mi agrappo a Tim, che ridendo mi prende sotto braccio e mi guida verso l'uscita. L'impatto con l'aria gelida mi risveglia e mi permette di rimettermi in piedi da solo. Ci incamminiamo verso sto locale e per le strade che passiamo si sente solo la voce di TIm gracchiare su come l'aberdeen aveva fatto ilculo domenica scorsa agli hearts... Entriamo nel take a a way e ordinaimo un po di fish anda chips. Ci sediamo ad un tavolino di plastica all'interno e prendiamo calore con la mostarda spruzzata sul fish. Inizio a parlare con Co e noto alla luce più viva della sala che ha i capelli rossi,e dei fantastici occhi color nocciola. Mentre si parla mi dice che immaginava gli italiani tutti bassi scuri di pelle e con capelli neri tirati all'indietro come quei personaggi che escono dalla penna di tarantino in film di mafia italo-americana. Scherzando mi scuso per non rispettare la sua immaginazione di standard italiano e cosi le strappo un primo sorriso. LA serata passa in maniera piacevole, cosi come le ore. Familiarizzo con i tre nuovi soci, ma molto di più con Co, che sembra affascinata dal fatto di poter parlare con un italiano. Finito lo spuntino tim si congeda e lascia sia a me che adabby e co il suo numero di cellulare, cosi io gli lascio il mio sia a lui che a Co, Abby capisce e scoppia a ridere mentre la sua socia gli urla di non fare la stronza. Cosi mentre ci salutiamo e sto per dare la mano a Co abby la spinge e co mi cade addosso ridendo, io rido ed essendo sbronzo di brutto finisco culo a terra. Tim si piscia sotto dal ridere e ci aiuta a rilazare e ci lascia nella notte fredda di aberdeen. Domandao alle ragazze cosa hannovoglia di fare, ma sono intenzionate a tornare a casa cosi mi offro di accompagnarle perchè ho voglia di fare due passi. Provo a capire dove sono ma non ho la più pallida idea cosi dopo 15 minuti che si arriva a casa delle due domando come si puo' chiamare un taxi, ma abby mi invita a salire. Co è un po nervosa cosi provo a rifiutare ma abby insiste e cosi mi ritrovo sul loro sofa con una ennesima latta di birra., le ore passano e anche le latte si accumulano sul tavolino del minisalotto, vado al bagno e piscio una quantita industriale di lager. Quando rientro trovo abby addormentata sulla moquette e Co che mi sorride nervosamente, le domando se vuole che me ne vada, ma mi dice di no, che è tardi e che mi perderei nella speranza di trovare un taxi, cosi mi lascio ndare sul divano. Co si alza dalla poltroncina e si siede vicino a me, sto veramente sbronzo e anche se noto una sua tetta pressare contro il braccio non sono capace di farlo venire su... le sorrido, lei mi sorride, mi abbraccia e.... mi ritrovo la mattina dopo con un fottuto mal di testa e il sorriso pulito di Co che mi passa una buona tazza di caffelungo...

Cap XIII

‎sabato ‎14 ‎agosto ‎2010, ‏‎02:41:32 | brainiacVai all'articolo completo
Arrivati a Edinburgo scendiamo dal bus, le gambe non me le sentivo più. Saluto il mio compagno di viaggio con la promessa che sarei andato a trovarlo un giorno. Mi informo su quali autobus vadano verso il nord, prendo la lista degli orari di partenza e decido di fare un giro per edinburgo. La zona turistica e tipicamente falsa, il miglio d'oro che porta al castello sembra mirabilandia, tutto falso e ricostruito come una disneyland in scala di grigi. Decido di allontanrmi dal centro e di andare verso l'ellen road, dove so esserci le brigate più cazzute di scozia, gli hibs boy. Ritorno verso la stazione dei bus e lascio in deposito il mio bagaglio. Mi incammino e dopo una mezzora mi ritrovo a ridosso del piccolo stadio dove giocano gli hisb'. Cammino lungo il laith, e cristo, facendo i primi passi e guardandomi in giro noto la durezza della periferia. Tutte le periferie sono le stesse, palazoni di cemento armato, strade sgangherate, facce di gente ormai fulminata, cassonetti dell'immondizia distrutti,potrei trovarmi a Londra, cosi come a Napoli o amsterdam, le periferie sono specchi riflessi. Entro in un pub, le facce dentro non sono delle migliori, mi squadrano in silenzio sorseggiando le loro bibite. Mi do una guardata in giro e penso che non sia stata una mossa geniale entrare in quel buco di merda. Dei vecchi fumano e sfogliano riviste di discount, alcuni ragazzi giocano a biliardo a pochi passi dal banco, io li prendo una lager e faccio i cazzi miei. Dopo qualche minuto mi si avvicina il tipo del bancone e mi domanda da dove vengo e che cazzo ci faccio in quel buco di culo. Gli spiego che son salito da londra e che sono italiano di napoli, e che avevo voglia di cambiare aria e di trovarmi qualcosa da fare su, nelle hightlands, un vecchio scoppia a ridere e mi sputa che di italiani in scozia ce ne sono davvero pochi e ancor meno dove voglio andare io, gli rispondo morbidamente facendogli capire che a me non frega un cazzo se ci sono o meno italiani. Allora il tipo del banco mi domanda se è napoli la città della mafia, e io gli spiegoche a napoli non esiste mafia, ma la camorra, che ha tutt'altre regole del gioco. Il cazzone mi guarda attento e registra ogni parola che dico. Si parla di tante cose di come si vive da dove vengo e se è davvero come nel far west, ma gli dico in tutta onesta che da dove vengo io si vive uaguale che nel quartiere dove si trova lui, che tutte le periferie alla fine dei conti sono uguali, per chi ci abita e per i problemi che ci sono, e lo stronzo mentre liscia un bicchiere mi dice che ho perfettamente ragione. Prendo una latra pinta e cosi divento il centro d'interesse della giornata di questi quattro etilici del cazzo... Si fa ora di andare e saluto i tipi. Mi augurano buona fortuna ed io ricambio, mi avvio verso la stazione degli autobus, prendo il bagalgio e faccio il biglietto per un piccolo paesino che sarà la mia tappa d'avvicinamento al mare del nord, Perth. Salgo sull'autobus, mostro il biglietto al conducente e prendo posto. Son passate appena tre ore da quando sono arrivato in scozia e già ho familiarizzato con un casino di stronzi. La cosa promette bene. chiudo gli occhi e metto gli audicolari.. E sulle note dei Clash mi addormento...

Cap XII

‎venerdì ‎13 ‎agosto ‎2010, ‏‎02:31:53 | brainiacVai all'articolo completo
Sulla fila al mio lato c'era seduto uno stronzo che sembrava ok. tipico sguardo menefreghista e strafottente un po' come il mio. Gli passo una latta di lager, e lui l'accetta con piacere e mi ringrazia, iniziamo a fraternizzare e lo stronzo mi dice che si chiama Ian, che è scozzese di Glasgow e che torna in scotolandia per ragioni di famiglia e aggiunge che spera che nessun pezzo di merda degli hibs riconosca il suo accento ancora prima che possa salire su quel treno che da edinburgo lo porterà poi a glasgow. Da parte mia gli spiego un po' di menate, e che ho voglia di staccare un po' la spina dalla caoticità di metropoli come londra. Che non ho più cazzo di voglia di stare li a menarmi il cervello,che ho solo bisogno di tranquillità e poco stress, ma anche di un lavoro tosto che non mi dia forza di pensare troppo. Lo stronzo ride e mi confessa che sa quello che voglio dire. Cosi dopo i primi 30 minuti usciamo amici e ian tira fuori un mazzo di carte e ci facciamo qualche partita del cazzo per perder tempo. Il viaggio è lungo, ma con il mio nuovo amico passa meno lentamente il tempo. Ci finiamo la mia piccola riserva per il viaggio ed entrambi sentiamo l'effetto del alcol mandarci in vacca. Parliamo a ruota libera fino a quando non dico al tipo che devo andare al cesso a pisciare. Sendo le scalette e apro la porta. Il cesso è minuscolo, molto più piccolo di quello che si trova su un areoplano. Mi gratto sotto la pancia e le dita intoppano contro le palline di roba. Faccio attenzione a non farle cadere e tiro fuori l'uccello e faccio una grande e suntuosa pisciata. Mentre piscio penso a quello che cazzo sto facendo. Perchè ho scelto la scozia, perchè ho scelto di andare via e lontano, perchè perchè perchè... i perchè mi stavano mandando a boia la testa cosi tiro fuori un pallino lo stendo sul tavolino in plastica del lavandino del mini cesso e tiro su una bella linea. Lascio mezza riga su un fazzoletto che nascondo tra il tubo dello scarico e il cesso. Sento già il sangue correre a tremila nelle vene e la testa rinfrescata come se avesse cacciato a calci in culo l'effetto etilico. Ian mi vede e capisce lo stronzo, dico di andare al cesso e di vedere quanta merdosa polvere sta dietro il cagatoio... Lo stronzo mi capisce a volo entra e dopo 5 minuti lo vedo uscire con un bel sorrisone. si siede accanto a me e dice che chissa a glasgow potrebbe presentarmi una serie di soci ok che possono aiutarmi per i primi tempi...

