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venerdì 18 novembre 2011

#1 Reject

Mi hanno sempre detto che sarei rimasto uno dei tanti stronzi senz'arte nè parte. Mi hanno raccontato che non avrei mai varcato il perimetro della mia città, che quella metropoli sarebbe stata l'unico mondo che avrei conosciuto e che quel quartiere, dove sono nato e cresciuto, la mia tomba. Si puo' dire che la "scuola" l'ho fatta in mezzo ad una strada, tra delinquenti e polizia. Ho imparato il rispetto delle non-regole, ho appreso a capire chi ho davanti con una sola occhiata. La vera scuola era entrare in un cazzo di minimarket che all'epoca chiamavano "cremerie",  con 200£ ed uscirne con pezzi che ne valevano anche il triplo. Le giornate volavano tra partite di calcio per strada tra macchine parcheggiate a delimitare un campo immagginario e sirene di pulotti che sgommavano fuori dai coglioni. Gli anni passavano uno dietro l'altro e il mantra per eccellenza del mio vecchio era " sarai sempre una merda". Non aveva tutti  i torti, sarei finito come lui, uno stronzo galleggiante nell'acquitrino della fogna tra tante altre merde. Avevo sedici anni, ed un giorno mentre tiravo calci ad un supersantos consumato tra le solite macchine parcheggiate, una vespa bianca con in sella due ragazzi mi si parò davanti. Il passeggero seduto sulla parte posteriore della sella scese con un piccolo balzo, aprò la giacca del giubbino e tiro fuori un bel ferro che puntò dritto verso di me. Mi si gelò il sangue. Il buco del culo mi si strinse tanto da bloccare l'entrata anche ad un cazzo di spillo. Ero li, fermo, immobile, apettando non so cosa. In un mondo di prede e predatori non devi mai dimostrare di far parte del primo gruppo, altrimenti sei marchiato a vita con una sorta di tatuaggio invisibile impresso a fuoco su la tua persona. che ti perseguiterra per tutta la schifosa vita che hai davanti.  Piantai il mio muso davanti la canna fredda e metallica senza mostrare segni di paura. Il tutto durò pochi secondi che parverò eternita. Lo stronzò rimontò in sella e scomparì dietro un rumore assordante e l'acre odore dell'olio bruciato dei pistoni. Qualche giorno dopo fui abbordato da un tipo sui sessanta che mi invitò a seguirlo in una palestra di boxe che gestiva. Ero fuori un bar a fumare sigarette di contrabando comprate sfuse e a tracannare  birra di pessima qualità ,aspettando che il giorno andasse a termine.Non so perchè , ma il giorno dopo passai a trovarlo in quella  palestra e da quel giorno avevo uno stimolo, un qualcusa per cui valesse la pena svegliarsi presto. Pasquale, questo il nome del coach, recuperava tutti i ragazzi sbandati del mio quartiere, nella speranza di salvarne qualcuno. Iniziare a tirare di boxe fù solo il primo passo, quel brav'uomo, dio lo abbia in gloria, mi convinse anche a tornare tra i banchi di scuola perche diceva sempre che se un corpo è forte ma la mente è debole allora non hai speranze di vittoria. Per la prima volta capii che il mio vecchio aveva torto, che tutto sommato potevo anche prendere in mano le redini del mio destino ed evitare di finire come una merda. Arrivò la maggiore età, il corpo cambio e con esso la mente. Un giorno la palestra di Don Pasquale restò chiusa per non riaprire più. Lo ucciserò, due colpi alla schiena. Don Pasquale era uno scomodo, toglieva i ragazzi dal sistema, cercava di far vedere loro la luce, una possibilità. Non era un politico, non era un uomo di chiesa, non era nessuno, ma era semplicemente un grande uomo che ci fece capire attraverso l'arte dell'combattimento che la lealtà e l'onore sono cose a cui un uomo non puo' rinunciare. Mi hanno sempre detto che non sarei stato nessuno,  che sarei rimasto uno dei tanti stronzi senz'arte nè parte, que quella metropoli sarebbe stata l'unico mondo che avrei conosciuto, che quel quartiere, il mio quartiere sarebbe stato la mia tomba. Ma grazie a quell'uomo non fu così.

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