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domenica 20 novembre 2011

#4 our pride

La prima volta che andai allo stadio avevo 6 anni, ci andai con il mio vecchio. Ricordo la fila ai cancelli prima di entrare, le voci dei venditori di bibite, disseminati lungo il piazzale a capo di bagnarole di plastica bianche e blu piene di latte e ghiaccio, bagarini intenti a smerciare merdosi biglietti falsi, bancarelle che vendevano sciarpe, magliette, bandiere e quant'altro. Il mio vecchio si avvicino ad uno di questi stand primordiali e prese un cappello con sciarpa, mi tolse quelli che indossavo e mi gridò mi mettr su i colori che da quel giorno m'avrebbero accompagnato per l'eternità. Entrammo, ero ansioso, sentivo un boato provenire dalle scale. Volevo correre per arrivare non so dove e capire. Mio padre mi teneva stretto per mano e sorrideva. Salimmo digran passo le scale e come per magia davanti i miei occhi si apri un rettangolo verde , tutt'intorno migliaia di persone ed un unica grande voce ,formata da tanti singoli, gridare canzoni che facevano tremare il suolo sotto i piedi. Ero rapito, non capivo più nulla, estasiato da tutti quei colori, quei rumori ritmici, l'odore del campo, del fumo di qualche petardo o bengala da scenografia, l'odore acre del borghetti, bibita ufficiale di ogni buon tifoso rotto in culo. Quel giorno la mia squadra vinse 2-1 ed ero il bambino più felice del mondo, avevo scoperto una cosa nuova, forte, che m'avrebbe accompagnato fino ad oggi... Il tempo trascorreva e con lui la voglia del mio vecchio di portarmi allo stadio. Arrivato a 12 anni con la scusa di andare a giocare al pallone per strada, con qualche mio amico ci ficcavamo in metro e raggiungievamo lo stadio, aspettanto che il personale aprisse quei cazzo di cancelli gli ultimi 5 minuti della partita per far iniziare ad usicre la gente. Noi come ratti di fogna appena quei cazzo di cancelletti si aprivano scattavamo come tarantole impazzite verso il rettangolo, il colpo d'occhio era stordente, come un forte schiaffo in faccia, i nostri 90 minuti condensati in que 5 - 6 primi di gloria. Gridare ancora più forte, arrabbiarsi, soffrire, sorridere gridare di gioia fino a stentirsi la gola bruciare... Ricordi scolpiti nel mio cervello, un film che nei momenti più discazzo riavvolgo e rivedo in ogni piccolo particolare... Arrivarono poi i 14, i primi soldi racimolati a destra e a sinistra, qualche regalo di qualche nonno, la posta di qqualche partita a carte vinta tra ragazzetti nel quartiere, e cosi arrivarono i primi biglietti per le curve. Il sacro rito di ogni domenica. Quei 90 minuti che valevano una intera settimana. Se non si riusciva a prendere il biglietto allora ci si provava ad arrampicare su per i muri, pulotti pronti a tirare i loro merdosi manganelli sui tetti in lamiera dei punti di accesso, personale pronto a tirarti giù e dartele per il fatto che ti stavi inbucando ad entrare di sforo. I primi colpi subiti, le prime cadute le prime cicatrici, i primi schiaffi presi da un pulotto... Ai 15 mi ritrovai in tutt'altro paese, la mia città era ormai lontana, i miei amici anche, ma mai il mio amore per la mia squadra ma quella droga che era andare al campo e gridare, sfogarsi, sbraitare, la portavo ancora dentro, ero in astinenza e cosi una volta rifattomi un giro di amici con i quali potevo far brigata ricominciai tutto d'accapo, con nuovi metodi di fare e nuove regole, ero più cresciuto, e si provava a seguire i più grandi. Mi ritrovai tra 30enni al sussidio, ben sherman, jeans e adidas, crani rasati, pasticche che giravano una continuzione, nasi dai vasi sanguigni marcati e rimarcati dalle sniffate di colla e strisce di coca sbafate nel cesso di qualche pub di londra ovest. Il giorno era cambiato, non più domenica, ma sabato, il rito d'avvicinamento era bene o male sempre lo stesso: Metro, pub, soci, e marcia. Un giorno uno dei miei amici, Jhon, mi passo mezza pasticca, mi disse di buttarla giù, che se volveamo diventare come i capoccia dovevamo iniziare a comportarci da tali. Buttai giù cosi la mia prima anfetamina. Dopo 10 minuti, trascorsi a rodermi la testa dallo stress di aver buttato giù il male, inizio l'esplosione di colori. Mi sentivo rilassato e da dio, ricordo le facce dei cazzoni più grandi ghignare, tutti mi davano pacche sulla spalla, ed io li a godermi il mio momento di gloria e di calo. Uscimmo dal pub diretti al campo, solitamente nella confusione i bob per evitare casini chiudevano qualche occhio nei campi delle serie inferiori sui biglietti che non c'erano, cosi mi ritrovavo sempre tra due capoccia maggiori che mi spingevano dentro velocemente sotto gli occhi volutamente poco rigidi dello stronzo sfigato di servizio quel giorno. La botta saliva, il bum bum bum del cuore mi pulsava nelle orecchie, ogni rumore era amplificato di dieci volte, il trip iniziava a prendermi male, qualcuno dei grandi se ne accorse e ridendo mi passò una latta di miller da buattre giù. Le mie labbra si attaccarono avidamente al freddo alluminio e buttai giù quattro lunghi sorsi, ripassai la latta allo stronzo, e dopo qualche istante mi senti colpire dietro la testa, mi girai e lo stronzo mi ringhiò contro, accusandomi di non avergli lasciato l'ultimo sorso, gli chiesi scusa, ma il trip non mi lasciava libero, e cosi vedendo un suo continuo mandarmi alla merda reagì tirandogli contro la latta mezzo ammaccata che m'aveva tirato lui qualche secondo prima. Alcuni capoccia s'accorsero che potevo prenderle di santa ragione e cosi mi presero per il collo del bomber e mi tirarono giù vicino il cazzo del campo, da dove potevo sentire la puzza a sudore e nylon dello stronzo che giocava in porta... Della partita non me ne fregava un cazzo, ma tutto quello che c'era attorno, cazzo, era sangue pompato in vena.

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