Cap XI

‎giovedì ‎12 ‎agosto ‎2010, ‏‎03:17:56 | brainiacVai all'articolo completo
Mi hanno svuotato l'anima. Non sento più nulla. Sentimenti zero, dolore zero, voglie zero. Dicono che l vita vada vissuta, vorrei sapere quanti lo hanno fatto. Io non avevo neanche iniziato è già mi sono fermato. Ho 30 anni, e quando ne avevo 25 pensavo che i 30enni fossero tutti dei coglioni. Ora che ho varcato il limite confermo le mie torie. A 30 anni diventi il tuo peggior nemico. Non hai alternativa. Anche se scegli, non fai la cosa giusta. Ti metti a posto, metti su famiglia ma ti inculi la tua libertà. Non fai famiglia continui a vivere sul baratro sei solo un 30enne irresponsabile, un eterno bambino che terminerà come un coglioncello schiacciato. fottetevi tutti.

Cap X

‎mercoledì ‎11 ‎agosto ‎2010, ‏‎02:27:44 | brainiacVai all'articolo completo
Mi risvegliai e dalle tende damasco non passava nessun raggio di sole. Avvo la bocca impastata e una gola secca quanto quella di un magreb lasciato nel deserto del fottutissimo sahara a morire. Mi alzai di scatto, e per la prima volta da quando entrai mi resi conto di come fosse squallida, spora e piccola quella cazzo di camera di merda. Le pareti erano ricoperte da una carta di parato con stampe di gigli, la colorazione variava dal verde muffa verso il soffitto e a poco alla volta che si scendeva assumeva tutte le tonalità del giallo, per terminare con un marrone stile diarrea nella parte finale che toccava con la moquette consumatissima. Il letto era a lcentro della stanza e lasciava a mala pena spazio per camminare ai lati. L'unica finestra era piccola e quadrata, nascosta da queste tende che una volta dovevano essere bianche. Fronte a me c'era una tv senza bottone d'accensione messa su un tavolino rotondo in formica a tre piedi. al lato del televisore c'era un piccolo lavandino con su poggiato un bicchiere di cristallo. La tentazione era forte ma mi faceva troppo schifo bere da li. Il cesso si trovava in fondo al corridoio, era comune per le 8 stanze che si trovavano su quel piano. Scostai la tenda e vidi che fuori era buio pesto. Presi il cellulare e sul display segnava le 02 am.. LA testa mi faceva male, la sentivo pesante, il post sbornia-sniff sniff mi dava il benvenuto. Ripensai alla troiata che avevo fatto e provavo ancora disgusto nei miei stessi confronti. Scoparmi la balenottera li non era stata una gran mossa di stile, ma una caduta sicuramente si. Mi rigettai sul letto ancora tutto vestito, spensi la luce e con gli occhi sbarrati guardando le macchie di umidità sul soffitto pensavo a quei cazzo di mesi trascorsi li. Fino a quando c'avevo un lavoro la vita filava regolare, poi l'intoppo M. mandò tutto a troie ed ora eccomi li a spendere parte dei risparmi non facendo un cazzo. mi grattai sulla pancia e notai le palline di roba ancora incastrate fra elastico e trippa. Ero depresso, un po' rotto, ma non a tal punto da farmi un secondo tempo con la polvere bianca. Mentre davo di cervello pensavo di rientrare in patria, magari piazzarmi a Roma per un po' di tempo dove avevo un certo numero di soci apposto sui quali poter contare per i primi tempi, ma l'idea non mi esaltava molto. Fatto sta che se volevo restare ancora in uk dovevo darmi una mossa e non rompere il cazzo. Ebbi un lampo proprio in quel momento. Edinburgo poteva essere una scelta. Andare in scozia, lavorare un po in qualche fottutissimo paesino sul mare del nord e starmene tranquillo per un po non m'avrebbe fatto male. Appena schiarì scesi al banco della ricezione, lurido e decadente, consegnai le chiavi alla merda del gestore e pagai le 5 sterline. Andai dritto alla tube e scesi nei pressi di piazza vittoria per andare a vedere tutti i cazzo di bus che partivano per la volta di edinburgo. Presi la timetable, e consultandola notai che il primo e unico autobus in partenza per edinburgo si metteva in marcia tra una oretta. Andai alla biglietteria e feci un tiket di sola andata. La testa continuava a pulsare e il noso cominciava a pizzicare e a colarmi per tutta la merda che mi ero tirato su due notti prima. Entrai in un negozietto e presi de clinek, qualche bottiglia d'aranciata e bacardi alla frutta, un panino già confezionato e una fottutissima mappa della scozia. Mi diressi al mio bus, mi sedetti in mezzo, dove c'è la entrata di mezzo del bus. Sotto il culo avevo il cesso chimico del bus. A poco a poco il mezzo s'andava riempiendo. La maggior parte era tutta gente che si fermava a York, io ero uno dei pochi che avrebbe passato il confine. Il pulman si mise in marcia ed io mi sparai le cuffie nelle orecchie e misi su qualche pezzo. Entrati in autostrada presi coscienza che la strada era lunga. Il tempo su quel cazzo di bus pareva non passare mai. Mi annoiavo come uno stronzo, la maggior parte dei rinco si era addormentata, ma io non potevo. Aprì la prima bottiglia di bacardi lime e me la sparai quasi tutta di un sorso. l'alcol mi diede un leggero senso di benessere che svani in pochi secondi. Si annunciava un viaggio lungo e rompicolgioni

Cap IX

‎martedì ‎10 ‎agosto ‎2010, ‏‎02:24:05 | brainiacVai all'articolo completo
Il basso delle casse pompava a tutto spiano, bum bum bum, la techno era puro sfogo. Dopo la storiaccia con M. trascorsi quasi due settimane senza lavorare e spendendo a più non posso in feste, club, roba e alcolici. Lo sballo doveva essere forte, avevo 20 anni, ero a londra ed ero indipendente, chi cazzo stava meglio di me. Trascorrevo le giornate in maniera capovolta. Di giorno dormivo, la notte vivevo. Incontrai dei turisti olandesi, anche loro li a londra per vivere momenti di pura allegria condensata. Ci frequentammo per un tot di tempo, erano tipi ok, simpatici. Nel frattempo i miei compagni di appartamento cambiavano con la stessa velocita con cui quella vacca della padrona di casa cambiava manico. Una mattina tirai fino al mattino dopo in un club vicino casa. Avevo la testa che pulsava, sembrava che il cervello stesse per schizzare fuori dal buco del naso. Entrai nel supermercato per prendere delle cazzo d'aspirine e qualcosa per buttarle giù. Passando per il banco degli alcolici, comprai qualche latta di miller e non so per quale motivo presi un paio di bottiglie di vino italiane, alla Tesco vuol dire farsi inculare 5 sterline per piscio di cani. Andai alla cassa, la commessa, una paki abbastanza chiavabile mi gurdò come si guarda un cane randagio, le allumai un occhiolino e lechiesi il numero di telefono, ma la mangia-kebab manco mi filava. Le allungai 6 monete da una sterlina ciascuna e dopo averle lanciato un altro cazzutissimo occhiolino me ne andai. Uscito fuori presi subito le aspirine e ne buttai giù un paio, ma il dolore non voleva saperne un cazzo a smammare. S'era messo li e cazzo, non voleva alzare i tacchi. Decisi di passare dal solito procuratore di anfe. Bussai alla sua porta e quando mi apri lo salutai come si saluta uno stronzo che conosci da tutta la vita. Gli chiesi qualcosa di forte, qualcosa che calmasse quel delirio fottuto che avevo dentro la calotta. Mi passo un pallino di coca e disse che me l'arebbe fatta allo stesso prezzo dell'anfe. Non ci credevo, sicuro che l'aveva tagliata con il fottutissimo borotalco, ma lo stronzo mi disse di no, che era pura, che me la regalava perchè ero uno stronzo a posto. Gli sganciai una carta da 10 e tirai tre strisce sul tavolino del cazzone. Mi arrotolai una banconota di mille lire italiana e mi silurai le tre strice di botto. Bang!!! all'improvviso erano scomparsi dolore di testa stanchezza e scazzo! Sentivo la gola stringersi quasi soffocarmi, mi feci passare una paglia inumidi il filtro con la lingua e lo passai sul cazzo di tavolino dove avevo tirato cercando di prendere tutte le microparticelle avanzate. Mi accesi la siga e feci una grandiosa boccatta e porco cazzo non sentivo più manco le labbra e i denti. Da sballo. Dissi allo stronzo che volevo comprarne un po' per i tempi duri. Mi fece un buon prezzo, mi misi i pallini tra la pancia e l'elastico dei boxer salutai il colgione e mi diressi verso casa continuando a spippettare la siga. In un baleno mi ritravai in quel cesso di casetta, apri la porta e mi beccai la vacca in cucina a preparare qualche toast. LA salutai con un bel sorrisone e dalla busta tirai fuori le bottiglie di vino e gliele porsi, dicendole di metterle nel cazzo di frigo che da li a qualche minuto le avremmo buttate giù. LA vacca mi guardò incantata, prese le bottiglie mi ringraziò con un sorrisone e mi invito nel salottino a bere qualche latta di birra e mangiare qualche toast. Accettai di buon grado, ma il tost non andava giù. Avevo la gola cosi gonfia per via della coca che non ero manco cazzo di deglutire la mia saliva, scendeva giù solo l'alcol. Mi sentivo una bestia in gabbia. Avrei potuto sfondare tutto, ma in quel momento i miei occhi si posarono sulla vacca obesa. Notai una forte erezione nella patta dei pantaloni. La stronza mi guardava sorseggiando la sua birra, tiari giù un paio di sorsi e le domandai se le andava di scopare li. Erano le 10 del mattino, il suo bamboccio era a scuola, e lei viveva del cazzo del sussidio quindi non aveva una cazzo da fare. La stronza non se lo fece ripetere due volte che me la ritrovai li a menarmelo. LE tirai via un regiseno enorme, ed era li davanti a me ansimante e nuda di un colore rosea pallido da budino. Non capivo come potessi tenerlo cosi in tiro per una stronza così brutta dentro e fuori, mi srotolai un goldone sull uccello stetti attento ai pallini comprati, e per un paio d'ore si fece pompare di brutto. Sentivo la sua passera bagnarsi sempre di più e tremare nel momento in cui raggiunse l'orgasmo, ma la fottutissima coca m'aveva insensibilizzato qualsiasi periferica nervosa e mi ritrovavo li a martellare ritmicamente la budinosa donna michelen. Finalmente giunsi al capolinea, ero sudato da far schifo e la sua moquette era tutta inumidita dal nostro sudore e dai suoi fluidi. LE diedi uno schiaffone su quell'enorme natica da lasciarle una bella mano rossae le domandai se il vino fosse diventato freddo. LA stronza era ancora li per terra sudata e in affanno, la sua vista mi disgusto. Bevvi quello che era rimasto nella latta di birra che mi aveva passato prima la stronza e sali in camera. Presi le mie cose e le misi nello zaino. Mi diedi una rapida lavata e scesi pronto per filare. Le misi i soldi di metà mese d'affitto sul tavolo , quello corrente era già pagato, era ancora li nuda che non capiva un cazzo, e le dissi che sarei andato via e che quella chiavata poteva anche pensarsela come un bonus per la sua casa di merda. Usci da quel cesso di casa e l'effetto della coca iniziava a svanire, entrai nella prima pensione di merda che incontrai e presi una camera. Mi schiaffai sul letto ed entrai in uno stato di sonno comatoso...

Cap VIII

‎lunedì ‎9 ‎agosto ‎2010, ‏‎03:00:19 | brainiacVai all'articolo completo
Stati d'allerta duraturi...
Gli anni passarono, e mi ritrovai nella città natale dove finii gli studi dell'obbligo. Ero affetto da un malessere interiore, e non sapevo da che dipendesse. Avevo solobisogno di evadere, via, lontano, dai posti che mi avevano visto crescere,lontano dalla famiglia,dai vecchi amici ormai divenuti solo conoscenti. Decisi di non accettare più le decisioni imposte, avevo dei soldi da parte, frutto di notti trascorse nei fine settimane in cucine di ristoranti di mezza N. Decisi di tornare in inghilterra, 3 anni dopo. Cosi fù.Ritornai a richmond, presi una stanza in fitto. Eravamo in 4 ragazzi suddivisi in due stanze con una cucina comune e un salotto dove dormiva una vacca adiposa con suo figlio. La sistemazione non era esaltante. Condividevo un letto a castello con un francese di origini magribine che sembrava esser uscito fuori da un fumetto del perceval. Nell'altra stanza c'era uno studente di origini polacche ma con nazionalità tedesca e un ragazzo spagnolo di madrid. Ognuno faceva la sua cazzo divita, la padrona di casa se ne sbatteva di tutto e tutti, voleva solo essere pagata per tempo e beccarsi un poco di cazzo da qualcuno di noi, ma merda, non l'avrei toccata manco col pisello di un altro. Un giorno rientrai da lavoro tardi e la beccai nella cucina che si faceva sbattere a pecora da un altro lardoso di merda come lei. Che scena da incubo, la stronza si accorse che salivo le scale e iniziò a gemere ancroa più forte. Baldracca, con il figlio tirato su un materassino da spiaggia nel salone dormendo. Salito in stanza presi il fottuto magreb per le orecchie e gli dissi che non c'avevo una cazzo di voglia di restare li, ma lui non voleva uscire fuori dalla stanza. Cosi mollai uno stronzo nel cesso, mi cambiai e me ne scesci di nuovo. Andai al solito campetto di cemento, e rivedevo io qualche anno indietro con i miei soci. Beccai il fratello minorato di A che mi disse che lo stronzo s'era arruolato e che anche J. Aveva cambiato aria. Ci rimasi di merda, ma la vita è cosi.I giorni trascorevano tranquilli, in due mesi riuscii a mettere da parte una buona somma, avevo intenzione di trasferirmi in una casa migliore, dove potevo fittare per intero un appartamentino, avevo solo bisogno di un salottino una angolo cottura e un cazzo di cesso. Cambiai posto di lavoro e andai in un ristorante gestito da una rgazza italiana, di cagliari,maria, che stava con un tipo stronzo, che manco s ela filava e che pensava solo a spendere sold iin minchiate. Maria aveva 34 anni, io solo 20. Era la tipica donna non bellissima, ma con una sensualita da farti girare la testa. Caddi subito nelle sue grazie, mi tenne una settimana in prova e disse che ero perfetto e che m'avrebbe dato il posto di lavoro. Lei mi piaceva, mi trasmetteva erotismo, e io piacevo a lei. Dopo un mesetto che lavoravo non ci fu giorno in cui lei si assentò. Spesso nei giorni che avevo liberi mi chiamava per sapere cosa stessi facendo se stavo bene, ed io amabilmente assecondavo le sue domande e cercavo di non darle molta importanza giocando a fre il misterioso. Un giorno mi chiamò, cosi senza motivo, ed io colsi la palla al balzo e le domandaise aveva voglia di andare a bere qualcosa. Accetto senza tentennamenti. Maria era alta pressapoco 1.60. Con la testa mi arrivava sul petto. Era minuta, con un bel petto e un sedere ben bombato. Capelli neri carnagione sempre perfettamente abronzata. Era una strafiga, ed io ero un 20enne con gli ormoni in fuga. Ci beccammo ad un pub che si trovava nel quartiere Chelsea, tutt'altra zona di dove lavoravamo, Kingstone a pochi km da richmond dove risiedevo. Quando la vidi capii che dovevo farla mia. Le mi veniva incontro sorridendo, quando fummo a pochi centimetri l'abbraccia forte e la presi di sorpresa. Ci incamminammo lungo la strada ed entrammo in un pub. Ci sedemmo in un angolino e bevendo inziammo a raccontarci un poco di noi. Io le spiegai cosa ci facevo li, e tutto i lresto, lei che ormai erano anni che viveva li e che era stufa del suo tipo. Osservavo le sue labbra carnose muoversi, ero completamente cotto di lei. Senti un erezione battere contro i jenas e la birra non aiutava a mantenere i freni inibitori. Mentre conversavamo le presi la mano che aveva sul tavolino e le dissi a bruciapelo se aveva voglia di trascorrere tutto quello che restava del pomeriggio e della notte con me. Senza dirmi nè si, nè no prese il suo telefonino e chiamo quello stronzo del ragazzo. Gli disse che sarebbe rientrata tardi che era a casa di una amica che aveva un cazzo di problema e che voleva starle vicina. Uscimmo dal pub e chiamai un taxi., le tenevo la mano, e sentivo la sua stretta. Dissi al conducente di portarc ia covent garden, in tutto il tragitto solo ci tenevamo stretti la mano e nessuno dei due parlò. Scendemmo, iniziava a scurire, camminando le misi la mano sulla spalle e la portai a me, la baciai delicatamente e lei ricambiò. Sentivo la punta della sua lingua accarezzarmi le labbra, ero inebriato dal suo profumo, ne avevo le narici piene. Intravidi l'insegna di un hotel a 2 stelle, entrammo, presi una camera doppia e salimmo. Feci scorrere le tende, ormai fuori era scuro. Il neon dell'insegna illuminava di un giallognolo la camera scura. La spogliai, lei spogliò me. Facemmo sesso tutta la notte... ero estasiato, ero forse innamorato di lei... Ma quella notte fu l'ultima volta che la vidi. Il giorno dopo trovai una lettera di licenziamento, firmata da lei, e tra i fogli un messaggio scritto su un post-it con su scritto "perdonami, ma non posso perdere tutto per un ragazzo" . Chiusi la lettera, la strappai e uscendo dal ristorante lasciai il post.it, dove solo lei lo avrebbe trovato.

Cap VII

‎domenica ‎8 ‎agosto ‎2010, ‏‎02:53:54 | brainiacVai all'articolo completo
Ho appena finito di lavorare, ho un tremendo dolore all'inguine, a stento riesco a camminare, anche buttando giù un paio di lager il dolore non passa. Ci vorrebbe qualcosa di più forte. Ho appena sentito un tizio gemere e dopo qualche secondo è partita la catena del cesso, questo si che doveva essere uno stronzo con i contro fiocchi. Oggi giorno le pareti le fanno sempre più sottili, teconolgia avanzata? non credo, penso più carenza di materiali e budget. Posso ascoltare la tv del mio vicino senza accendere la mia, è un po' come ascoltare la radio prima ancora che apparisse la tv. Per non parlare poi di quando le coppie scopano, fortuna vuole che sia sulla mia dx che sulla mia sx sono tutte coppie sposate e consolidate, e si sa, lo fanno la domenica mattina ma la domenica del primo mese, due tre spinte e stop. Continua a bruciarmi l'inguine, appena mi tocco sento un dolore cane. Sono troppo stanco per scendere e andare in giro a trovare qualche "calmante". Domani si riinizia. Per molti i mesi del caldo sono sinonimo di allegria, io li odio per questo sono contento di farmi il culo al lavoro in questi periodi. Tutti li, gli splendidi che vogliono divertirsi, sti cazzi. Io d'estate non vedo divertimento, ma solo sudore, puzza, mosche e zanzare. Dimmi te che cazzo c'è da essere più felici. Invece d'inverno non sudi manco se ti spari 4 lager e scopi tutto il giorno. Di puzze per la strada non ne senti, mosche manco a parlarne, e zanzare manco le vedi, tutte morte quelle stronze! Sono qui gettato alle 00.50 davanti sto cazzo di monitor, e non so il perchè. Ho solo 30 anni, e già mi sento vecchio, ma non perchè mi senta stanco e sanza voglia di fare una sega, no assolutamente no, e chè ho fatto tante cose prima che ora la routine mi sembra strana. E quando la routine ti sembra strana, allora stai sicuro ch hai fatto proprio una vita del cazzo, ma sicuramente più divertente. Vabbè, fanculo. Domani sarà un altro giorno, non molto differente da quello già passato e uguale a quello che verrà. The End

Cap VI

‎sabato ‎7 ‎agosto ‎2010, ‏‎02:52:14 | brainiacVai all'articolo completo
La pausa estiva era quasi al capolinea, le giornate iniziavano a frasi corte. Era tempo di tornare alla routine. Avevamo sfruttato al massimo le nostre potenzialità per fare soldi facili senza romperci troppo il cazzo. Riuscii a mettere da parte quasi 200 sterline. Una somma che mai avevo visto tra le mie mani e sa il cazzo quando potevo rivederla in futuro. Decisi di spendere un po' di grana in cazzate. La prima cosa che feci fu quella di andare in un fottutissimo studio di tatuatori e farmi fare un cazzutissimo leone rampante sull'anca. Non avevo gli anni per farlo, ma il tatuatore non approfondì e io non gli diedi modo, cosi dopo 45 minuti uscì con il mio primo tattoo addosso. Iniziò nuovamente il college, solite lezioni, solito via vai. Ogni tanto andavo a salutare la mia mentore Fadwa, per comodità la chiamavo direttamente Fad. Era sempre disponibile a dedicarmi 5 minuti. Un giorno passeggiavo lungo il campo in erba quando fui accostato da un tiraseghe che non seguiva nessun corso con me. Si presentò con un sorriso del cazzo e mi allungo la zampa affinchè gliela stringessi, ma io manco per il cazzo. Un po' imbarazzato il coglione ritirò la mano e mi disse che si chiamava Eliot, la cosa non mi interessava più di tanto ma lo stronzo aveva voglia di entrare nelle mie grazie, e sa solo il cazzo perchè. Mi fece intuire che lui sapeva della storia dello smercio, ma io feci orecchie da mercante e dissi che non sapevo nulla di tutto ciò, il tiraseghe era il tipico ragazzino per bene, con voti discreti e la reputazione da bravo ragazzo, il tipico stronzo che tutti vorrebbero prendere a calci in culo. Mi spiegò che doveva dare una festa in casa tra qualche sabato, e siccome i suoi vecchi lo lasciavano per il fine settimana voleva metter su qualcosa di tosto, con beveraggi inclusi. Capi cazzo voleva, un po' di sbobba da bere per lui e i suoi soci. Gli diedi appuntamento a dopo la scuola, all'uscità per metterci d'accordo. Lasciai il coglione li sul posto con un sorriso da ebete e mi diressi a seguire i corsi. Erano le 15 e usciti da scuola mi beccai con il frocio. Gli chiesi i quantitativi e per quanto ne capii mi chiese all incirca una 30 di litri tra birre e vodka a vari gusti. Gli chiesi in anticipo 50 sterline, e a saldo altre 40, il ciucciapiselli sembrava un po' restio ai prezzi, ma io non trattavo, gli dissi che se voleva organizzare quelle erano le somme, 50 ora e 40 dopo, prendere o lasciare, a me non me ne fregava un cazzo. Restammo che m'avrebbe portato l'anticio l'indomani, che tra la prima e la seconda ora ci saremmo beccati nei cessi dove m'avrebbe allummato la grana. Tornato a casa misi in allerta A. e J. I due sembravano contenti di batter cassa anche dopo le vacanze e tutto sommato pensavo che con qualche incarico di tanto in tanto avrei potuto tirare su qualcosina da mettere da parte. Il giorno dopo mi beccai con il segaiolo, mi feci passare la grana e gli dissi di aspettare qualche giorno prima di ricevere i beveraggi. Passati due giorni beccai il tipo nel cortile e gli dissi che lo scambio era pronto, J aveva già messo lo zaino dietro la siepe e io dissi allo stronzo di andare al cesso e di aspettarmi li che gli avrei portato il tutto. Lui si diresse ai cessi io dietro la mensa dove allungai l mani sullo zaino stracarico. presi il peso dello zaino sulle spalle e mi avviai al luogo dello scambio. Entrai nel coridoio mi avviai verso i pisciatoi e notai subito qualcosa di strano, si apri una porta di una aula che avevo appena sorpassato e usci fuori la capoccia di Sarah che mi disse pacatamente di mettere giù il fottuto zaino di aprirlo e seguirla nel suo ufficio, notai con la coda dell'occhio il pezzo di merda sgattaiolare via. Quel bastardo m'aveva venduto, ma ora il mio problema immediato era un altro, come cazzo uscirne. La sarah era davvero incazzata nera. Voleva denunciarmi alle autorita, sospendermi e sa solo il cazzo cosa. Mi disse che durante l'estate s'erano verificati troppi sbotti e incidenti causati dall'alcol che i ragazzi ciucciavano all'interno del college. Che c'era qualcuno che riforniva gli stronzi in "vacanza studio" e che tutti i sospetti cadderò su di me. La prima cosa che fece fu quella di chiamare i miei genitori convocandoli per lo stesso giorno, poi prese lo zaino lo aprì e quasi mi fulminò con gli occhi. Disse che era molto delusa, che secondo lei io ero un ragazzo che poteva combinare qualcosa se solo spendesse un quarto del tempo perso a pensare a ste merdate nello studio. Forse aveva ragione, forse no. Dopo qualche minuto entrò anche Fad, e la cosa non mi fece molto piacere, prendersi una cazziata dal capo ci stava, ma vedere la delusione sul volto di Fad, mi fece male. Abbassaì la testa e presi il berretto del Brentford e me lo calai sugli occhi. Fad mi mise una mano sulla spalla e mi chiese il perchè, che cosa mi era venuto in testa, perchè dovevo rovinare tutto in quel modo. Dopo circa un paio d'ore arrivò mia madre, povera donna, era mortificata ma sentivo la sua rabbia contro di me. Non la guardai manco, non ne avevo bisogno, già sapevo quale smorfia aveva sul viso. Sarah le spiegò il tutto e le mostrò anche lo zaino con i beveraggi. Sempre Sarah mi chiese chi ci stava di mezzo oltre che io, ma col cazzo che cagavo con la bocca qualche nome. Insisteva, che quello che avevo fatto era passibile di condanna, ma sinceramente non avrei fatto il nome di nessuno manco se m'avesserò torturato. Perchè fin da quando sei piccolo e cresci tra il popolo, ovunque sia, apprendi come prima cosa che chi tradisce un socio, un fratello, ha sempre meritato di finire al macello. Cosi non aprii bocca e presa da un impeto di ira disse a mia madre che m'avrebbe sospeso, e avrebbe comunicato l'accaduto all'autorità giudiziaria minorile della circoscrizione. La vecchia non disse nulla, non provò a giustificarmi, senti solo che disse alla sarh che le dispiaceva, che non sapeva cosa fare con me e che era d'accordo nel farmi dare una punizione esemplare affinchè imparassi la lezione. In quei momenti non pensavo a nulla, chiusi gli occhi sotto la visiera del berretto e fantasticavo spaigge tropicali e fighe esotiche. Furono avvisati gli organi competenti io fui sospeso per 3 giorni e dopo due giorni dall'accaduto fui convocato con mi madre e mio padre negli uffici che si occupavano dei coglioncelli come me. In quei giorni il mio vecchio a stentò mi guardò un paio di volte, pensavo che avesse voglia di prendermi a sberle, ma del resto non pretendeva di aggiustarlo tutto con 5 schiaffoni, anche perchè sapeva bene che non me ne sarei stato li a subire, anche se a darmele era lui. Entrammo nell'ufficio, e dietro la scrivania c'era un ammasso informe di lardo che doveva essere una donna. Salutò i miei, lesse il verbale che aveva in mezzo a tanti altri e chiese ai miei genitori cosa volessero fare, se risolvere il tutto pagando un ammenda, oppure ripagare la società dal danno commesso facendomi fare 45 ore di lavori socialemnte utili. La risposta la diede mio padre: "Ho già speso troppi soldi per lui, che paghi e capisca". Mise un paio di firme e cosi fui obbligato a perdere 3 ore ogni pomeriggio all'ospedale geiatrico del quartiere. Mi fu proibito di vedere i miei soci, avevo l'autorizzazione solo di andare da casa verso scuola, da scuola verso il geiatrico e dal geiatrico a casa. Il primo giorno di lavori socialmente utili fu una merda. Mi ritrovai in un salone circondato da vecchi che a stento riuscivano a sbiascicare due parole. Non li capivo per un cazzo. Il mio compito era quello di portare i vassoi con la sbobba ai vecchi e di aiutare chi non fosse capace a buttar giù quello schifo che gli davano. Tornato a casa ero incazzato nero, da parte avevo una somma con la quale potevo pagare l'ammenda invece di subire quella tortura, ma non si poteva fare ormai più nulla. Volevo andare in salotto e sbattere le banconote in faccia al mio vecchio ringhiandogli di andarci lui a mettere il vomito nelle bocche di quei morti ambulanti. Ma non lo feci mai. Qaundo i miei se ne andarono a letto , una notte ne aprofittai per andare al campo di cemento e beccarmi con i soci, che sapevano già tutto. Quando arrivai A e J furono sorpresi di vedermi, mi vennero incontro e iniziarono a darmi pacche sulle spalle, con loro c'era pure un certo stronzo che chiamavano Stik, perchè magro e alto. Aveva sui 23 ed era uno dei capoccia che mandavano le gradinate del brentford. Mi si avvicinò e mi diede la mano, mi chiese come mi chiamassi e mi disse che avevo due belle palle sotto, che il fatto di non aver detto nulla mi era valso il suo rispetto. Dissi che non c'era nessun problema, che io non ero un boccalarga di merda e che preferisco pagare tutto io invece di mettere nei casini i miei soci. Mi diede un cazzotto amichevole sulla spalla e mi disse che ero uno ok, e che se avessi avuto qualche problema lui poteva darmi una mano. Lo ringrazai e gli chiesi solo se avesse un po d'erba da fuamre tutti insieme e qualche birra. Stik fece una gran risata si tiro la testa all'indietro e disse che non 'era nessun problema, che quella notte si festeggiava l'italiano che era entrato a pieno diritto nella famiglia dei brentford-boy...

Cap V

‎venerdì ‎6 ‎agosto ‎2010, ‏‎03:33:51 | brainiacVai all'articolo completo
Le vacanze estive erano iniziate e la British summer prometteva bene. Buttatomi alle spalle un anno un po' del cazzo decisi che il must doveva essere il divertimento, lo spasso e me la spasso. La giornata tipo era sveglia alle 12, pranzo e poi via con i soci a perder il cazzo del tempo. Poi si faceva ora di cena e cosi di nuovo in strada ad ascoltare qualche musicassetta giù al campo in cemento e se ci usciva qualche birra e un po' di fumo con i controcazzi. La voglia di fare casino c'era ma mancava la grana, a quell'età non si pretende chissà cosa, ma cazzo qualche banconota in tasca rendeva meglio la vita. Il college iniziava a riempirsi dei soliti stronzi in vacanza studio, ragazzi provenienti in maggioranza dalla francia e dall'italia che trascorrevano 1 o 2 settimana nella speranza di imparare a dire qualche stronzata in inglese. Nulla di più insensato, sulla mia pelle ho capito che una lingua si impara solo in due casi, il primo a letto, il secondo è per sopravvivenza, quest'ultimo mi toccava in modo molto particolare. Lo stronzo del mio socio Alan ebbe una brillantissima idea. Era una delle tante serata trascorse giù al campo, e mentre si facevano due passaggi a futbol e si parlava delle prossime amichevoli del Brentford, squadra che si seguiva in quel cazzo di quartiere, e della sua campagna acquisti, di merda. Per seguire i soci in trasferta bisognava fare della grana e nè io ne i miei amici sapevamo dove sbancare qualcosa. Così Alan buttò giù l'idea. Disse che si poteva fare qualche biglietto vendendo birre e qaunt'altro agli stronzi che d'estate invadevano i college per vacanze studio, per il 90% minorenni e quindi non in età per comprare i beveraggi. Lo stronzo non aveva tutti i torti, smerciare birre e liquori al St. Margaret c'avrebbe garantito almeno buona parte della stagione del merdosissimo BrentfordFC, chi ci procurava il beveraggio c'era, e con una piccola commissione si sarebbe levato dal cazzo, Tim, il fratello di Alan, 23 enne con cervello di un ragazzino di 7 anni, io poi dovevo smerciare la merce dato che potevo entrare e uscire dal college essendo uno studente, mentre jhon doveva portare le latte da casa di Alan al cancello secondario del St margaret, dove io ,una volta entrato, avrei iniziato a dispensare lager. L'idea era brillante. Il giorno dopo mettemmo du 16 sterline, 3 le demmo al fratelo di Alan, il rinco Tim, il resto si investì in latte di miller e qulche merdosissima guinness. Stesso in tarda mattinata entrai al St margaret, salutai lo stronzo del custode al cancello, che mi sorrise benevolmente e gli dissi che andao un poco in giro a vedere se beccavo qualche connazionale per fare due chiacchiere nella mia lingua. Rispose che non c'era nessun cazzo di problema, che potevo entrare e uscire quando cazzo mi pareva. Il primo ostacolo era andato. Feci un giro per il cortile, che brulicava di ragazzi e ragazzine di ogni angolo del mondo, iltaliani, russi, francesi, qualche turco del cazzo. Mi avvicinai al primo gruppo di ragazzi italiani che stavano li organizzando una partitella a calcio. Attaccai bottone domandando da dove cazzo venissero, e da quanto tempo erano li. Parlammo per un po' e mi invitarono a giocare , dissi che non potevo che avevo dei cazzi da sbrigare ma prima di salutarli domandai loro se volevano comprare qualcosa da bere, d'alcolico, per qualche seratina del cazzo. All'improvviso tutti e 5 o 6 zittirono di colpo e si avvicinarono interessati. Dissi loro di non parlare con un cazzo di nessuno, non gli diedi manco il mio nome, dovevano chiamarmi "lo zio" diedi loro i prezzi, ricaricando ogni latta e bottiglia di 3 pezzi sul prezzo d'acquito, 1 per me 1 per alan e 1 per jhon. I coglioni ci stavano, ero esaltato, la cosa sembrava funzionare. Domandai loro dove cazzo avevano il dormitorio e la maggiorparte stava nelle stanze dell'edificio C. In ogni edificio si accedeva con una chiave di plastica del cazzo, stile schede perforate dei computer degli anni 50, me ne feci dare una con la promessa di restituirla al momento dello scambio soldi e beveraggio e gli dissi di aspettarmi da li a 30 minuti nelle stanze comuni del caseggiato C. Uscii e salutai il coglione di Bob, il custode, brav uomo, ma stronzo come il piscio. Mi beccai subito con J. e gli dissi di andare a prendere 5 latte di lager comprate dal succhiamocco di Tim. Il piano era che mi lasciasse lo zaino con le latte all'inteno del college fancedolo passare sotto la recinzione, tra ferro e muretto in cemento, nella zona spalle la mensa dove c'erano tra la recinzione e gli edifici delle siepi. Dopo circa 15 minuti passai dietro la mensa, e presi lo zaino. Andai al caseggiato C mi beccai con i tipi mi feci dare la grana e gli passai le latte. Ridiedi la chiave e salutai gli stronzi, dicendogli che ogni giorno sarei passato per il campo per vedere se avevano bisogno di qualcosa, e di spargere la voce con i tipi ok, non con tutti gli stronzi boccalarga. Perche se beccavano me loro avrebbero trascorso vacanze del cazzo senza manco un goccio. Il giorno dopo avevamo ordinativi da 30 - 40 sterline... Iniziai a farmi pagare un anticipo per comprare le latte, l'idea di Alan era andata di culo, bei soldi , senza fare un cazzo. La prossima stagione dei merdosissimi BrentfordFC sembrava essere coperta....

Cap IV

‎mercoledì ‎4 ‎agosto ‎2010, ‏‎03:04:00 | brainiacVai all'articolo completo
La notizia m'aveva scioccato, non aspettavo fosse cosi doloroso perdere qualcuno a cui vuoi bene. Fù il mio primo rapporto con il tema morte, la cosa mi gettò in depressione. I miei soci cercavano di tenermi distratto, andavamo a comprare birre di straforo, spesso pagavamo un cazzone più grande affinchè andasse a prenderci da bere al posto nostro. La cosa funzionava. Trascorrevo le mie giornate a bere, fumare e tirare di anfetamina. Il mio rendimento scolastico era da schifo, non me ne fotteva più un cazzo, ogni volta che entravo al St. Margaret mi prendeva una depressione del cazzo, sentivo la cravatta della divisa soffocarmi, annodarsi come una merdosa anaconda al collo. Le ore in classe trascorrevano lentamente, già avevo difficoltà a capire una lingua non mia , ma con la testa in tutt'altro mondole parole dette dai prof sembravano tramutarsi da inglese ad arabo-cuscus-dei-miei-coglioni. La notte non dormivo, l'anfe faceva il suo sporco effetto, trascorrevo ore ed ore al buoi della stanza, mettevo su i due cazzo degli audicolari e mi sparavo musica punk nelle orecchie tutta la notte, di tanto in tanto mi rollavo un po' di fumo di merda, per equilibrare le particelle di mdma che flippavano inpazzite contro i neuroni. Quando poi si faceva ora di andare a prendere l'autobus per andare a scuola prendevo il cazzo di zaino che stava nello stesso angolo del giorno prima e filavo senza manco mangiare un boccone di merda. La mia vecchia era affranta, seppe che cazzo mi stava passando, ma ogni suo accenno mi irritava e la zittivo dicendole di non tirare fuori il tema. Mio padre come sempre assente, del resto il povero rinco sgobbava come una merda tuttto il giorno, e sicuramente quando tornava a casa non c'aveva una cazzo di voglia di sentire altri problemi. Trascorrevano le settimane e fui convocato dal direttore della scuola, Sarah Duth. Tipa bassina, con piccoli occhi azzurri infossati nel suo cranio cosi tipicamente anglosassone, cristo poteva sembrare una comparsa nel film "harry potter". La Sarah era una tipa ok, anche se rappresentava l'ordine e la gerarchia, tutto sommato, non se la tirava per un cazzo. Mi fece entrare nel suo studio, era una tipa molto corretta, educata, mi invitò a sedermi su una comoda poltrono in simil-pelle, mi offri una tazza di tè con latte, la presi e ringrazai, sbattetti dentro 3 bustine di zucchero e notai i suoi occhi osservare i miei movimenti. Fece una battuata su quanto zucchero avessi schiaffato nella tazza, dato che loro, lo preferiscono amaro, ma cristo, il tè gia fa cagare, con il latte poi manco a parlarne, almeno con una buona quantità di zuccherò ti sistemi la bocca. Sorrisi, e annui dicendo che ero italiano, e che per me ciò che è dolce deve essere dolce. Mi sorrise, si aggiusto gli occhiali e mentre grattava con il dito una vecchia goccia di cup of the caduta sa solo dio quanti mesi fa, su quella cazzo di scrivania, iniziò a dirmi che se continavo di questo passo non avrei approvato il corso, sapevo che m'aveva convocato per sta storia, ma me ne sbattevo il cazzo, pensavo " parla parla roditore di harry potter, lo tirò giù nel cesso un anno perso, me ne sbatto" , poi la discussione prese una piega un poco anomala, e si fece interessante. Il capo, sarah, mi mise davanti una scelta, seguire a non fare un cazzo e quindi a ripetere l'anno, oppure rimettermi al passo facendomi aiutare da una prof. ausiliaria che m'avrebbe assegnato come tutor da li a qualche mese. Continuò dicendomi che già aveva parlato con la mia vecchia la quale aveva rimesso nelle sue mani la scelta sul dafarsi, e mi spiegò che le pareva giusto informarmi e pormi davanti una scelta, invece di imporre un qualcosa che in quanto imposizione mi sarei passato per i coglioni. La tipa ci sapeva fare, era furba, sapeva come trattare e cosi le diedi soddisfazione e accettai di buon grado la proposta. Entrai dunque nella lista dei dementi, ritardati o socialmente instabili che erano seguiti da un tutor. Fui assegnato ad una ragazza di nome Fadwa, il nome non mi ispirava molto, pensai che siccome andavo di skin la capoccia della scuola per fottermi ancora di più m'avesse assegnato una nigeriana enorme pronta a darmele sul culo di santa ragione. Mi diressi all'ufficio di Fadwa, bussai alla porta e mi invitò ad entrare. Il primo impatto non fu sgradevole, Fadwa era una ragazza sui 30, capelli neri mossi, occhialini da intelletuale rotondo con montatura nera, aveva una carnagione color ebano. Mi accolse con un gran sorriso che mi scaldo il cuore per qualche istante. Mi fece sedere anche lei, ma le risposi che non c'avevo tanta voglia di stare seduto, che ero li solo per mettermi d'accordo sugli orari e sul cazzo da farsi e nulla più. Mi sorrise ancora una volta e guardò al cielo come dicendo "ah sti ragazzini, non li capirò mai"... Si alzò anche lei e mi disse se mi andava di fare due passi. Accettai e cosi uscimmo nel cortile sul retro degli uffici, zona off-limits per gli studenti. Camminavamo e iniziò a spiegarmi che nell'antica grecia il maestri con i loro pupilli amavano fare lezione camminando all'area aperta, sta storia mi suonava, le dissi che ero di napoli, una citta nel meridione d'italia, fondata dai greci, e che quindi qualcosa su di loro sapevo dato che da noi fin da piccoli ti fanno studiare la storia e ste menate, e siccome a me le storie di guerrieri e miti mi son sempre piaciute ero abbastanza ferrato sul tema epoca greco-romana. Notavo che mi osservava con la coda dell'occhio, sembrava soddisfatta, tutto sommato mi era simpatica. mi chiese se avessi voluto prendere un the in sua compagnia, ma cazzo ero già pieno di the nella pancia, le chiesi se poteva procurarmi una cazzo di lager, e senza mezzi termini mi disse che la cosa non era fattibile e che alla mia età era proibito bere alcolici, ed io pensavo che mi era proibito anche tirare roba, o fumarmela, cosi come andare al futbol a menr le mani o pisciare sui muri, ma lo tenni per me. Dissi che mi sarei accontentato di un succo, cosi ci avvicinammo a un distributore di bibite, mi offri un succo e lei si fece un caffe lungo. Sorseggiava il suo caffe e mi guardava, stav oa disagio, le domandai cosa avesse da guardare e lei quasi come svegliandosi da un sogno mi disse di stare tranquillo, che tutto sarebbe andato a posto. Ste parole dette all'improvviso mi presero in contropiede, non so se in quel momento stesse giocando con me o meno, se era intenzionata a guadagnare la mia fiducia con qualche cristo di giochetto psicologico, dovevo stare in guardia, non volevo farmi inculare dalla prima tutor che mi assegnavano. Decisi di contrattaccare e le domandai perchè avesse un nome cosi strano, che faceva molto nigeria quando lei al massimo mi sembrava avere origini caraibiche. Quasi sputò il caffe a terra quando conclusi la frase. Rise, si pulì il muso con una salvietta e inizio spiegandomi che lei era nata in inghilterra, che i suoi non erano caraibici ma bensì provenienti dall'egitto, aveva una maniera di parlare che mi piaceva, andava piano piano, ma con un tono che non faceva cadere l'attenzione, Mi spiego il significato dell'etimologia del suo nome, che significava colei che si sacrifica per gli altri. Le sparai che cristo, aveva scelto un lavoro giusto per il suo nome e lei sorridendo mi accarezzo la testa e mi invitò a non usare più parole forti in sua presenza e di nessun'altra signora o signore per bene. Le dissi che non c'era problema, nisba, che fortunatamente lei era una delle poche persone per bene che conoscessi e che quindi avrei continuato a parlare in modo poco convenzionale con molte altre persone. Mi tirò giocosamente le orecchie e disse che del resto non eran tutte troiate quelle che raccontavano sugli italiani, furbi e simpatici, non me lo disse proprio cosi, ma il succo era quello cazzo. Mi andava a genio e le feci capire che per me era una ok. Si sentì sollevata e mi chiese se mi andava di rientrare in ufficio dove avrebbe stampato la time table del nostro programma. "nessun problema Teacher!" e sorridenti ci avviammo verso l'ufficio. A quell'incontro ne seguivano altri 4 settimanali, di 3 ore ciascuno, 2 tolte dall'orario scolastico più una estrascolastica, che spesso usavamo per parlare, la tipa mi faceva sentire bene, mi ascoltava, provava a capirmi e vedere che una tizia di 30 anni mi ascoltasse veramente senza giudicarmi un moccioso o un testa di cazzo mi faceva sentire bene. Col tempo elen era un ricordo sempre meno doloroso, il mio rendimento scolastico aumentava, ripresi a dormire e a fare a meno dell'anfe, ma di tanto in tanto con i miei soci mi trombavo una bella canna con qualche birra. Il tempo passava, la scuola era ormai finita, i miei incontri con Fadwa erano una ottima terapia. Passai i test con voti decenti, ringrazai sarah la capoccia e la stessa Fadwa, che in quei mesi mi era stata vicina. Finito l'anno doveva finire anche il mio rapporto con lei, ma non mi andava di perderla. Cosi le chiesi se le andava di restare, isomma, mia amica, mi prese per mano e mi disse che non c'era bisogno manco di dirlo, che noi eravamo amici, e che se avessi avuto bisogno lei era li, nel suo ufficio pronta ad offrirmi un cazzo di thè. ------------------------------le sorrisi, lei mi rispose con una tirata d'orecchie.
Usci dal st margaret, mi sentivo meglio, ancora mi capitava di pensare ad elen, ma non più di continuo, lei comunque sarebbe restata sempre con me, in quell'angolo di materia grigia che lavora per i ricordi e per i sogni. Mi beccai con miller e jhon, i miei soci, andammo a fare due tiri di calcio dietro il campo in cemento, fumammo qualche paglia, ridemmo per qualche cazzo di battuta, il sole calava le nostre risate riempivano quella vallata di cemento...
Dedico questo cap ad elen cook la ragazza a cui diedi il mio primo bacio che ci lasciò nel dicembre del 95 e a Fadwa la persona che mi ridiede la serenità d'animo.

Cap III

‎martedì ‎3 ‎agosto ‎2010, ‏‎02:48:44 | brainiacVai all'articolo completo
Il St. Margaret college era una scuola, ma cazzo, per me era tutto meno che una scuola. I primi mesi mi constrinsero a frequentare un cazzo di corso intensivo d'inglese, a fine corso dovevo fare uno di quei merdosi test a crocette per verificare quale era il mio livello di lingua. Ricordo che appena si entrava in questa scuola c'era un enorme campo verde, tutt'intorno le ali della scuola, di fronte c'era la mensa dove lavorava un vecchio borioso con i bracci tutti tatuati old school, lo stronzone era sempre li pronto a scroccare una paglia, conveniva sempre tenerselo buono il pisciamerda, era lui che cucinava, era lui che ti metteva la sbobba nel piatto, non so se mi spiego. Sulla sinistra c'erano le aule e sulla destra degli alloggi per studenti ci si poteva accedere solo se uno era un segaiolo ciuccellone, un nerd del cazzo. I primi tempi erano un po strani, i soci con cui andavo in giro non frequentavano scuola, lavoravano una volta tanto con qualche amico più grande, scroccavano un biglietto da 10 o 5 sterline per caricare qualche camion o scaricare dietro qualche merdoso magazino, sta di fatto che si alzavano quel po' di grana che poi si spendevano in roba, birra e porno. Finito il cazzo di corso di lingua iniziai a capire meglio come funzionava il giro. Ero abituato a stare seduto in una cazzo di classe per 5 6 ore al giorno, invece ora bisognava alzarsi ogni due tre ore e andare in diverse aule. Non ci capivo molto i primi tempi e non riuscivo manco a legare con nessuno. Ma a me non importava, alle 15 finiva tutto e all'uscita c'erano i miei nuovi soci che m'aspettavano e guardavano qualche fighetta cercando di rimorchiare, ma mai con successo... inglesi. Dopo qualche tempo notavo che le tipe mi fissavano con benevolenza, non ero abituato. Ma del resto ero l'italiano, l'esotico europeo in una zona d'inghilterra dove esotico era uguale a pachistano o mangia curry del cazzo. Un giorno ero seduto sul prato del cortile a fissare il vuoto quando mi si avvicina una tipa che seguiva un corso di biologia con me. Si presentò, si chiamava Elen, snella, bianca cadaverica con occhi verdi e capelli rossi. Era una tipa apposto, fu l'unica in 5 .6 setimane che mi rivolse la parola, mi fece le solite domande del cazzo per rompere il ghiaccio, ed io rispondevo con voglia, sentivo il suo odore entrare prepotentemente nelle mie narcici. Si sedette al mio lato e si tiro la gonna della divisa sulle ginocchia, con la coda dell'occhio intravidi le sue lattee cosce e la cosa mi fece eccitare. A 15 anni gli ormoni corrono come un fottuto intercity in una stazione di un paese sperduto del cazzo. Mi spiegò che ero il primo italiano che vedeva dal vivo, iniziai a pavonergiarmi, a fare il figo, lei rideva, gli andavo a genio e lei andava a genio a me. Qualche sera dopo, ero in giro con i miei soci, e mentre entravamo in un fetido turco per prendere un po di merda da mangiare vidi elen all'incrocio in compagnia di 4 segaioli che frequentavano la scuola . Usci dal take a way e mi diressi verso di lei. Io andavo vestito con una maglietta con su una scritta del cazzo e su portavo un harington, jenas e adidas nere, lei era stupenda con jens aderenti e una camicia bianca che lasciava capire le sue curve. La fermai, i 4 segaioli mi fulminarono con lo sguardo, ma me ne fregavo, io ero il cazzuto, li avrei presi a sberle senza pensarci su, loro lo sapevano e quindi non rupperò il cazzo e si spostarono di qualche passo più avanti, lasciando elen sola con me. Scambiammo due chiacchiere, ero impacciato iniziai a sentire i miei soci prendermi per il culo dalla porta del take a way. Elen rideva alle battute degli stronzi, io rosicavo e facevo buon viso a cattivo gioco, le strappai un appuntamento per la domenica giù alla fermata del bus. La salutai cercando di darle un bacio sulla guancia, cosa normale per noi fottutissimi latini ma cosa un po'strana per i nordici, la presi in confusione e le diedi un bacio sulle sue morbide guance. Sentivo le risate e i fischi dei miei soci, le mi sorrise timidamente e con passo svelto raggiunse i segaioli , mentre andavano via vidi che si girò due volte . Arrivò la domenica, dissi a mia madre che sarei tornato più tardi, la solita mamma italiana che inizia col 4° grado, povera donna, le spiegai che non mi vedevo con i miei soci, che non andavo in nessun campo a vedere il futbol, ma che dovevo vedermi con una amica di scuola. Vidi il sorriso di mia madre illuminare quel cazzo di casa grigio mi disse di portarla a casa. ma cristo manco morto lo avrei fatto.
Arrivai alla fermata del bus con 30 minuti d'anticipo. Pensavo non si presentasse. Il tempo sembrava non scorrere. erano le 4 pm e cristo ero in ansia, peggio di un trip andato a male, 4.30pm, di lei manco l'ombra. Ero già convinto che m'avesse dato buca quando la vidi spuntare dalla curva fronte strada l'incrocio. Mi sorrise dall'altro lato del marciapiede. Premetti il bottone del semaforo e aspettai che salisse l'omino verde per attraversare, la raggiunsi e la prima cosa che mi venne di fare fu quella di premere le mie labbra contro le sue. Aspettavo uno spintone, ma invece no, lei si lasciò baciare, sfiorai le sue labbra con tutta la dolcezza che mi ero immaginato per questo momento, il mio primo bacio. Qaundo mi staccai da lei, ci fu un momento d'imbarazzo, lei mi prese per mano e inizziamo a passeggiare in direzione del parco. Entrammo e ci sedemmo su una panchina dove al lato passava un cazzo di canale si scolo che chiamavano ruscello. Parlammo, di noi, di chi ero da dove venivo di com'era napoli, di come mi trovavo li e del perchè frequentavo quei ragazzi che per lei erano solo degli sfigati che giocavano a fare i capoccia. Le dissi che quegli sfigati erano dei bravi coglioni, gente di cuore, come tutti quelli che provengono dal basso, gente di cui ti puoi fidare nei momenti del cazzo, gente che mai ti volta le spalle se qualcuno ti prende a calci nel culo. Lei capii, era sveglia e bella. La strinsi forte e senti i suoi seni premere contro di me, ero inebriato dal suo profumo le baciai il collo e poi le lebbra. Le confessai che ero stracotto di lei, mi sorrise e disse che pure io non ero niente male, anche se parlavo come un fottuto pachistano, ma poco importava il tempo avrebbe fatto il suo dovere con la lingua. La prima settimana trascorse meravigliosamente, durante le pause di scuola ci beccavamo sempre, pranzavamo in mensa assieme, ci mettevamo vicini nelle aule comuni a studiare.. fuori la scuola la mia vita continuava con i miei soci di sempre. Un giorno normale, entrato nel cortile, non la vidi, notai la sua migliore amica ely singhiozzare,con gli occhi rossi, mi rivolse uno sguardo ma al momento non ci feci più di tanto caso. Alla fine della giornata elen non si fece viva, tornai a casa un po' scazzato. Salito in camera mia madre mi chiamò perche mangiassi un po' di quella cazzo di frittata di maccheroni che adorava fare. Bussarono alla porta, andò mia madre ad aprire, mi chiamò disse che era per me, andai alla porta e ely era li che mi chiese di uscire un secondo, che doveva dirmi una cosa. Misi su il giacchino col cappuccio, tirava un vento freddo che tagliava le orecchie, camminammo per qualche metro verso un negozio di bibite e merde varie, lei non parlava e io mi domandavo che cazzo volesse da me. Ci fermammo, prese dalla sua borsa una siga, e ne passo una anche a me. Scoppio in lacrime e singhiozzando mi sussurrò che elen non c'era più. Incidente d'auto col padre morta in ambulanza. Mi abbracciò forte come un naufrago si agrappa al primo pezzo di legno che gli passa a tiro in mare, io caddi in ginocchio... Ancora oggi ricordare mi fa tanto male.

Cap II

‎lunedì ‎2 ‎agosto ‎2010, ‏‎02:28:30 | brainiacVai all'articolo completo
La prima volta che andai allo stadio avevo 6 anni, ci andai con il mio vecchio. Ricordo la fila ai cancelli prima di entrare, le voci dei venditori di bibite, disseminati lungo il piazzale a capo di bagnarole di plastica bianche e blu piene di latte e ghiaccio, bagarini intenti a smerciare merdosi biglietti falsi, bancarelle che vendevano sciarpe, magliette, bandiere e quant'altro. Il mio vecchio si avvicino ad una di ste cazzo di bancarelle e mi compro un cappello con sciarpa, mi tolse quelli che indossavo e mi disse mi mettr su i colori che da quel giorno m'avrebbero accompagnato per l'eternità. Entrammo, ero ansioso, sentivo un boato provenire dalle scale. Volevo correre per arrivare non so dove e capire. Mio padre mi teneva stretto per mano e sorrideva. Salimmo digran passo le scale e come per magia davanti i miei occhi si apri un rettangolo verde e tutt'intorno migliaia di persone ed un unica grande voce formata da tanti gridare canzoni che facevano tremare il suolo che avevo sotto i piedi. Ero rapito, non capivo più nulla, estasiato da tutti quei colori, quei rumori ritmici, l'odore del campo, del fumo di qualche petardo o bengala da scenografia, l'odore acre del borghetti, bibita ufficiale di ogni buon tifoso rotto in culo. Quel giorno la mia squadra vinse 2-1 ed ero il bambino più felice del mondo, avevo scoperto una cosa nuova, forte, che m'avrebbe accompagnato fino ad oggi... Il tempo trascorreva e con lui la voglia del mio vecchio di portarmi allo stadio. Arrivato a 12 anni con la scusa di andare a giocare al pallone per strada, con qualche mio amico ci ficcavamo in metro e raggiungievamo lo stadio, aspettanto che il personale aprisse quei cazzo di cancelli gli ultimi 5 minuti della partita per far iniziare ad usicre la gente. Noi come ratti di fogna appena quei cazzo di cancelletti si aprivano scattavamo come tarantole impazzite verso il rettangolo, il colpo d'occhio era stordente, come un forte schiaffo in faccia, i nostri 90 minuti condensati in que 5 - 6 primi di gloria. Gridare ancora più forte, arrabbiarsi, soffrire, sorridere gridare di gioia fino a stentirsi la gola bruciare... Ricordi scolpiti nel mio cervello, un film che nei momenti più discazzo riavvolgo e rivedo in ogni piccolo particolare... Arrivarono poi i 14, i primi soldi racimolati a destra e a sinistra, qualche regalo di qualche nonno, la posta di qqualche partita a carte vinta tra ragazzetti nel quartiere, e cosi arrivarono i primi biglietti per le curve. Il sacro rito di ogni domenica. Quei 90 minuti che valevano una intera settimana. Se non si riusciva a prendere il biglietto allora ci si provava ad arrampicare su per i muri, pulotti pronti a tirare i loro merdosi manganelli sui tetti in lamiera dei punti di accesso, personale pronto a tirarti giù e dartele per il fatto che ti stavi inbucando ad entrare di sforo. I primi colpi subiti, le prime cadute le prime cicatrici, i primi schiaffi presi da un pulotto... Ai 15 mi ritrovai in tutt'altro paese, la mia città era ormai lontana, i miei amici anche, ma mai il mio amore per la mia squadra, ma quella droga che era andare al campo e gridare, sfogarsi, sbraitare, la portavo ancora dentro, ero in astinenza e cosi una volta rifattomi un giro di amici con i quali potevo far brigata ricominciai tutto d'accapo, con uovi metodi di fare e nuove regole, ero più cresciuto, e si provava a seguire i più grandi. Mi ritrovai tra 30enni al sussidio, ben sherman, jeans e adidas, crani rasati, pasticche che giravano una continuzione, nasi dai vasi sanguigni marcati e rimarcati dalle sniffate di colla e strisce di coca sbafate nel cesso di qualche pub di londra ovest. Il giorno era cambiato, non più domenica, ma sabato, il rito d'avvicinamento era bene o male sempre lo stesso: Metro, pub, soci, e marcia. Un giorno uno dei miei soci, Jhon, mi passo mezza pasticca, mi disse di buttarla giù, che se volveamo diventare come i capoccia dovevamo iniziare a comportarci da tali. Buttai giù cosi la mia prima anfetamina. Dopo 10 minuti, trascorsi a rodermi la testa dallo stress di aver buttato giù il male, inizio l'esplosione di colori. Mi sentivo rilassato e da dio, ricordo le facce dei cazzoni più grandi ghignanti, che mi davano pacche sulla spalla, ed io li a godermi il mio momento di gloria e di calo. Uscimmo dal pub diretti al campo, solitamente nella confusione i bob per evitare casini chiudevano qualche occhio nei campi delle serie inferiori sui biglietti che non c'erano, cosi mi ritrovavo sempre tra due capoccia maggiori che mi spingevano dentro velocemente sotto gli occhi volutamente poco rigidi dello stronzo sfigato di servizio quel giorno. La botta saliva, il bum bum bum del cuore mi pulsava nelle orecchie, ogni rumore era amplificato di dieci volte, il trip iniziava a prendermi male, qualcuno dei grandi se ne accorse e ridendo mi passò una latta di miller da buattre giù. Le mie labbra si attaccarono avidamente al freddo alluminio e buttai giù quattro lunghi sorsi, ripassai la latta allo stronzo, e dopo qualche istante mi senti colpire dietro la testa, mi girai e lo stronzo mi ringhiò contro accusandomi di non avergli lasciato l'ultimo sorso, gli chiesi scusa allo stronzo, ma il trip non mi lasciava libero, e cosi vedendo un suo continuo mandarmi alla merda reagì tirandogli contro la latta mezzo ammaccata che m'aveva tirato lui qualche secondo prima. Alcuni capoccia s'accorsero che potevo prenderle di santa ragione e cosi mi presero per il collo del bomber e mi tirarono giù vicino il cazzo del campo, da dove potevo sentire la puzza a sudore e nylon dello stronzo che giocava in porta... Della partita non me ne fregava un cazzo, ma tutto quello che c'era attorno, cazzo, era il sale della mia vita

Cap I

‎domenica ‎1 ‎agosto ‎2010, ‏‎01:46:12 | brainiacVai all'articolo completo
La controcultura è vita...
A 15 anni, per vari cazzi della mia famiglia, mi ritrovavo ad essere uno straniero in un posto che per i prossimi due anni sarebbe stata la mia nuova casa. Senza sapere un cazzo di nulla della nuova lingua fui catapultato in tutt'altro a cui fino a quel momento ero abituato. Ad oggi non so dire se sia stata una buona o cattiva opportunità, forse un poco l'una e un poco l'altra, ovviamente c'è sempre del buono e del marcio in tutto. Da un lato sono cresciuto, dal punto di vista umano, ho avuto il culo d'imparare un altra lingua, un altro stile di vita, dall'altro ho capito che non sarei più voluto tornare indietro. Iniziai a frequentare i ragazzi del quartiere, a integrarmi, e a diventare uno di loro. La scena erà quella dei 90 britannici, il quartiere o distretto Richmond, 30 minuti di tube dalle zone fighe di Londra. I tipi con cui giravano erano dei soci apposto. Cercavano qualcosa di esotico in me, ma i poveri stronzi non vedevano altro che un ragazzo poco più alto di loro e con i lineamenti più nordici dei loro. Erano spiazzati. Io no. I miei nuovi amici seguivano sempre dei ragazzotti poco più grandi che facevano brigata, che a loro volta scimiottavano i quasi 30enni, tipi tosti, un po' fulminati, che viveano solo per la fottutissima techno e chimica. Gente da gradinate, alchol botte e casini. Dopo qualche settimana iniziai a sentire la musica che ascoltavano loro, è cristo se mi piacevano quei giri rudi di basso e batteria. Dopo due settimane, mi rasai la testa misi su una polo e sotto i jeans comparvero i primi Rangers con suola rinforzata... Ero diventato uno skinhead una cosa che tutt'oggi vive dentro di me...

Prefazione

‎sabato ‎31 ‎luglio ‎2010, ‏‎01:55:55 | brainiacVai all'articolo completo
Impostare un "diario" di bordo non è mai facile. Da oggi applicherò tale concetto all'arma segreta di tutti i poveri stronzi che nessuno si fila, il blog. Solitamente nei libri le prefazioni spiegano il perchè delle pagine che seguiranno, non sarà da meno questo pezzo. Sinceramente e senza troppi giri di parole, ho deciso di creare un blog per poter sfogare la mia mente. Fuori il tempo è in subbuglio, cosi come la mia coscienza. Vivo in uno stato di inappetenza mentale, frutto di un momento della mia vita abitudinario e con pochi stimoli. Il lavoro mi ha in pugno, e qunado questo accade allora sei fottuto. Ti alzi, respiri mangi e dormi solo in funzione del capitale che accumuli a fine mese, per poi fare in modo che venga sperperato da una tua compagna, se hai compagna, dai tuoi figli, se hai figli, o dal primo stronzo o stronza che conosci e che ti propone di andare a fare un giro in non so quale stronzissima discoteca di checche isteriche. Le giornate passano, tu invecchi, la tua vita si trascina, le emozioni si contano a mala pena sulle dita di una mano monca di un fuochista che odia il suo lavoro. Cosi ti ritrovi vecchio e stronzo, forse anche borioso, senza aver goduto di quello che avresti dovuto respirare e vivere nella tua giovinezza. Così la vecchiaia ti piomba addosso come una fottutissima grandinata in una notte afosa di mezza estate, e resti seduto tutto il giorno a incularti ancora di più il cervello sul divano, guardandoti la presentatrice che si commuove per uno stronzo che è li seduto davanti a milioni di persone a raccontare di quanto è sfigato, senza manco vergognarsene... C'est la vie, però c'est una vie di merda! Oppure...? Oppure puoi raccontare delle tue esperienze, ricordarle con un magone alla gola, e pensare che tutto sommato qualcosa hai fatto. Non molto, ma è già qualcosa. Iniziare un viaggio non è mai cosa facile, spesso bisogna alzare la gambae fare il primo passo, e prendersela cosi come viene, il difficile è sempre iniziare, il tutto poi viene da se. E cosi mi ritrovai nel mezzo del cammin di nostra vita in un blog dove nessuno mi conosce e puo' leggere cosa mi passa per la mente e se ciò che legge non gli garba, beh allora è un problema suo che ha perso 10 minuti della sua vita a seguire le seghe mentali di uno stronzo qualunque... Fine